All’indomani dell’atroce beffa di Bologna, Beppe Marotta, ad sport dell’Inter, arriva a San Siro per parlare sul palco dell’odierno evento organizzato dal quotidiano Il Foglio.
Come siete messi in campionato?
“Chiaro che c’è un sorriso amaro. Fa parte del gioco, abbiamo perso una battaglia ma non la guerra. Siamo incazzati ma non depressi. Dobbiamo vedere cosa succede, mancano quattro partite e il calcio non è scontato come negli anni '70 quando c’erano squadre che non avevano niente da dire. Oggi invece vediamo un Crotone che vince contro la Cremonese nonostante fosse già retrocessa”.
Come mai c’è stato questo livellamento in campionato, ad ogni livello?
“Innanzitutto perché c’è un buon livellamento delle squadre, è uno dei campionati più interessanti degli ultimi anni. L’anno scorso è stato vinto il campionato con largo anticipo, quest’anno è una Serie A interessante sotto ogni punto di vista”.
La Super League nasceva da un desiderio dei club di avere soldi per la loro competitività. Ad un anno dall’addio al progetto, com’è la situazione dei club?
“Chiaramente siamo in grande difficoltà. Il momento storico era emerso prima della pandemia, i costi erano già insostenibili e lo sono maggiormente oggi dopo che la pandemia ha generato una contrazione finanziaria. Il massimo sarebbe spendere poco e ricevere tanto, invece la competitività è stata sacrificata per la sostenibilità. Bisogna cercare queste risorse anche per inculcare la mentalità vincente che nello sport è importante”.
L’anno scorso l’Inter sembrava in grande difficoltà, con Conte via e la cessione di Lukaku e Hakimi. Però, siete rimasti competitivi e siete tornati agli ottavi di Champions dopo tanti anni e siete arrivati in finale di Coppa Italia. Qual è il segreto di Marotta per rimanere agli stessi livelli?
“Non vale l’equazione chi più spende più vince. L’addio di Conte e di due giocatori, togliendo Eriksen che ha subito una decisione indipendente da lui, ha dato una scossa. Lukaku e Hakimi avevano espresso la volontà di andare a fare esperienze in altri campionati. Avevamo comunque alle spalle una proprietà forte e abbiamo potuto garantire sostenibilità, quindi abbiamo costruito una squadra competitiva con una mentalità vincente. Abbiamo scelto un tecnico emergente come Simone Inzaghi che ha risposto alle nostre esigenze. Noi siamo qui adesso a dire che abbiamo vinto una Supercoppa, ci aspetta una finale di Coppa Italia. Speriamo ci siano le ciliegine alla fine ma siamo molto contenti. E questo lo dobbiamo alla cultura del lavoro e alla solidità delle nostre strutture”.
Tre momenti della sua carriera da dirigente? Uno magari è stato Alvaro Recoba al Venezia.
“Quello si chiama colpo di fortuna, è stato uno dei pochi casi della mia carriera nei quali il singolo ha contribuito al risultato finale in modo straordinario a discapito della squadra. Recoba ha vinto le partite da solo, è stata una pagina piacevole. Non potevo pensare fosse la più piacevole della mia carriera, poi i sogni si avverano e ne arrivano altre. Non immaginavo di arrivare quarto con la Sampdoria, non immaginavo di arrivare alla Juve e vincere sette scudetti e poi di arrivare all’Inter e diventare campione d’Italia. Tutto è possibile nello sport e questo lo spiega. La caratteristica è anche sapere usare l’esperienza e a me è servita tantissimo per capire gli errori e come impostare i rimedi”.
Tu facevi firmare i giocatori davanti al presidente?
“Io avevo una strategia: facevo venire gli anziani per far firmare i contratti, perché i giovani avevano paura di ritorsioni”.
Su Mino Raiola.
“Ho un rapporto di amicizia basato anche sugli scontri che ho avuto con lui. È sempre stato molto furbo, ma corretto; diceva sempre le cose in faccia, faceva valere le sue rivendicazioni in maniera chiara. La trattativa per Paul Pogba è un esempio, è stato molto bravo a far valere le sue ragioni; posso considerarlo il migliore in circolazione”.
Come si può definire un procuratore dal punto di vista dei dirigenti?
“Una volta non esistevano, essendo i contratti praticamente a vita. Con il regime di svincolo sono emerse queste figure che a volte sono coperte da persone poco competenti che non sanno seguire il percorso di un calciatore. Poi ci sono tanti agenti bravi, responsabili, ma questo fa parte di ogni categoria. Ogni trasferimento coincide con una transazione economica, spero che passi la linea di non guadagnare tanto per fare la fortuna dei propri assistiti”.
Gli stranieri non sono il vero problema quanto piuttosto il reclutamento dal basso.
“Il discorso è molto più ampio. In Italia penso che un problema grosso sia la mancanza di un ministero dello Sport che aiuti anche le altre discipline, perché la crisi è in ogni disciplina. Non si trovano ragazzini che si iscrivono a questi sport, avere un ministero vuol dire capire che nella scuola lo sport è un elemento fondamentale. Gli oratori e le società dilettantistiche sono scomparsi o sopravvivono a fatica. Oggi lo sport è in mano alle società sportive, non ci sono le strutture. La seconda cosa è la mancanza di formazione: mancano i maestri di una volta, non c’è più il concetto di formazione. Sta alla politica capire che lo sport è un patrimonio della nostra cultura”.
È vero che gli allenatori allenano più loro stessi che i giovani?
“Sì, e a livello giovanile è vergognoso. Qui emerge la cultura della sconfitta, il misurare un tecnico dai risultati che ottiene nelle giovanili. Questo è assurdo, bisogna lavorare per far capire che l’attività giovanile deve formare ragazzi che devono diventare uomini. I tecnici, invece, sono pressati dai risultati; vanno misurati gli aspetti positivi del come si allena un giocatore”.
Vedendo Manchester City-Real Madrid ci siamo esaltati, ma fosse stata Juve-Inter avremmo criticato le difese. Non apprezziamo il calcio di un certo tipo quando lo giocano gli altri?
“Questi ultimi turni di Champions hanno avuto protagonista il Real Madrid, una squadra di professionisti brava a non mollare mai e che farà bene nel ritorno. Questo depone a favore del format di un torneo che nelle fasi finali dà emozioni e spettacolo, specie nel calcio moderno dove non c’è più il difensivismo di una volta”.
Qual è l’allenatore più divertente col quale hai avuto a che fare?
“Per me un grande tecnico, che poteva fare una carriera migliore, era Eugenio Fascetti".
Lo stadio di proprietà fa la differenza sul piano dei risultati?
"Certo, il giocatore è più coinvolto per via dell'effetto casa. Incide molto, a Torino lo stadio era sempre pieno ed era il 12esimo uomo".
Inzaghi può continuare?
"Assolutamente sì. Siamo molto contenti e ha forti margini di crescita, credo che possa essere tra i migliori in circolazione"
Autore: Christian Liotta / Twitter: @ChriLiotta396A
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