Errare umano, perseverare è diabolico. Ma ad essere diabolico ieri contro il Sassuolo è Simone Inzaghi, reo di perseverare sì ma non nell’errore. Due soli punti nelle ultime due partite - tra campionato e Champions - arrivati con fatica e a causa di qualche scelta dell’allenatore senza dubbio rivedibile. A San Siro più che a Kiev, dove lo scorso sabato contro l’Atalanta i nerazzurri raccolgono un solo punto che lascia in bocca l’amaro di uno spreco che vale quasi un ko. "Dimarco dal dischetto, scelta mia, errore mio” ha detto il piacentino nel post gara, sciorinando un mea culpa che non ha funto esclusivamente da facciata.
Una macchia che l’ex laziale però non riesce a cancellare tantomeno a lenire in territorio ucraino, dove il copione recitato dai campioni d’Italia è il peggiore della stagione fino a questo momento e che complica il cammino europeo già alla seconda uscita. Nella freddina serata di Kiev, i nerazzurri ripiombano nell’incubo della morsa ucraina con l’aggravante di una serie di errori tecnici che inchiodano il tabellino sullo 0-0 e gli attaccanti, colpevoli di una lucidità smarrita per tutto il corso della gara che trova replica nei primi quarantacinque minuti di ieri sera a Reggio Emilia. Ma al Mapei la confusione parte dal centrocampo e si allarga ad attacco e difesa, una dilatazione a macchia d’olio che va in crescendo fino a trovare l’apice negli ultimi trenta minuti della prima frazione di gioco, letteralmente da dimenticare per citare lo stesso Inzaghi che alla fine della fiera trova ciò che cercava: reazione della squadra e risultato positivo finale. Un lieto fine che il piacentino deve a Edin Dzeko, tra i più criticati di Kiev, il più sottovalutato degli acquisti e il più decisivo in questa prima parte di stagione.
In queste prime sette uscite infatti l’elegante ma silenzioso cigno di Sarajevo incassa titubanze, scetticismo, critiche senza proferir parola e quando è chiamato in causa risponde con serena ma convinta concretezza: "Il mio impatto? Me lo aspettavo perché conosco le mie qualità e se lo aspettava anche l’Inter, per questo mi ha preso". Uno a zero e palla al centro. Anzi no. Sul cronometro è il 57esimo, poker di cambi: Dzeko per Correa, oggi lontano dal suo massimo splendore, giusto qualche secondo di corsetta su e giù dalle parti di Consigli e capocciata da manuale. Cross di Perisic a cercare Edin che lo vede, si tuffa e inzucca: 1-1 e palla al centro. Sesto gol in sette partite di campionato, un dato da ricercare nel lontano 97/98 ai tempi di un certo Fenomeno a riprova di una decisa convinzione in serbo non certamente esclusivamente a parole. "Il calcio è così, oggi sbagli e domani fai gol" dice ancora a Sky.
Oggi sbagli, domani no. E così anche Inzaghi che il lieto fine lo assapora non di certo esclusivamente grazie a Dzeko, ma anche e soprattutto a se stesso. Se a Kiev la prova scolorita dei suoi ha contagiato anche la panchina, a Reggio Emilia non c’è impasse che tenga e di domo nel secondo tempo c’è poco. La scossa dei quattro cambi insieme, scelta mai fatta finora dal tecnico, elettrizza e rivitalizza chi resta sul rettangolo verde, sebbene già al rientro dagli spogliatoi il cambiamento di repertorio musicale era già evidente. Vidal per Calhanoglu, Darmian per Dumfries, Dzeko per Correa e Dimarco per Bastoni. Inzaghi non ne sbaglia una: Vidal mette garra e fisico al centro, Darmian prova ad arginare Boga, in modalità scheggia nel fianco, Dimarco dà una mano a Perisic nel dare spinta e benzina in avanti sulla corsia di sinistra, Dzeko spezza la difesa avversaria, portiere compreso (prima battuto nell’episodio del gol, poi annebbiato, nel tentativo di fermare lo stesso numero nove, commette fallo concedendo un rigore che non riesce a parare su Lautaro) e vince la gara. Il Sassuolo perde sicurezza, l’Inter prima la riacquista poi la gestisce fino al triplice fischio quando, in rimonta e con reattività (ad onta di fatica e risultato) conquista tre punti che lasciano dormire sogni tranquilli in vista della pausa per le Nazionali. Una sosta meritata che fa riflettere e lavorare sugli errori come spiega lo stesso Inzaghi, lasciando a se stessi (e agli altri) la consapevolezza che "oggi sbagli, domani fai (e fai in modo che la tua squadra faccia) gol".
