Lunga intervista Luigi De Siervo ai microfoni di Radio Serie A TV, durante la quale l'amministratore delegato della massima lega italiana parla con orgoglio della stagione appena conclusa: "Non si poteva avere di meglio. Quello che si è visto è stato un campionato deciso all'ultimo minuto, il quarto club diverso che vince in sei anni. Il fatto che ogni obiettivo sia contendibile credo che sia dal punto di vista sportivo e anche degli investitori l’obiettivo reale. La creazione di un lavoro attento che parte dalla ridefinizione di aspetti strettamente produttivi fino alla determinazione di una strategia commerciale di marketing hanno riposizionato la Serie A come un campionato di assoluto vertice".
Rinascita del calcio italiano:
"Il calcio italiano sta rinascendo in un contesto globale e complessivo molto più difficile rispetto alla realtà degli anni 90 in cui eravamo leader nel mondo. Abbiamo gli stadi più vecchi d'Europa che hanno in media 75 anni ed esiste quindi un'urgenza strutturale che ci auguriamo possa essere risolta soprattutto con l'aiuto del Governo che dovrebbe istituire una nuova figura come quella del Commissario degli Stadi. Questa figura aiuterebbe gli investitori legati ai club a fare quell'investimento fondamentale, come è successo nel calcio tedesco trasformando il loro campionato grazie agli investimenti fatti per il Mondiale del 2006. Ci auguriamo tutti che avendo all'orizzonte un europeo, nei prossimi anni si riesca nei tempi definiti dalla UEFA a fare gli investimenti per riqualificare i nostri stadi e migliorare lo spettacolo e l'esperienza sia del pubblico che fisicamente si reca allo stadio ogni domenica ma anche e soprattutto dal punto di vista televisivo perché lo stadio virtuale è importante tanto quanto lo stadio fisico".
Sold out allo stadio:
"Dopo quello che è stato l'incubo del Covid le persone si sono legate agli interessi più profondi e il calcio è l'ultimo rito collettivo emotivo di questo periodo storico. L’abbiamo visto nello spettacolo della serata di Napoli, vedendo cantare 60 mila persone allo stadio all’unisono, mezzo milione di persone che si sono riversate in una città, abbiamo visto una Napoli illuminata a giorno come nella notte di Capodanno, e questo fa capire come il calcio abbia questa forza di trasporto ancora fortissima. È la stessa gioia dei festeggiamenti a Bologna per il ritorno dopo 51 anni alla vittoria in una competizione. Sappiamo che l'indice di riempimento degli stadi ha superato il 92% e questo è un trend che si è consolidato. Credo sia importante anche per il pubblico comprendere come il risultato che oggi si vede in campo, sia frutto di un enorme lavoro fatto di dettagli che è iniziato sei anni fa.
Sul VAR:
"Abbiamo investito in tecnologie, mettendo a disposizione degli arbitri ogni anno le ultime innovazioni per consentir loro di sbagliare il meno possibile. Il VAR ha ridotto del 90% gli errori, l'AIA sta facendo un lavoro difficilissimo ma fondamentale per avere un'uniformità di giudizio e questo è un elemento umano che richiede un certo tempo per poterlo adeguare. In realtà la Serie A, più di qualunque altro campionato, ha sempre investito e continuerà ad investire in tecnologie".
Le tecnologie:
"Noi abbiamo fatto una scelta importante. Abbiamo capito che per poter fare un salto evolutivo avevamo bisogno di governare l'elemento dell'innovazione. Siamo stati i primi ad introdurre il fuorigioco semiautomatico. La goal line technology, ad esempio, che per noi è un tema ormai antico, in Spagna non c’è ancora, tant'è che il campionato lo scorso anno è stato deciso non vedendo un gol fantasma di Yamal. Abbiamo aumentato il numero di telecamere e la capacità delle stesse con droni e carrelli per avvicinare l'azione entrando nell'evento come nella NFL, quindi l'obiettivo è creare un prodotto sempre migliore. Non ci fermiamo poi a questo, perché l’innovazione ci permette anche di tradurre in moltissime lingue i nostri contenuti con l’intelligenza artificiale, di produrre highlights per ogni singola piattaforma social, ci consente quindi di essere più vicino all'utente finale. Questo investimento spesso non viene apprezzato come tale, ma in realtà aiuta il prodotto ad essere più vicino alle esigenze del pubblico. L'obiettivo reale è accorciare la distanza creando una forma di sinergia e questo credo che progressivamente si stia vedendo sempre di più".
