"Ma non è vero, come dicono molti, che si può seppellire il passato. Il passato si aggrappa con i suoi artigli al presente" scriveva Khaled Hosseini nel suo primo romanzo, "Il cacciatore di aquiloni". Il passato è come un timbro indelebile impresso sull'anima. Eppure è al tempo stesso il motore che muove le azioni del presente. In base al futuro che vogliamo scrivere. Il passato è una lezione tatuata sottopelle e come tutti i tatuaggi, al momento di essere impressi fanno male. Ma non tutti si lasciano impressionare. La soglia del dolore poi, cambia del tutto da persona a persona.
Anche l'Inter ha il suo passato che è fatto di tante cose. E' fatto di storia. Quello degli anni recenti, però, ha impresso lezioni a volte molto dolorose, dolorosissime. Il problema principale di una squadra che nelle ultime stagioni ha vissuto di alti e bassi, con strisce positive seguite da crolli improvvisi e più o meno duraturi, da risalite e rimonte alternate a black out irrimediabili, è stato, appunto, la continuità. Perché per avere continuità serve, tra le altre doti, un giusto atteggiamento mentale. Serve essere su una corda in tensione che vibra costantemente e non comodamente rilassati su qualche buon, o persino ottimo, risultato messo da parte. Serve non accontentarsi.
"Stiamo mettendo un po' di fieno in cascina per l'inverno" diceva Roberto Mancini nel 2015 quasi a giustificare un'Inter inaspettatamente prima in classifica. Come a dire: non siamo fatti per stare al vertice e prima o poi scenderemo. Vero. Infatti quell'Inter scivolò al quarto posto. E molto spesso, negli ultimi tempi, giocatori, allenatori, tifosi, opinionisti eccetera si sono lasciati scappare quel "chi l'avrebbe mai detto che ci saremmo trovati qui?" che sa di pericoloso alibi.
Chi l'avrebbe mai detto che l'Inter a dicembre sarebbe stata prima in classifica? Chi l'avrebbe mai detto che sarebbe stata seconda in classifica? E via dicendo, ogni volta che i nerazzurri, trasportati dai loro picchi verso l'alto, raggiungevano una vetta, o una quota comunque elevata, poi però non mantenuta. Questo, probabilmente, ha creato nella testa dei giocatori la consapevolezza che in quel momento avessero ottenuto più di quanto ci si aspettasse da loro. E che quindi, nessuno avrebbe avuto da ridire se poi, per caso, fossero arrivati dei risultati negativi. Tanto il fieno in cascina per l'inverno era già stato messo.
Per questo, anche oggi, sentir dire, pur giustamente, "chi l'avrebbe mai detto che in un girone di Champions così difficile saremmo arrivati a giocarci la qualificazione all'ultima giornata?" suona sinistro. A Londra l'Inter ha avuto una grande occasione e non l'ha saputa sfruttare. Per i meriti di un avversario fortissimo ma anche per demeriti suoi. Il Tottenham è squadra che gioca un calcio tra i più belli in Europa. E' squadra che ha dominato la Juventus lo scorso anno agli ottavi. Ma spesso è anche una squadra bella che non balla, che non sa chiudere le partite, che non sa vincere quando è ora (ad Allegri bastarono due giocate di Higuain e Dybala nel giro di cinque minuti per rendere vano il dominio inglese).
Ma se per fare il primo tiro in porta fai passare 70 minuti (col Barcellona ne erano serviti persino di più) allora questo significa due cose: che a certi livelli, e parliamo di livelli altissimi sia chiaro, l'Inter fatica a stare; e che quel punticino che sarebbe servito per qualificarsi forse non lo hai cercato abbastanza da meritarlo, forse non hai fatto una prestazione all'altezza di un ottavo conquistato con un turno d'anticipo.
Ma chi l'avrebbe mai detto che in un girone così difficile saremmo stati ancora in ballo all'ultima giornata? Sì, vero, innegabile. Ma l'aver fatto bene le prime due partite ed essersi eroicamente salvati col Barcellona con una resistenza che manco i 300 spartani nella battaglia delle Termopili, non giustificherebbe una, eventuale, mancata qualificazione che a un certo punto è stata distante solo 10 minuti ma che l'Inter ha fatto comunque ben poco, o troppo poco, per andarsi a prendere sul prato glorioso di Wembley.
Nel frattempo l'Inter, prima di giocarsi tutto col PSV, ingannerà l'attesa sfidando Roma e Juventus in campionato e fornendo indicazioni importanti sul proprio reale spessore. Perché all'Olimpico prima e all'Allianz Stadium poi servirà non disperdere quel patrimonio accumulato con otto vittorie nelle ultime nove giornate. Servirà non accontentarsi pensando di essere terza in classifica... e chi lo avrebbe mai detto in estate?
Perché la stagione entra nel vivo ora ed è ora che serve accelerare e rispondere presente anziché sedersi a guardare comodamente lo spettacolo (altrui). L'Inter deve restare aggrappata il più a lungo possibile al treno del campionato e della Champions. Prima o poi si staccherà certo, ma non a inizio dicembre. Altrimenti tutti quei "chi l'avrebbe detto" risuoneranno stancamente (e inutilmente) come un disco rotto proveniente da un passato che evidentemente non ha lasciato impressa la sua lezione.
VIDEO - FORMAZIONE E MODULI PER ROMA-INTER: LE SCELTE DI SPALLETTI E DI FRANCESCO
Autore: Giulia Bassi / Twitter: @giulay85
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