Non si è avuto nemmeno il tempo di smaltire le emozioni di Napoli-Inter, che già i nerazzurri devono scendere in campo contro il Genoa in una partita tutt’altro che semplice da affrontare. Posto che ancora è incomprensibile perché l’Inter possa giocare due partite a distanza così ravvicinata non avendo le coppe mentre altre squadre giocano il venerdì sera per affrontare impegni europei tutt’altro che proibitivi in termini di distanza geografica, invece che di sabato come consuetudine. I nerazzurri avranno di fronte l’ex dal dente avvelenato Gasperini e, come se non bastasse, vengono da una settimana in cui non si è fatto altro che ripetere quanto la sconfitta contro il Napoli abbia fatto bene al gruppo e di come questa, alla fine dei conti, fosse una "bella sconfitta". 

Questo è l’ossimoro più grande che si possa leggere o sentire. Una sconfitta è una sconfitta, pur con tutti i possibili buoni risvolti psicologici che essa può portare, così come una vittoria è una vittoria. Dovuto chiarimento: non si vuole assolutamente sminuire il risultato di Napoli o la prestazione degli uomini di Mancini, ma si vuole semplicemente mettere in guardia da quella sindrome di appagamento per cui, visto che si è "perso bene" a Napoli, allora ci si possa rilassare e compiacersi in vista delle prossime gare.

Quello che si vuole far capire è che nella classifica di Serie A non c’è una colonna dedicata alle "belle sconfitte", né una riservata alle "brutte vittorie": le prime valgono sempre 0 punti, come quelle "brutte", e le seconde valgono 3 punti esattamente come le goleade o le partite chiuse al 20° minuto del primo tempo. Siccome sulla sponda nerazzurra del Naviglio è piovuta una copiosa quantità di critiche quando si è vinto ripetutamente per 1-0 generando reazioni, giustamente, di indignazione dei tifosi, non si capisce il perché l’elogio per una sconfitta debba allietare chi a Napoli ha perso una partita e, soprattutto, chi ha rischiato di distruggere per la rabbia il proprio televisore negli ultimi 30 secondi del match. Le parole volano, i risultati rimangono scritti negli almanacchi e compongono poi una classifica: l’unica cosa da guardare alla fine del campionato.

E’ innegabile che l’Inter abbia dimostrato carattere al San Paolo reagendo alle situazioni avverse createsi e a quel mostro di dimensioni cosmiche di Gonzalo Higuain, ma perché non riflettere sul perché questo carattere non sia uscito sin dal calcio di inizio senza aspettare il doppio svantaggio e l’inferiorità numerica? Nella scorsa stagione si tacciava l’Inter di regalare praticamente una domenica sì, l’altra pure, una frazione di gioco agli avversari e questo atteggiamento poi ha influito sulle poche chance della banda di Mancini di raggiungere la consolatoria Europa League. Ma ci si rende conto che al San Paolo è successa la stessa cosa? Si riflette sul fatto che ciò è accaduto anche a Marassi, in casa con la Fiorentina e al Barbera di Palermo contro una squadra che adesso è in balia dello tsunami Zamparini? L’Inter non è più quella delle scorse stagioni ça va sans dire, ma accettare questo tipo di complimenti potrebbe far ricadere in questo pericoloso vortice da cui poi uscire è complicato. Guai a fissarsi solo sul dito, perché questo indica la luna.

Un altro loop da cui liberarsi è complicato è quello relativo alle decisioni arbitrali e al vittimismo in generale. L’espulsione di Nagatomo è eccessiva? Forse, ma ciò non toglie che il giapponese ha effettuato due interventi approssimativi, al netto del tuffo di Callejon sul primo giallo. Con Icardi in campo nel secondo tempo non si sarebbe vista questa reazione? Forse (anche perché nessuno è dotato di sfera di cristallo), ma imputare al rosarino tutte le colpe del primo tempo è eccessivo e deleterio, oltre che ingiusto (e oggi Mancini ha smussato gli angoli). Alla fine dei conti, se non gli arriva un pallone utile può muoversi quanto vuole ma sempre movimenti a vuoto sono.

Se si desidera disquisire di tattica si riguardi la partita notando i movimenti in fase difensiva del centrocampo e di come, quando si è passati alla cerniera Brozovic-Medel (l’aggettivo Epico per il croato è sempre più adatto) tutta la manovra è migliorata sensibilmente. La svolta mentale, dunque, si può ricondurre ad un cambio sul campo dell’assetto di gioco. Se si volesse estremizzare il concetto sopra espresso si potrebbe dire che il "carattere" dell’Inter altro non è che una migliore disposizione in campo declassando la bella sconfitta a rammarico.

Encomiabili, in merito al concetto di "bella sconfitta", sono state le parole del mister in conferenza stampa prima della gara con il Genoa che ha più volte fatto capire che, seppur elogiando giustamente l’attitudine dei giocatori, la sconfitta rimane una sconfitta, per quanto bella e significativa essa possa essere per chi di calcio parla. Ed è per questo che contro il Grifone i nerazzurri, prima di pensare agli aggettivi, devono preoccuparsi di vincere. Non importa quanto, non importa in che modo, importa semplicemente dimostrare che degli elogi per le sconfitte l’Inter se ne fa ben poco e preferisce che si parli di lei per i risultati. Perché nel calcio gli ossimori non servono a vincere i campionati: sono utili solo a coloro che cercano di giustificare la mancanza di risultati.

Sezione: Editoriale / Data: Sab 05 dicembre 2015 alle 00:01
Autore: Gianluca Scudieri / Twitter: @JeNjiScu
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