Gli stadi:
"Abbiamo finalmente proprietà, soprattutto quelle internazionali, che non vedono l'ora di poter investire centinaia di milioni nella costruzione di impianti funzionali alla visione prolungata nel tempo, perché poi nello stadio si rimane per un periodo molto lungo: prima, durante e dopo la gara e questo per vivere l'esperienza fino in fondo. Ringraziamo il Ministro Abodi per quello che sta facendo, per l'impegno che sta mettendo nel creare questa opportunità. Siamo però davanti al paradosso: per la prima volta ci sono i soldi e le condizioni di mercato per poter accogliere un'offerta di prodotto nuova, più innovativa e funzionale, ma con un lungo iter burocratico. Gli impianti all'altezza sono quelli che generano dei ricavi: il risultato economico della partita Inter-Barcellona ha portato oltre 14 milioni di euro soltanto per una gara, un risultato straordinario che per alcune squadre non è neanche l’incasso di tutta la stagione, e questo ci restituisce come il nostro paese possa ancora ospitare dei grandi eventi con incassi roboanti anche per una sola gara. Questo dà la misura di come un impianto all'altezza, in questo caso con dei servizi a metà, può già generare. Immaginiamo se dovessimo arrivare a ristrutturare impianti fondamentali come quello di Milano, di Roma o di Napoli, cosa potrebbero restituire in termini di ricavi alle squadre. Il peccato mortale che sta avvenendo è che noi abbiamo la cultura calcistica che ci consente di organizzarci per poter essere competitivi, quindi la parte tecnico-tattica, gli allenatori in senso lato come concetto fondamentale. Abbiamo anche il pubblico che può sostenere con grande passione e entusiasmo questo effort. Quello che ci manca e che è mancato negli ultimi 20 anni è l'elemento organizzativo che tiene insieme questo e un'attenzione della politica, perché ha sempre trattato il calcio come la terra di nessuno in cui ciascuno faceva l'annuncio di grido, ma senza poi realmente impegnarsi per aiutare questa che è a tutti gli effetti un'industria ad evolversi in linea con i tempi. Quindi ci auguriamo che in questo momento storico la nostra richiesta venga esaudita".
L'adattamento con le proprietà straniere:
"Avere proprietà straniere crea un processo interessante, multiculturale, e dinamico, che arricchisce il confronto come è naturale che sia. L'equivoco che si pone dall'esterno del nostro mondo è la lettura che gli stranieri siano un corpo unico, in realtà non c’è niente di più diverso perché ciascuna di queste proprietà ha una storia e un percorso totalmente differente: abbiamo grandi uomini che tornano in Italia per un tema di affetto nei confronti del nostro Paese e vogliono fare in maniera più vicina a quella che era l'attitudine dei grandi presidenti degli anni 90 e ci sono invece dei fondi di investimento che hanno logiche e dinamiche completamente diverse. Il primo elemento è capire la diversità delle attitudini per cui i grandi investitori internazionali investono in Italia. La cosa interessante è che siamo, a tutti gli effetti, il campionato su cui si è più investito in un tempo così breve nel corso degli ultimi anni, anche se il freno che hanno alcuni di loro è l'incertezza rispetto a progetti di sviluppo. In qualunque altra parte del mondo avere la capacità di investimento, avere una base di tifosi da dover servire, trova nella politica il primo alleato, cosa che non sempre questo Paese è stato capace di fare. Dopodiché, l'obiettivo è creare una sinergia con il pubblico, che è sempre un elemento delicato. Credo che i manager che gestiscono le squadre debbano necessariamente essere ancora, almeno per un periodo prossimo, italiani. Non credo che un manager, per quanto bravo e anche con esperienza, possa arrivare da qualsiasi Paese in un Paese complesso come il nostro e riuscire dalla mattina dopo a performare in una certa maniera. Mi auguro che le proprietà internazionali continuino ad essere presenti, continuino a vederci come un Paese in cui si possa fare e che possano apprezzare questa grande passione, un valore che loro stessi ritengono possa essere valorizzato e su questo noi saremo i primi alleati. Dall'altra ci vuole l'umiltà di capire che il contesto in cui si lavora è diverso, che non è necessariamente peggiore di quello internazionale, ma che richiede persone che hanno una sensibilità più territoriale. E da questo punto di vista, nell'arco di 5, 6, 7 anni, non ci sarebbe nulla di male se ci fossero poi anche nella parte manageriale, dei manager stranieri".
Presidiare i mercati internazionali:
"Nel tempo abbiamo perso un po' la dinamica sportiva perché i grandi campioni, è inutile nasconderlo, non sono più tutti qua, ma sono prevalentemente in altri campionati. Quello che aiuterebbe, inutile nascondersi, sarebbe l’arrivo di calciatori forti, di alcuni paesi simbolo. Quindi spostare calciatori importanti ci aiuterebbe a fare questo lavoro. Dall’altra parte, è importante continuare a organizzare partite all’estero: lo fa da anni l'NBA, l'NFL, lo fa la Serie A dal 1993. Quest'anno saremo ospiti ancora nella formula della Supercoppa a quattro squadre in Arabia Saudita, saremo a Riyadh, con Napoli, Inter, Bologna e Milan. Torneremo a parlare di noi in quel contesto e queste competizioni, che consentono di spostare i giocatori per circa una settimana, aiutando il brand ad affermarsi in quel contesto e nel tempo a generare una domanda di Serie A superiore a quella che ha attualmente".
Il futuro della Serie A:
"Il calcio ha avuto un incremento costante nel tempo dei valori complessivi, e ci si è curati poco del contesto, ma anzi, si è pensato a raccogliere il massimo. In un momento in cui il mercato si sta bloccando per tutte le competizioni, è bene ricordare che la Premier League, che passa per essere un campionato senza limiti, in realtà quest'anno per mantenere lo stesso valore in Inghilterra ha dovuto mettere a disposizione il 20% di partite in più, quindi di fatto ha perso in valore se lo si analizza. Ma questo è per far capire che c'è maggior consapevolezza delle difficoltà, ma anche una maggiore fiducia nella Lega, e questo lo abbiamo conquistato con il lavoro di questi sei anni. Quest'elemento, con le proprietà internazionali che hanno più cultura della delega, ci consentirà in un clima più disteso dal punto di vista manageriale, di lavorare in maniera seria e continuativa su degli obiettivi su cui c'è un confronto quotidiano con le squadre, nelle forme, nelle commissioni, nel Consiglio di Lega, e soprattutto nell'organo finale che è l'Assemblea".
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