Arrivato a 35 anni, Matteo Darmian comincia a fare i suoi conti per quel che riguarda il suo futuro, calcistico e non solo. E per farlo, sceglie Cronache di Spogliatoio dove rilascia un’intervista, realizzata lo scorso 21 settembre, nel corso della quale rivela anche alcuni retroscena legati alla sua vita da calciatore e familiare. Ecco i passaggi principali:
FINALE DI CHAMPIONS CON L’INTER
"La sconfitta di Istanbul ha fatto male. Ma mi auguro che per me e per l’Inter possa esserci un’altra opportunità. A volte le sconfitte insegnano molto di più di una vittoria, per noi è stato anche così, visto quello che è successo l’anno dopo con la seconda stella. La sconfitta in finale di Champions ci ha dato quella consapevolezza che dimostriamo di avere. Sono giorni speciali, importanti per una carriera. Non capita spesso di poterlo fare. Purtroppo a Istanbul non è andata bene, nonostante una partita importante da parte nostra".
DOPO LA CHAMPIONS PERSA
"Quando torni a casa, difficilmente non pensi a quello che è successo. E te la porti dietro per un bel periodo… C’è stata l’estate e non è stata facile. Ovviamente con l’aiuto della mia famiglia, che mi sta sempre vicino, sono andato oltre. E poi la stagione successiva è stata importante riprenderla da lì per conseguire la seconda stella".
CHIUDERE NELL'INTER
"Sono sempre stato tifoso dell'Inter, poi quando cresci queste cose le lasci da parte e pensi al campo. Mi piacerebbe chiudere la carriera nell’Inter. Mi rendo conto che ormai non manca tantissimo. Sicuramente mi farebbe molto piacere, io cercherò di dare sempre il massimo e tutto me stesso".
FARE IL DIRIGENTE
"Dopo la carriera? Non so ancora cosa farò, ma la figura del dirigente mi attira. Mi piacerebbe rimanere all’interno del mondo del calcio, so per certo che per adesso non vorrei fare l’allenatore. Mi affascina il mondo dirigenziale, non avendone mai fatto parte. Mi piacerebbe capire le varie dinamiche, farò i vari corsi che ti danno qualcosa in più e sono importanti, poi vedremo le opportunità che mi riserverà questo percorso".
LA PATERNITÀ PER I CALCIATORI
"Se ne parla poco nel calcio. Essere padre ti cambia la vita, è bellissimo avere dei bambini, crescerli e portarli per mano nel loro percorso di vita. Diventare padre mi ha cambiato, non è facile essere genitore e con tutte le partite, i viaggi e i ritiri che abbiamo, ci ritroviamo diversi giorni lontani dai nostri affetti. Quando abbiamo quel poco tempo da sfruttare, lo dedichiamo in tutto a loro. Ho due figli ma non sono cambiato nel trattamento, chiaramente il primo è il più viziato ma cerco di non fare distinzioni. Ovviamente il secondo avendo l’esempio del primo, segue quello che fa il grande. Diventare padre non mi dava paura, ma mi facevo tante domande, sono sincero. Sono figlio unico, non avevo figli, quindi mi interrogavo spesso, non avevo quell’esperienza. Quando ti nasce il primo figlio sembra che impari tutto velocemente ed è bello, oltre ad aiutare a crescere, sono anche loro che aiutano a crescere te. Fa bene a tutti, perdi un po’ di ore di sonno ma le recuperi in ritiro! Entrambi i miei figli come secondo nome si chiamano “Leo”, ci piaceva il nome Leonardo. Abbiamo una casa al mare. e quando l’abbiamo acquistata su una delle porte di una camera c’era la targhetta “Leo”, quindi è stato anche frutto del caso".
RIGORE DECISIVO SBAGLIATO A EURO 2016
"tutti si ricordano quei rigori solo per Pellè e Zaza? Eh… ho avuto un po’ di fortuna. È stato un momento non facile, si era creata un’alchimia perfetta in squadra e stavamo facendo un percorso incredibile, uscire così non è mai bello. I rigori sono sempre 50/50, ovviamente non sono un grande rigorista! Sono momenti che ti fanno comunque crescere e sappiamo benissimo che le critiche fanno parte del nostro mondo, ovviamente quello che cerco di fare io è prenderle nel modo giusto, soprattutto se costruttive. Sappiamo che tanti si divertono solo a scrivere e quello non fa piacere, ma fa parte del nostro mondo e dobbiamo saper trasformare queste critiche in commenti positivi attraverso il lavoro quotidiano".
