Abituato com’è a intrattenere un rapporto non molto confidenziale con la Fortuna, l’interista sa bene che da queste parti i risultati, senza gioco, puzzano ormai di bruciato. Tra le nefaste deduzioni che il campo suggerisce e il parallelismo ben poco confortante con l’ultima Inter di Mancini, quella prima in inverno e poi crollata miseramente sotto il peso delle sue contraddizioni, le 5 vittorie in 6 gare fin qui disputate non possono oscurare la progressiva perdita di brillantezza dei nerazzurri, quasi come se il buon palleggio esibito sul finire dell’estate fosse una piacevole illusione, e non una costante tecnica che possa fare da punto fermo per la stagione da poco iniziata. Da un lato, dunque, la classifica, dall’altro le ultime tre gare, e tutte le inquietudini che derivano da una chiara tendenza a esprimere un gioco meccanico ed esitante.
IERI - Anche quest’Inter, di contraddizioni, ne conosce diverse. Il suo tecnico, insieme a Sarri e cronologicamente ben prima dell’azzurro, ha esibito nei suoi trascorsi capitolini quanto di meglio i prati di Serie A abbiano visto negli ultimi dieci-quindici anni. La sua prima Roma, soprattutto, era una goduria per gli occhi, e certamente il vedo non vedo con cui si muoveva il falso nueve Totti contribuiva non poco al pregevole prodotto finale; anche nell’ultima esperienza del toscano, peraltro, i giallorossi sapevano giocare al calcio, dedicandosi magari un po’ meno al palleggio nel tentativo di sfruttare le acuminate percussioni in verticale garantite da gente come Nainggolan e Salah. L’Inter di Spalletti, fin dalle primissime apparizioni, sembrava voler mettere in atto una sorta di mix dei due esempi citati: i centrocampisti, stretti in un fazzoletto di campo, dialogavano splendidamente a due tocchi, come da queste parti non si vedeva da un po’; Borja Valero, dal canto suo, sembrava il novello Pizarro, fulcro elegante del gioco e insieme discreto cagnaccio capace di dire la sua anche in fase di recupero palla. Davanti, invece, la velocità di Perisic e le percussioni di Candreva potevano richiamarsi all’ultima Roma di Spalletti, con Icardi in brodo di giuggiole al solo pensiero di quante palle potessero capitargli tra i piedi. Molte erano le imperfezioni già nelle scorse settimane, eppure era plausibile attendersi un progressivo crescendo. Ebbene, oggi la macchina sembra funzionare peggio di ieri: nessun allarme, ché la classifica non lo consente, ma c’è da porsi qualche interrogativo, visto anche che il morbido delle gare relativamente facili sta per finire, e l’Inter sarà presto chiamata di nuovo a quegli scontri diretti che sanno marchiare a fuoco una stagione fin dai primissimi mesi.
OGGI - Quando vuole imparare a giocare a briscola, il giovane allievo preferirà fare un paio di partite a carte scoperte, così da apprendere le regole senza incappare in ridicole mosse da pivello. L’allievo, infatti, sa che potrebbe uscirne male, e decidere sull’onda delle brutte figure che quel gioco, semplicemente, non lo interessa più. Ecco, forse, la spiegazione del momento interista: di fronte alle nuove richieste avanzate da Spalletti, i suoi giocatori stanno probabilmente giocando a carte scoperte. Per questa ragione, i nerazzurri non smettono di cercare il palleggio, come dimostrato a fasi alterne anche nella gara di ieri; semmai, però, le trame di gioco vengono orchestrate nella propria metà campo, lontane dal pericolo del pressing avversario, lì dove le brutte figure sono difficili da rimediare. In mancanza di un Nainggolan che sappia ricucire a puntino i reparti, va da sé che un baricentro del possesso palla così basso finisca per spezzare drammaticamente la squadra in due; gli esterni, dal canto loro, non riescono a muoversi con agio centralmente, così da costituire un più facile scarico per i centrocampisti,e Icardi soltanto ieri ha realmente provato a tornare indietro per prendersi il pallone, col risultato di abbandonare l’area genoana a un’inesorabile solitudine. Soprattutto, giocare a carte scoperte significa, com’è ovvio, essere prevedibili. Le difficoltà collezionate con Crotone, Bologna, Genoa e parzialmente Spal si devono appunto alla perfetta organizzazione degli avversari, che da vere matricole sanno bene come otturare tutti gli spazi. Intanto che a centrocampo i nerazzurri palleggiano, appoggiandosi su uno Skriniar che è sempre più primo artefice della manovra, la cenerentola di turno è già bell’e disposta, manco fosse un piccolo esercito, e di arrivare a bucarle la porta, beh, manco a parlarne.
DOMANI - Imprevedibilità cercasi, dunque, e il guaio è che la rosa nerazzurra, per una volta, difetta di geniacci imprevedibili: in settimana, l’ha sottolineato il nostalgico Moratti; il campo, di per sé, continua a confermarlo. Certo, l’ingresso di Karamoh –un funambolo che,per fortuna, sembra sapere bene che i ghirigori alla Gabigol vanno tirati fuori soltanto se sei già in vantaggio- ha dato buone novelle in questo senso, ma chiedere proprio al giovane francese di fare la differenza con matura regolarità sarebbe un’operazione ai limiti del disumano. In mancanza d’altro, occorre dunque continuare a lavorare sui meccanismi e sulla sicurezza. Parliamoci chiaro, Spalletti ha due ottimi vantaggi in questo percorso: la settimana tristemente libera sembra fatta apposta perché i suoi imparino a memoria il nuovo spartito e i risultati, contro i quali nessuno potrebbe alzare un dito, fanno sì che il processo avvenga nella più verde serenità. Nella balbuzie esibita nelle ultime gare, insomma, vogliamo leggere una fase del percorso che condurrà l’Inter a possedere una nuova identità: qualche segno si intravede già, eppure è imbruttito dalla scarsa abitudine e dal timore di sbagliare, tanto più davanti a un pubblico che è palesemente stanco di contare gli strafalcioni. Intanto, ci godremo i piccoli progressi, se e quando torneranno ad esserci, e la splendida concretezza di una squadra che non subisce nulla, si scompone assai meno di quanto avvenisse in passato e colpisce con spietata e beffarda precisione nel finale. Negli ultimi anni, e qui non serve un grande sforzo di memoria, proprio in quei minuti lì accadeva il disastro, e tutt’intorno ci si strappava giustamente i capelli; fatte salve le giuste aspettative di un’Inter vincente e convincente, invece, oggi non pare esserci alcuna giustificazione valida per infierire invano sul proprio cuoio capelluto.
Autore: Antonello Mastronardi / Twitter: @f_antomas
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