Partenza aggressiva e sofferenza complessiva. Perché il Verona si presenta alla scala del calcio con grande determinazione. Entrambe lottano sin dal fischio d'avvio perché partire forte è nel DNA di due assetti che vogliono scaricare la tensione della prima del 2024. La banda di Simone Inzaghi conosce a menadito la rilevanza dell'incontro. Ma in avvio gli scaligeri si rendono pericolosi sfruttando le fasce con il dinamismo di Suslov a creare grattacapi alla difesa interista. Trovare la strada centrale è pericoloso e gli spazi sugli esterni vengono sfruttati dalla truppa di Baroni. L'esordio preparatorio di un confronto da vivere tutto d'un fiato. L'inizio nasconde qualche difficoltà, le insidie sono dietro l'angolo. Toccare il pallone tante volte può incidere la fiducia nell'assetto di Inzaghi Non si perde un attimo perché gli scatti in avanti sono costanti, anzitutto per prendere le misure ai rispettivi collettivi.
BENTORNATO TORO. Il canovaccio è univoco: aggredire lo sviluppo sfruttando le corsie esterne e l'imprevedibilità centrale. Dopo un avvio lievemente titubante, ecco il carattere nerazzurro: baricentro altissimo e pressing asfissiante per contrastare l'uscita degli ospiti. Il Toro s'infila tra gli spazi firmando il sedicesimo centro in campionato. Controllo perfetto, posizione regolarissima e tocco con l'esterno da calcio a cinque. Letale: vantaggio griffato dopo un avvio complicato. Piacere e necessità nascono quando l’individuo, deluso dalla sua ricerca estetica, si getta alla massima aspirazione di ritrovamento di sé stesso. La chance Lautaro nasce al momento giusto: l'azione è strepitosa ed esultano i cuori nerazzurri. Il pensiero dell'Inter non è la gestione del vantaggio, ovviamente, infatti il ribaltamento è continuo anche se manca un po' di brillantezza nel pomeriggio di San Siro. Il Verona non indietreggia e costruisce reagendo con personalità: Djuric procede all'incornata troppo centrale. Quando l'Inter accelera arriva praticamente sempre dalle parti di Montipò.
TEMPISMI E PALLE SPORCHE. Ragionamento limpido: quando il Verona aggredisce le pedine nerazzurre, il capovolgimento del fronte diventa immediato. Il guadagno del possesso è il pensiero del lato opposto: cambiare fronte (trovando gli avversari impreparati) costituisce il presupposto ontologico dello sviluppo inzaghiano. Le palle sporche sono all'ordine del minuto e la lotta del tempo, quella per arrivare per primi sulla sfera, diventa elemento primordiale dell'inizio di secondo tempo. Il Verona cerca costantemente Djuric, l'Inter sbaglia con frequenza l'ultimo passaggio. La resistenza scaligera risiede nel posizionamento unito all'attacco verso la porta. Gli errori sono tanti e mutevoli, entrambi gli assetti cercano la proiezione dell'equilibrio. L'Inter punta al raddoppio e quando Lautaro tocca i palloni li trasforma in pietre preziose. Come quando Calhanoglu col fendente potente va vicinissimo al bersaglio grosso. Gli ospiti non cedono il passo e trovano il gol del pari con il timbro di Henry, uno degli uomini più discussi in chiave mercato. La zampata griffata che diventa vincente. L'atmosfera infernale nell'assedio finale: Frattesi rimette la testa avanti, i nerazzurri esultano con istanza implacabile. Nel finale succede davvero di tutto: istinti e pressione, incredibile l'epilogo. Henry dal dischetto strozza il rigore colpendo il palo. Palpitazioni a San Siro: i tre punti sono dell'Inter.
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