Forse nemmeno all’epoca dello scudetto perso clamorosamente nel 2002, o nemmeno la stagione prima quando Marcello Lippi salutò invitando il presidente a usare un trattamento speciale ai calciatori a base di pesanti punizioni corporali dagli spogliatoi dello stadio di Reggio Calabria o si perdevano i derby per 0-6 (anche se poi alla fine in classifica si arrivò davanti ai rossoneri, inutile consolazione). E anche andando a ritroso nel tempo, i periodi bui di casa nerazzurra sono stati parecchi. Ma mai come questa volta, l’ambiente nerazzurro, dai vertici alla tifoseria, ha vissuto un picco di disagio, imbarazzo e inquietudine come quello attraversato in questi ultimi sette giorni sull’orlo di una crisi di nervi. E mai come in un momento talmente tragicomico come quello appena trascorso, servivano delle scosse, delle scosse anche di quelle clamorose.
Serviva una scossa in primo luogo da parte della squadra, e alla fine proprio la squadra è riuscita perlomeno a trovare un lieto fine a questa pagina da incubo. Certo, la vittoria contro il Crotone ultimo in classifica è arrivata in una maniera non propriamente convincente: considerata anche una formazione avversaria che ha badato essenzialmente a non prenderle lasciando Samir Handanovic per novanta minuti a guardare il match da posizione privilegiata, si presumeva che, anche in un quadro fisico e psicologico non dei migliori, un successo potesse arrivare in modo rapido e senza troppa sofferenza. E invece, ci sono voluti 83 minuti prima che Ivan Perisic, dimenticato non si sa bene perché dalla difesa pitagorica, si involasse comodo comodo verso l’area su assist di un Mauro Icardi versione finisseur e bucasse Alex Cordaz con il suo perfido diagonale. I gol del capitano arrivano a stretto giro di posta con la breccia ormai aperta, rendendo più pingue il bottino. Tutta salute per un gruppo che arrivava da prestazioni sconfortanti, tanti sorrisi per Stefano Vecchi, premiato per la serietà e la dedizione mostrata nel sempre arduo compito di traghettatore dopo il ribaltone dell’allontanamento di Frank de Boer. Sei giorni sicuramente particolari nei quali però il tecnico bergamasco ha mostrato compostezza, senza farsi prendere troppo dal ciclone che imperversava intorno a lui. E come premio prima di tornare felice dai suoi ragazzi, niente di più di una semplice maglietta di Mauro Icardi.
Mentre però Vecchi portava avanti il suo lavoro di responsabile ad interim della guida tecnica, fuori succedeva di tutto e di più: succedeva che la dirigenza nerazzurra probabilmente toccava il punto di minima della sua storia con il clamoroso voltafaccia nei confronti di Frank de Boer, difeso a spada tratta durante l’assemblea dei soci di qualche giorno fa, in un’atmosfera dove però chi si è speso anche con toni accesi per difendere l’operato del tecnico di Hoorn faticava parecchio, forse, a trovare il profondo convincimento in quello che andava a dichiarare. Dalla cacciata di De Boer è nato un tornado di sensazioni negative che ha destabilizzato nelle fondamenta tutto il mondo nerazzurro, coi tifosi a porsi seri interrogativi sui destini di questa stagione se non addirittura di un intero sistema. Sono venuti a nudo tutti i limiti di una frammentazione di provenienze, opinioni, interessi. E mai come in questo caso, occorreva un segnale forte, un intervento forte per ricomporre ordine e gerarchie. Insomma, per ridare credibilità ad un club la cui credibilità ha vacillato in maniera pericolosa come mai forse è successo nella lunga storia della squadra dai colori del cielo e della notte.
Per provare a togliere l'Inter dal marasma generale, si è reso così necessario l'intervento delle forze speciali provenienti direttamente da Nanchino: missione (non) impossibile per gli uomini provenienti dal quartier generale di Suning, che hanno deciso di prendere direttamente in mano la questione, vagliando in prima persona gli eventuali successori dell'olandese, una pratica che è stata subito definita in mille modi, più o meno ironici. Ha preso il sopravvento il termine casting, giudicato in maniera negativa da Piero Ausilio che ha sottolineato come intorno all'Inter si tende troppo spesso a fare del cinema, ma è innegabile che l'intera vicenda ha assunto i contorni di una selezione da talent show, fenomeno ormai in voga da diversi anni. Ma a dare da pensare non è proprio la modalità di scelta, anzi si può tranquillamente obiettare che il voler selezionare il nuovo tecnico di par loro, anche con l'aiuto di consiglieri interni e no, sia una scelta logica da parte della proprietà, che mette i soldi e quindi vuole capire pregi e difetti di ciascun candidato prima di scegliere quello ideale. Di più, può anche essere interpretata come una presa di coscienza del fatto di non essere ancora integrati pienamente nel sistema calcio italiano, da non far pesare in un momento terribilmente delicato come questo.
Se proprio una cosa da cinema c'è stata in tutto questo, al di là della sovraesposizione che ha teso a spettacolarizzare i vari capitoli, è stato il colpo scena finale: sembrava tutto fatto per l'arrivo di Marcelino Garcia Toral, ex tecnico del Villarreal, che solo la sera prima sorrideva davanti ai cronisti nell'ascensore di un albergo di MIlano. E invece, dopo la deviazione peraltro non molto comprensibile su Gianfranco Zola, alla fine la scelta è caduta su Stefano Pioli, dato per favorito nelle ore immediatamente successive al benservito a De Boer, poi scavalcato e infine capace di compiere la rimonta vincente. A meno di colpi di scena ormai improbabili, quindi, sarà l'ex tecnico di Lazio e Bologna il nuovo allenatore dei nerazzurri; cosa accadrà è difficile dirlo, di certo i puristi dell'italico pallone, quelli tanto scandalizzanti dalla presenza di un alieno olandese, hanno subito applaudito la scelta di un tecnico nostrano che conosce bene l'ambiente (sì, quello dei risultati tutti, maledetti e subito). Di certo, avrà una bella mole di lavoro ad attenderlo, nell'auspicio di riportare all'Inter quel po' di serenità che manca ancora dannatamente.
Se fosse stato Marcelino a vincere questa corsa, sempre rimanendo in tema di casting e di talent show, sarebbe sicuramente partito un augurio del tipo: 'Tú sí que vales', anche in ossequio alle origini. Ma ora il dado pare essere tratto, e ora l'Inter sembra pronta a ripartire. Con la speranza che questa volta si riesca a costruire davvero qualcosa di concreto, che il nuovo tecnico non venga lasciato da solo in balia delle onde anche perché Ausilio e Giovanni Gardini con il suo arrivo si giocano forse l'ultima carta per strappare nuovamente la fiducia dei cinesi, perché da ora in avanti è chiaro che chi sbaglia paga pegno, chiedere a Michael Bolingbroke, ultimo avamposto dell'era di Erick Thohir destinato a smontare le tende, per informazioni. La stagione, forse, non è ancora del tutto compromessa, ma per ribaltare tutto serve cominciare gradualmente a ricreare un'unità, un'identità, uno spirito di appartenenza che negli ultimi anni è latitato, preda delle individualità e degli opportunismi. Serve, insomma, ricreare un benedetto 'Inter-factor'.
Autore: Christian Liotta / Twitter: @ChriLiotta396A
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