PORTAFORTUNA NELLO SPOGLIATOIO
"I miei compagni dicono che porto fortuna. Anzi, che ho proprio c*lo! A un certo punto della partita ho provocato un rigore. Ma i miei compagni erano sereni: ‘L’ha fatto Darmian, lo sbaglia sicuro!’. E alla fine Henry lo ha sbagliato veramente! Quella partita è stata una montagna russa ed è stata fondamentale per la vittoria della seconda stella. Alla fine è andato tutto bene… un po’ per merito nostro, un po’ per merito della mia fortuna dai (ride)! A parte gli scherzi, credo che uno la fortuna la attiri e la crei sulla base di quello che è tutti i giorni.
SULL'AIUTO OFFERTO AI NUOVI COMPAGNI
“Creare un gruppo così forte, solido, che sta bene insieme, penso sia la base per raggiungere obiettivi importanti. L’ho vissuto quando sono andato in Inghilterra, capisco le difficoltà di un giocatore nell’arrivare in un Paese nuovo con una cultura nuova. Anche domande come un aiuto per la casa o sui luoghi dove mangiare sono momenti per dare un aiuto”.
LE PAROLE DI LUIS ALBERTO SU INZAGHI
"Inzaghi è un grande mister e una grande persona, attento a tutto. Rende tutti partecipi nel gruppo e fa sentire tutti importanti. Sicuramente per tutto questo vuoi dare tutto per il mister e per aiutare la squadra".
AVVENTURA ALLO UNITED
"Quando ho firmato con lo United, ho scoperto che in trasferta i familiari non hanno un posto riservato ma vanno in mezzo ai tifosi. La prima partita era proprio il derby contro il Liverpool. Dissi alla mia compagna: ‘Guarda, è una partita molto sentita, vuoi venire comunque?’. E lei sì: ’Sì, certo, ci tengo’. Si è messa in macchina con la guida a destra ed è andata nel settore ospiti con i tifosi. A un calciatore la cultura calcistica inglese dà meno pressioni. Durante la settimana si parla meno di calcio, il weekend e l’andare allo stadio sono più importanti. Ho preso un po’ di pioggia, ma è stata un’esperienza fantastica, costruttiva. È stato un trasferimento importante per la mia carriera ma l’ho fatto con grande entusiasmo, arrivavo con una base scolastica per la lingua quindi non ho avuto grandi difficoltà nell’inserimento, ho cercato di parlare inglese da subito e questo mi ha aiutato. Poi guardavo cose semplici come i cartoni che mi hanno aiutato e il club mi ha messo a disposizione un insegnante. Però la cosa che mi è servita di più è stata lo spogliatoio”.
MONDO MEDIATICO IN PREMIER
"Appena sono arrivato a Manchester, ho scoperto un mondo completamente nuovo. In Italia erano pochi i calciatori ad avere i social: in Inghilterra il primo giorno mi dissero subito di aprire il profilo Instagram e che avrei dovuto partecipare a iniziative commerciali. Quello che ora ci sembra normale, prima non lo era. C’erano tante iniziative commerciali, era un altro mondo rispetto a quello a cui ero abituato. Negli anni successivi arrivarono anche Pogba e Ibrahimović, che a livello mediatico erano delle super star".
ADOLESCENZA AL MILAN
"A scuola ero secchione? Eh… un po’ sì! Sono cresciuto in una realtà di paese, a Rescaldina. Poi sono entrato nel settore giovanile del Milan, che è stato una scuola di vita. Il comportamento era fondamentale, volevano che tu portassi avanti di pari passo il calcio e la scuola. Sappiamo tutti quanto sia difficile emergere a grandi livelli. I miei genitori me lo dicono sempre: ‘Siamo stati fortunati, eri proprio un bambino tranquillo’. Anche adesso ho passioni come il design e l’abbigliamento. Da bambino mi fecero un questionario: ‘Cosa vuoi fare da grande?’. Scrissi ‘Il pizzaiolo’… ma non so perché, forse perché mi piace mangiare la pizza".
In una recente intervista, Barella ha detto che ogni giovane calciatore ha un momento in cui si rende conto che deve guardare gli altri. Tu chi hai guardato?
"Sono cresciuto in uno spogliatoio di mostri sacri, dentro e fuori dal campo. Come giocatori e come uomini. Ma lo spogliatoio è cambiato poco: la voglia di stare insieme c’è anche con questa generazione. La base è avere un gruppo sano. Anche per questo io cerco sempre di essere accomodante con i nuovi".
Di te dicono che da fuori non sembri un calciatore, la senti questa cosa?
“Io cerco di essere me stesso dentro e fuori dal campo, quello che sei fuori si rispecchia dentro il campo. Siamo tutti persone normali, coi nostri problemi e stati d’animo: all’esterno magari ci vedono come dei robot ma siamo persone normali”.
Essere dei Normal One penalizza in carriera?
“Secondo me no, penso sia una cosa molto bella essere apprezzati e riconosciuti per le persone che si è”.
Autore: Christian Liotta / Twitter: @ChriLiotta396A
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