Sì, lo confesso. Nonostante siano passate ormai 24 ore dalla prova scialba ed incolore sfoderata dai cloni dei giocatori nerazzurri in quel di Palermo, continuo ad essere moderatamente infastidito dal nulla cosmico che mi è toccato vedere per oltre settanta minuti. Roba che uno dice: e vabbè, che te la prendi a fare, è solo un gioco. E poi quelli guadagnano un sacco di soldi mentre tu ti stai a rodere il fegato senza nemmeno prendere un euro; anzi, in realtà paghi pure per assistere alle partite. Insomma, sempre gli stessi luoghi comuni. Triti e ritriti. Enunciati dai soliti quattro filosofi del niente. Di quelli che non sanno o non capiscono, beati loro forse, cosa significa essere tifosi. Veri, non occasionali. Perché mi vanto e mi bullo di non appartenere agli interisti del post 2010. Allo stadio ci andavo anche, ragazzino entusiasta, con una bandiera più grande di me per osannare, si fa per dire, Doldi o Nicoli. E non c’era triplete che teneva allora.

Palermo è una tappa che deve far riflettere. E pure parecchio assai. Perché la storia del – va tutto bene madama la marchesa – deve finire; non va tutto bene, anzi. Rivedendo lo spettacolo di bassissima qualità offerto dai nostri eroi in terra siciliana, al cospetto di una compagine decisamente inferiore ai nerazzurri tecnicamente parlando, ma di molte e molte e molte spanne, la sensazione che ho avuto durante la diretta non si è sopita. Un imborghesimento, una supponenza, un approccio così orrendo alla partita non lo ricordavo da tempo. E, sulla falsa riga dell’approccio mentale, i novanta – pardon, ottanta – minuti sono trascorsi tra passaggini ed appoggi laterali quasi improvvisati. Si, insomma, episodio del gol a parte, gioco di livello assolutamente scadente, quasi improvvisato. Un po’ come quelle squadre di amici che si trovano il sabato mattina per la solita partitella a ranghi misti in puro stile fantozziano

Ad aumentare considerevolmente la mia personalissima arrabbiatura ci sono quei dieci minuti finali: si, avete capito bene, gli ultimi dieci minuti durante i quali, rimasti in inferiorità numerica grazie alla prova tutta irruenza e zero raziocinio di Murillo, abbiamo sfiorato per ben tre volte il vantaggio. A quel punto forse nemmeno del tutto immeritato.

Ecco, voglio partire da questo. Perché ho letto molte critiche al tecnico di Jesi, reo di aver mandato in campo una formazione senza senso. Addirittura con giocatori fuori ruolo. Ora, è giusto e corretto discutere se Nagatomo, ad esempio, possa e debba scendere in campo ancora dopo le prestazioni altamente insufficienti in fase difensiva che ne hanno caratterizzato la stagione fino ad oggi. Escludendo la Fiorentina, capitolo disgraziato, l’Inter ha preso 3 gol in 8 partite. Due per colpe specifiche e dirette del giapponese che nessuno può criticare per l’impegno profuso sul terreno di gioco, ma che spesso si distrae consentendo agli avversari occasioni pericolose. Era successo col Carpi, è capitato ancora sabato; perché qualcuno mi deve spiegare cosa ci faceva Yuto nel cuore dell’area dall’alto del suo meno di un metro e settanta al momento della battuta di un corner invece di rimanere a presidiare la sua zona, quella dalla quale per l’appunto parte il pallone maligno che porta al pareggio rosanero.

Oppure, altra nota dolente, per quale motivo Guarin deve sempre e perennemente trovare una maglia da titolare anche a fronte di prestazioni, derby escluso, non certo da tramandare ai posteri; sabato il colombiano ha oziato per molto tempo in campo, salvo poi estrarre dal cilindro un gran tiro deviato sul quale Sorrentino si è esaltato sfoderando una paratissima poi, di nuovo, farmi venire un attacco di bile quando, partito in contropiede, ha volutamente ignorato il buon Biabiany che lo affiancava sulla sua destra andando al doppio della velocità: ma lui no, fedele fino alla fine al suo ideale, ha sparacchiato malamente la palla della vittoria sopra la traversa. 

O vogliamo discorrere di Icardi che non tiene più un pallone nemmeno a piangere. O, ancora, dello Jovetic del primo tempo. Oppure del Medel che resta ancorato sulla linea di porta invece di seguire la linea e salire, di fatto tenendo in gioco Gilardino, che non segnava dai tempi delle guerre puniche? Però è colpa di Mancini. Che li mette in campo.

Io ho citato dei nomi non perché rappresentino il male dell’Inter. Piuttosto perché incarnano quelle disattenzioni, quegli errori macroscopici che ahimè cambiano l’inerzia di una partita. Coi se e coi ma la storia del calcio non si è mai fatta; però tra Genova e Palermo tanti se e tanti ma ti restano sul gozzo.

Un paio di domande per il Mancio le avrei anche, perché pur stravedendo per Roberto non ho il paraocchi né mi metto fette di mortadella spesse un centimetro sopra i bulbi oculari; fisicamente com’è che siamo ancora così indietro mister? La squadra è lenta, imbolsita, prevedibile. Lei ha chiesto, ed ottenuto, una serie di giocatori che ben si sposano con la sua visione del gioco del calcio. Bene. Anzi, strabene. Ma vivaddio cerchiamo di farli rendere questi giocatori. Meglio, cerchiamo di farli correre. Perché le garantisco che vanno più veloce i miei compagni del sabato mattina di questi undici pedatori più riserve.
Poi però continuo a rivedere il film della partita in terra siciliana e quegli ultimi dieci minuti. E mi chiedo: ma se fisicamente fossimo messi così male, come mai correvamo come delle lepri, arrivando sempre primi sul pallone, vincendo tutti i contrasti e, ripeto, creando tre nitide occasioni da rete in un amen? Giurin giuretta è una cosa che non mi riesco a spiegare; proprio per questo non riesco nemmeno ad arrabbiarmi col mister considerandolo, come ho letto anche sui social, uno poco capace, che fino ad oggi è stato aiutato dalla fortuna. Se vinci uno scudetto in carriera è fortuna. Se porti a casa tredici titoli in tredici anni sei bravo. E basta.

Lo hai fatto con squadre forti? Certo. Date ad Ancelotti un Internapoli qualsiasi e vediamo non se vince lo scudetto, ma se arriva in Europa League. Con tutto il rispetto dovuto all’Internapoli, compagine che vide la nascita di Giorgio Chinaglia. Con tutto l’affetto per Ancelotti (Mou l’ho volutamente evitato, lui raccontano che trasforma tutto ciò che tocca in oro). E spero di aver chiarito il concetto. Credo invece che Roberto Mancini da Jesi debba, per qualche partita, lasciare da parte l’aplomb britannico che lo contraddistingue; bastone e carota li vedo meglio. Anzi, se possibile nemmeno troppa carota.
Buon inizio settimana a Voi.
Amatela. Sempre, comunque ed incondizionatamente.
Ma ogni tanto incazzatevi pure, che fa bene.

Sezione: Editoriale / Data: Lun 26 ottobre 2015 alle 00:00
Autore: Gabriele Borzillo / Twitter: @GBorzillo
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