Una macchia che l’ex laziale però non riesce a cancellare tantomeno a lenire in territorio ucraino, dove il copione recitato dai campioni d’Italia è il peggiore della stagione fino a questo momento e che complica il cammino europeo già alla seconda uscita. Nella freddina serata di Kiev, i nerazzurri ripiombano nell’incubo della morsa ucraina con l’aggravante di una serie di errori tecnici che inchiodano il tabellino sullo 0-0 e gli attaccanti, colpevoli di una lucidità smarrita per tutto il corso della gara che trova replica nei primi quarantacinque minuti di ieri sera a Reggio Emilia. Ma al Mapei la confusione parte dal centrocampo e si allarga ad attacco e difesa, una dilatazione a macchia d’olio che va in crescendo fino a trovare l’apice negli ultimi trenta minuti della prima frazione di gioco, letteralmente da dimenticare per citare lo stesso Inzaghi che alla fine della fiera trova ciò che cercava: reazione della squadra e risultato positivo finale. Un lieto fine che il piacentino deve a Edin Dzeko, tra i più criticati di Kiev, il più sottovalutato degli acquisti e il più decisivo in questa prima parte di stagione.
In queste prime sette uscite infatti l’elegante ma silenzioso cigno di Sarajevo incassa titubanze, scetticismo, critiche senza proferir parola e quando è chiamato in causa risponde con serena ma convinta concretezza: "Il mio impatto? Me lo aspettavo perché conosco le mie qualità e se lo aspettava anche l’Inter, per questo mi ha preso". Uno a zero e palla al centro. Anzi no. Sul cronometro è il 57esimo, poker di cambi: Dzeko per Correa, oggi lontano dal suo massimo splendore, giusto qualche secondo di corsetta su e giù dalle parti di Consigli e capocciata da manuale. Cross di Perisic a cercare Edin che lo vede, si tuffa e inzucca: 1-1 e palla al centro. Sesto gol in sette partite di campionato, un dato da ricercare nel lontano 97/98 ai tempi di un certo Fenomeno a riprova di una decisa convinzione in serbo non certamente esclusivamente a parole. "Il calcio è così, oggi sbagli e domani fai gol" dice ancora a Sky.
Oggi sbagli, domani no. E così anche Inzaghi che il lieto fine lo assapora non di certo esclusivamente grazie a Dzeko, ma anche e soprattutto a se stesso. Se a Kiev la prova scolorita dei suoi ha contagiato anche la panchina, a Reggio Emilia non c’è impasse che tenga e di domo nel secondo tempo c’è poco. La scossa dei quattro cambi insieme, scelta mai fatta finora dal tecnico, elettrizza e rivitalizza chi resta sul rettangolo verde, sebbene già al rientro dagli spogliatoi il cambiamento di repertorio musicale era già evidente. Vidal per Calhanoglu, Darmian per Dumfries, Dzeko per Correa e Dimarco per Bastoni. Inzaghi non ne sbaglia una: Vidal mette garra e fisico al centro, Darmian prova ad arginare Boga, in modalità scheggia nel fianco, Dimarco dà una mano a Perisic nel dare spinta e benzina in avanti sulla corsia di sinistra, Dzeko spezza la difesa avversaria, portiere compreso (prima battuto nell’episodio del gol, poi annebbiato, nel tentativo di fermare lo stesso numero nove, commette fallo concedendo un rigore che non riesce a parare su Lautaro) e vince la gara. Il Sassuolo perde sicurezza, l’Inter prima la riacquista poi la gestisce fino al triplice fischio quando, in rimonta e con reattività (ad onta di fatica e risultato) conquista tre punti che lasciano dormire sogni tranquilli in vista della pausa per le Nazionali. Una sosta meritata che fa riflettere e lavorare sugli errori come spiega lo stesso Inzaghi, lasciando a se stessi (e agli altri) la consapevolezza che "oggi sbagli, domani fai (e fai in modo che la tua squadra faccia) gol".
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