Essendo nato a Reggio Calabria sono ovviamente un tifoso della Reggina, che seguo con interesse anche se non con la frequenza dell’Inter. In questa stagione di Serie B ho potuto constatare l’andamento positivo della squadra di Atzori, nata con l’intento di disputare una buona stagione ma senza particolari ambizioni. La società da oltre 20 anni gestita da Lillo Foti ha infatti deciso di ripartire quasi da zero, costruendo un gruppo di giovani che nel tempo acquisissero la giusta esperienza per dire la loro in un torneo duro come quello cadetto. Decisione apprezzabile, per un club che non ha fretta di scalare nuovamente le classifiche e preferisce farlo non appena i suoi giocatori saranno pronti per il grande salto. Eppure, contro ogni previsione, la Reggina si è guadagnata il diritto di disputare i playoff promozione, non certo una bazzecola considerando che il Torino è rimasto fuori.
Domenica sera i calabresi hanno giocato a Novara, grande favorita per la promozione, sfiorando l’impresa di eliminare dalla corsa alla A la squadra di Tesser, miracolosamente qualificatasi grazie a un jolly al 90esimo di Rigoni, quando la doppietta di Bonazzoli sembrava poter essere determinante. Peccato davvero, da tifoso reggino già pregustavo lo spareggio promozione contro il Padova, premio per il lavoro svolto dalla società nel crescere dei ragazzi ambiziosi e desiderosi di farsi notare dal grande pubblico. Ecco, al di là della mia passione per la Reggina, quello che vorrei sottolineare è quanto la programmazione, anche quella di lungo termine, possa fare solo del bene a una squadra. Si pensi a quelle società che hanno fretta di risalire le classifiche e cercano rapide soluzioni, poco ponderate, per riuscirvi (Juventus e Torino, per non scontentare nessuno in città). Senza la programmazione non si va da nessuna parte, la fretta è cattivissima consigliera.
L’exploit (mancato) della Reggina testimonia quanto sia utile puntare sui giovani (in 17, nella rosa amaranto, non superano i 25 anni), soprattutto quelli cresciuti in casa. In tal senso, mi fa davvero piacere che anche un club come l’Inter, decisamente più ambizioso e ‘ricco’ rispetto alla Reggina, stia avanzando nella stessa direzione. Forse oggi gli over 30 nella rosa nerazzurra sono troppi, ma a certi livelli l’esperienza conta, eccome. L’esempio del Borussia Dortmund è lungimirante, ma in ambito europeo solo il Barcellona ha dimostrato che la sfrontatezza giovanile può pagare. Ma quello blaugrana è un caso limite, difficilmente eguagliabile. Ciononostante, è giusto a mio modo di vedere dare maggiore fiducia agli under 25, soprattutto a quelli cresciuti nella propria scuderia e quindi ben conosciuti dallo staff. Il primo pensiero va alla Primavera nerazzurra, che ha conquistato il Viareggio ma ora perderà alcuni dei suoi pilastri, il cui destino è al bivio: prima squadra o prestito (salvo cessioni in comproprietà o definitive). Dare fiducia ad alcuni dei puledri allenati fino a poche settimane da Fulvio Pea sarebbe il giusto riconoscimento al lavoro svolto dalla dirigenza.
Da tempo i nerazzurri hano varato la linea verde, non a caso hanno messo le mani su promesse quali Castaignos, Alborno, Livaja e Ona, che probabilmente dovranno fare esperienza altrove, chi per poco spazio, chi per un passaporto da extracomunitario. Con loro, i vari Caldirola, Dell’Agnello, Faraoni, Crisetig, Benedetti eccetera eccetera, che potrebbero farsi le ossa altrove ma meriterebbero di rimanere nell’orbita della prima squadra per farsi trovare pronti in caso di chiamata. Il mio purtroppo è un ragionamento utopico, appare infatti molto difficile che l’Inter, ‘costretta’ a vincere ogni anno, dia spazio all’esuberanza giovanile togliendone all’esperienza dei suoi campioni. Il rischio è trovarsi a giocare una partita di poker delicata senza avere le carte giuste in mano. Come rinunciare a giocatori affermati, per quanto avanti nell’età, per lanciare dei ragazzi affamati di grande calcio ma privi di spalle abbastanza larghe per affrontare determinate pressioni? È qui che entra in gioco la programmazione: un po’ alla volta la società di Corso Vittorio Emanuele ha intenzione di equilibrare la propria rosa, aggiungendo giovani di prospettiva e privandosi di campioni ormai agli sgoccioli della propria carriera.
Un completo restyling avrebbe senso in un campionato come la Serie B (la Reggina stessa comunque si affida a Bonazzoli e Giacomo Tedesco, ultratrentenni, che si sono rivelati fondamentali), per una squadra che non vuole correre troppo, ma la Serie A e il fatto di essere l’Inter invitano a un altro ragionamento: il rinnovamento deve essere graduale, non ha senso, come sento dire in giro, privarsi in un sol colpo dei giocatori non più giovanissimi per acquistare campioni in erba senza pedigree e, per giunta, costosissimi. Gente come Cambiasso, Lucio, Samuel, Julio Cesar, Milito, Maicon e Chivu, pur avendo superato (o quasi) la trentina, hanno ancora diverse stagioni ad alto livello davanti e la loro esperienza sul rettangolo di gioco è fondamentale soprattutto in ambito europeo. L’età avanzata, da un certo punto di vista, può essere un vantaggio, ma a questa va accostata anche freschezza, o sangue nuovo, come lo definisce Moratti. Il processo è in atto da tempo, il presidente vuole lasciare nelle mani del figlio Angelomario una squadra che abbia tanti anni davanti, ma che non venga ribaltata come un calzino senza raziocinio.
Anche il pressing su Sanchez (22enne) rientra nella strategia di ringiovanire il gruppo senza per questo privarlo di tasso tecnico, ma un’operazione del genere non sarà l’abitudine, bensì un caso a parte. Perché i baby talenti l’Inter li sta raccogliendo sia dalla propria scuderia, sia in giro per il mondo, e li sta prendendo a costi estremamente contenuti. Non ha senso, infatti, spendere vagonate di milioni per accaparrarsi giovani talenti che altri club hanno cresciuto. Anche la pasta, se fatta in casa propria, costa meno e ha un sapore migliore. E io sono davvero curioso di sapere di che pasta sono fatti questi giovanotti, senza però rinunciare a una squadra che possa ancora offrirmi le garanzie a cui mi ha abituato negli anni. L’equilibrio e la programmazione, dunque, prima di tutto: in casa Inter lo hanno già capito da tempo...
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