L'accensione dei duelli in mezzo al campo, in sfide come queste fanno tutta la differenza del mondo. La morsa stringente dei tentativi avanzati. Quel pertugio, quell'istante divisivo dell'arco temporale in cui Milinkovic Savic alza la testa e pennella per l'astuta e bruciante incursione di Felipe Anderson: l'Inter si ritrova nel vortice dell'azzeramento della struttura, ecco il punto cieco, era lì dietro, purtroppo è divenuto realtà materializzata. I biancocelesti conquistano il timone a suon di velocità e ritmo, possesso di qualità e fresche idee. Di pensiero, di organizzazione costruttiva, di esecuzione procedurale e tecnica. Tenere aggrappate ragione e intelletto è il rilievo più significativo per riprendere il viaggio interrotto. La truppa di Inzaghi aggiusta gli anelli della comprensione: non v'è alternativa di aggredire agonisticamente ogni pedina laziale. Con vigore e consapevolezza della propria forza. Con l'ambizione di poter affermare: "Qui ci siamo noi, state dietro la linea del pallone". All'alba della prima frazione l'anima del mondo è la ricognizione della zona di Provedel: si tenta di armonizzare l'istinto e i dettami della legge del gol, con le armi della temerarietà.

ENTUSIASMO E (IR)RAZIONALITÀ. Romagnoli non concede a Lukaku nemmeno il più agevole degli appoggi, gli sta appresso come un francobollo e il belga sbaglia tanto nella ricezione e nell'adeguata distribuzione del possesso. Il turbinio dell'oscurità è quello in cui si infila Bastoni quando affronta Milinkovic: il serbo attiva un gioco di gambe tanto rapido quanto tecnico per tagliar fuori il tentativo, più astratto che mai, di pressione. Il gioco di Sarri pare tornare sui binari dello sviluppo dei tempi d'oro partenopei. L'orizzonte del successo arriva sull'istantaneità del Toro Lautaro Martinez: una zampata e via a riequilibrare le sorti del mondo pallonaro. Il momento di follia porta al marchio di fabbrica del 3-5-2, da esterno a esterno: Dumfries schiaccia a terra e chiama alla riparazione Provedel.

L'INTRECCIO DEI SOGNI. Suona l'inno serbo in mediana perché incanta l'estro mastodontico di Milinkovic: dominatore del pallone, governante delle esecuzioni, sovrastatore di ogni briciola. Surrealismo tambureggiante! Le contingenze sono estremamente diverse, le coordinate mutano ad ogni capovolgimento di fronte. Immobile impenna la sua velocità solo contro tutta la difesa dell'Inter, sperando che in qualche modo la gioia possa arrivare a compimento. Risorgere in quel processo di finalizzazione è l'obiettivo di tutti i calcianti. E per difendersi dall'incessante sovraesposizione di stimoli laziali, tocca reagire con l’istinto.

IL BALLO SARRIANO. Il livello di elettricità rimane altissimo, non si può spezzare perché così è l'essenza dell'incontro. Il rimorchio di Luis Alberto e quel contributo creativo sotto il sette. Come un fulmine che squarcia il cielo. Scintilla ogni filo d’erba, ed ecco che Inzaghi si ritrova punto a capo, asserragliato in una strada che sembra finire lì, dietro l'angolo buio. C’è stato un attimo, e non dev’essere stato quello fuggente, in cui lo spagnolo ha riflettuto ch'era il momento d'attingere ad una mossa irrazionale. Così ha scaraventato un collo esterno negli intrecci dei sogni. L'incastonamento da maestro di Pedro è solo la cesura d'una lampante dimostrazione di tempo sospeso verso l'anima degli spazi. Il ballo sarriano è tornato? Verso obiettivi, forse, ancora inesplorati. E chissà che la componente dubitativa presto non possa essere del tutto cestinata.

Sezione: In Primo Piano / Data: Sab 27 agosto 2022 alle 08:15
Autore: Niccolò Anfosso
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