“Basta non gioco più!”. “Signor Cevenini, non posso mica sospendere qui la partita…”. “Fischi la fine, così non si può continuare”. Non sono le polemiche tra un calciatore e un arbitro su un episodio contestato.
Quasi dieci minuti ci vogliono per far alzare Luigi Cevenini, detto “Zizì” per il continuo parlare e polemizzare in campo, dal pallone su cui è seduto per protestare contro la propria squadra che gioca male e non “gira” come lui pretende.
Il più estroso tra gli estrosi, irsuto e spigoloso, divo tra i divi, giudice caustico di tutti e di tutto con la sentenza pronta sulle labbra, è Cevenini il primo vero fuoriclasse della storia dell’Inter. Comasco d’origine, milanese d’adozione, nasce il 13 marzo 1895 terzo di cinque fratelli (Aldo, Mario, Cesare, Carlo), figli di un lattaio con negozio in via Vincenzo Monti, tutti calciatori, tutti, in vari periodi, giocatori nerazzurri.

Un’altra volta si arrabbia con Osvaldo Aliatis, compagno di centrocampo, reo di non avergli passato il pallone con l’esatta forza e precisione. Gli si avvicina e gli tira uno schiaffo (antesignano dell’episodio tra Altobelli e Müller…) tanto che Aliatis imbocca, umiliato, la strada degli spogliatoi. Spogliatoi che accolgono fino a sera anche Cevenini per evitare l’ira degli amici dell’offeso. Vedere un compagno cincischiare con la palla e perderne il possesso, attardarsi nel passaggio, farsi saltare dall’avversario, sbagliare un gol fatto, era per Zizì una pena insopportabile. Che fastidio generano in lui i mediocri! Da questo deriva la pretesa che il gioco si accentri su di lui, di avere ogni compagno puntualmente al suo servizio e al suo livello di classe, fatto praticamente impossibile vista la sua bravura nella visione di gioco, nel palleggio, nel dribbling, nell’assist, nella giocata di fino, nel tiro forte e preciso, sia di destro sia di sinistro. Doti naturali affinate con ore e ore di meticoloso allenamento. Zizì è veloce, vanta un passato nell’atletica sui 100 e 400 metri, gioca indifferentemente mezzala destra e sinistra ed è molto preparato tatticamente. Ma vive in un mondo tutto suo. Una domenica i compagni lo attendono inutilmente prima di una partita: dov’è Cevenini, chi lo ha visto?. Qualcuno parla di un romanzesco rapimento da parte delle società rivali. Le notizie arrivano dopo alcuni giorni da oltremanica: improvvisamente era partito per Londra per giocare nel campionato inglese! Aveva letto un articolo di un quotidiano che decantava le prodezze di Giovanni Moscardini in Scozia e aveva deciso di misurarsi sui campi dei professionisti, inventori del calcio moderno. Svolge alcuni provini, gioca nelle riserve del Plymouth Argyle in Terza Divisione, fa vedere chi è e cosa sa fare. Insofferente alle regole rifiuta alcune proposte di ingaggio e torna a casa. Approfitta di una pausa del campionato e si presenta a Lugano, dove l’Inter avrebbe giocato un’amichevole.
Entra nell’albergo dove i compagni stanno consumando la colazione: “Ragazzi, rieccomi, siete pronti a vincere?”.

Come volergli male? I nerazzurri non fiatano, pacche sulle spalle e bentornato… Allergico alla disciplina e ai consigli dell’allenatore, preferisce recarsi sui campi di periferia a giocare e insegnare calcio ai ragazzini. Quando giornalisti e tifosi lo cercano a casa la moglie risponde: “Cercate Luigi? Lo troverete sul prato”. E sul prato si trovava, intento a redarguire i piccoli allievi se non seguivano i suoi consigli. Quanto era il calcio a influenzare il suo carattere lo dimostrano la cordialità, la semplicità, l’espansività di Cevenini uomo privato. Amante della compagnia, di qualche bicchiere, del gioco delle carte, del biliardo, delle bocce; di tutte quelle distrazioni che attirano uomini e calciatori degli anni 20.

Porta l’Inter a vincere il secondo scudetto della sua storia con 23 reti nel 1919/20 e segna ben 17 gol nei derby (secondo solo a Meazza nella speciale classifica), anche se all’inizio della carriera indossa brevemente la maglia rossonera. Veste la maglia azzurra per 32 volte segnando 11 reti. L’esordio, con gol su rigore, il 31 gennaio ’15 nel 3-1 contro la Svizzera. Il 1 gennaio 1923 contro la Germania gioca centravanti, pareggia il gol dei teutonici e trascina la squadra al 3-1. Chiude con l’Inter il 3 luglio 1927 dopo 190 presenze e 158 gol. Va alla Juventus, nel 1930 passa al Messina dove ricopre il ruolo di allenatore-giocatore, l’anno successivo, nonostante i 37 anni, guida la squadra alla promozione in serie B. Appende gli scarpini al chiodo all’Arezzo dove gioca qualche gara a 44 anni suonati.
“Se De Vecchi è il figlio di Dio, Zizì è il Dio del calcio fatto uomo”, questo dicevano di Cevenini i tifosi dell’Inter per rispondere ai rossoneri che inneggiavano a Renzo De Vecchi. Qualcuno dice che il nostro bausciare sia nato così.

Sezione: Vintage / Data: Ven 23 marzo 2012 alle 15:35
Autore: Marco Pedrazzini
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