Né vincitori né vinti martedì scorso a San Siro: Milan e Inter hanno rinviato la sentenza definitiva sulla semifinale di Coppa Italia alla gara di ritorno in programma il prossimo 20 aprile infliggendosi un pareggio senza gol che non fa male sul momento ma potrebbe avere riflessi dannosi sulla loro autostima in chiave scudetto. Come era ampiamente prevedibile, il terzo derby stagionale ha dato come risultato un doppio zero, sintomo del momento di forma di due squadre che faticano a segnare e non sanno più vincere. Ben visibile in campo, ma soprattutto ben udibile nelle interviste post-partita: Simone Inzaghi, invitato a commentare le dichiarazioni di Stefano Pioli, il quale aveva affermato che la sua squadra avrebbe meritato di più, per smentire il collega ha tirato fuori dal cilindro la stracittadina persa sciaguratamente lo scorso 5 febbraio, la madre di tutte le beffe che continua ad avere un peso specifico enorme nello spogliatoio nerazzurro. "Penso che sia giusto il pareggio, le partite vanno interpretate. Noi ci lecchiamo ancora le ferite per un derby perso 2-1 dove il campo avrebbe potuto dire ben altro" ha spiegato. Prestandosi al solito giochino in cui un allenatore 'legge' a caldo la prestazione della sua squadra fotografandola spesso migliore di quello che è.
Le parole dell'ex Lazio sono apparse incerte come tanti appoggi di Handanovic e compagni nel rettangolo verde, a partire dalla giustificazione data per quello che è evidentemente un periodo di appannamento psicofisico: "Penso sia un record arrivare alla 36esima partita già al primo marzo (sono 37 ndr)". In realtà, è semplicemente il calendario che ha avuto anche il Milan a livello quantitativo: tolta la Supercoppa, collocata in un periodo anomalo, le gare disputate sono in parità. La Beneamata ne ha giocata una di più in Champions (andata vs Liverpool) e una in meno in campionato, quella di Bologna che con il passare dei giorni sta diventando sempre più il feticcio al quale assegnare il potere magico del primo posto in classifica. Quei tre punti virtuali sono un pericoloso miraggio per chi continua a ripetersi che "tanto torneremo presto a segnare" (Inzaghi) o che "con una vittoria cambierà tutto mentalmente" (Skriniar). Messaggi che entrano in contraddizione con il percorso fatto fino a poche settimane fa quando il gol sgorgava naturalmente grazie an atteggiamento votato al 'divertimento' e non era l'ossessione per porre fine un momento difficile da spiegare. La ricerca dell'episodio è l'ultima spiaggia di chi è ben consapevole che non può arrivare a vincere attraverso le convinzioni maturate a livello di gioco. La condizione fisiologica di chi non segna da oltre 400 minuti e che vede la porta avversaria come un tabù da sfatare. Un sentimento esattamente opposto rispetto a quello provato tra novembre e dicembre, dove la parola d'ordine era 'libertà'. L'Inter, sprecando il vantaggio accumulato in classifica, è inevitabilmente diventata schiava del risultato proprio nel momento in cui ha perso alcune sicurezze sia collettive che individuali, l'aggravante è che sia successo nella fase chiave della stagione, quella peggiore per scoprire di non essere così superiore alle altre pretendenti al titolo.
Un epilogo ampiamente prevedibile ad agosto, tranne per chi, per mascherare il ridimensionamento imposto da Suning, parlava di rosa più omogenea dopo la campagna acquisti 'di risposta 'alle perdite di tre totem come Lukaku, Hakimi ed Eriksen. Giocatori che semplificano partite complicate e che permettono di ammazzare sportivamente l'avversario senza che questo abbia il tempo di reagire nel finale (quante incompiute nella stagione dell'Inter). Impossibile in questo scenario gestire al meglio a livello energetico la rosa su 38 partite per Inzaghi, che ora sta pagando il conto tutto assieme, anche se qualcuno – non sapendo più dove appigliarsi – ha tirato fuori il dato dei chilometri percorsi dai giocatori. In realtà, nella maratona chiamata Serie A, il tratto di strada impervio di inizio 2022, unito a infortuni e squalifiche, ha fatto inevitabilmente 'selezione' ad Appiano Gentile, evidenziando il gap di affidabilità tra l'Inter dei titolari e delle seconde linee. I 13 giocatori sopra i 1000 minuti in Serie A, con uno stacco importante fino a Sanchez che guida il gruppo dei riservisti con 788', sono due dati emblematici che raccontano quanto sia sottile l'equilbrio tra gli allarmismi estivi (quinto posto) e l'obiettivo qualificazione Champions fissato dalla società (primo posto non obbligatorio) di cui ha parlato recentemente Simone Inzaghi. In mezzo un sogno scudetto che rimane vivissimo dando un occhio alla graduatoria, in quel 55 alla voce punti, l'unico numero che conta in una crisi di risultati che deve per forza di cose sollevare una domanda: l'Inter crede ancora di essere la migliore o basa tutto sulla legge dei grandi numeri?
Autore: Mattia Zangari / Twitter: @mattia_zangari
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