"Stiamo mettendo un po' di fieno in cascina. È sempre bello vincere 1-0. Icardi farà i gol che ci serviranno". Era questo il Mancio pensiero ai tempi degli Epic Brozo. Oggi la stalla è depredata, nello spogliatoio si fanno meno selfie, la popolarità di Handanovic ha superato tra i fedeli quella di Sant'Ambrogio e il bomber nerazzurro non ha ancora l'esperienza in zona gol di Mancini a cinquant'anni. E quando il portiere non fa il miracolo accade l'imprevisto che può portarsi via gli ennesimi punti pesanti nella corsa a un piazzamento Champions. Questo era l'obiettivo a inizio stagione e questo è rimasto nonostante l'Inter si fosse cullata nel sogno di uno scudetto che non si vince estraendo i bussolotti per ogni undici di giornata. 

L'1-1 di Lasagna è la risposta scientifica del calcio ai gol mangiati dal capitano nerazzurro, che di nome non fa come il collega e si presta meno alle sottilissime ironie registrate anche dai media. Forse è vero che al suo posto Mancini uno l'avrebbe messo a segno, così come è vero che a ventidue anni il tecnico non era ancora riuscito ad aggiudicarsi il titolo di capocannoniere. Sbagliato addossare tutti i mali dell'Inter al centravanti argentino se la squadra si è fatta infinocchiare* al 92' da un Carpi in dieci uomini (*nessuno dei giocatori è vegetariano, per cui rischio di saltare al massimo due editoriali). 

Oggi il compito del Mancio sarebbe stato quello di costruire e guidare un'Inter che lotti per le prime tre posizioni. I risultati del girone d'andata sono andati al di là di ogni più rosea previsione, per questo il declino dell'ultimo mese risalta maggiormente. Le dichiarazioni del post-partita ("Forse non siamo nemmeno da terzo posto") vanno quindi lette più come un terremoto di magnitudo 3 della scala Richter, che non è un solido incursore tedesco che oggi tanto servirebbe all'Inter: scossa avvertita da tutti, da Samir a Maurito, passando per gli uffici dei dirigenti nerazzurri.

Per scongiurare i danni servirà un immediato ribaltone sul piano mentale e anche con l'Ausilio del mercato. Proprio il ds dopo essere riuscito a piazzare Guarin in Cina dovrà tirare fuori di nuovo la sua lampada magica e rispondere a un surplus di desideri del Mancio Aladino, che di certo non può avere scusanti se la squadra rispondente alle sue richieste dopo ventuno giornate non riesce a trovare i suoi automatismi, dato che il meccanismo viene manomesso e riassemblato in maniera diversa ad ogni partita. A volte va bene, nei troppi match in cui Handanovic finisce per parare anche le mosche e viene eletto migliore in campo, e in altre no.

Questo è il momento più delicato della gestione Mancio, dove gli errori in campo e fuori non sono più ammessi. Lo scorso anno arrivarono Santon, Shaqiri e Podolski, quest'ultimo inspiegabilmente cacciato prima ancora di completare il tour della Milano storica, mentre in estate è stata rifatta un'intera squadra che con il passare della stagione ha evidenziato una mancanza di natura tecnica, anzi un primo KO tecnico con il capolavoro economico di Kovacic spedito a Madrid e l'acquisto alle stesse cifre di Kondogbia, non Geoffrey, quello forse è rimasto al Monaco, ma evidentemente il fratello, che domenica è stato lasciato in panchina.

Non dico che il Kovacic visto a San Siro avrebbe potuto fare chissà quale differenza, ma che un idealista con le sue caratteristiche e più 'cervello', quello invocato dallo stesso Mancini, sarebbe stato un elemento indispensabile al progetto tattico di un'Inter che avrebbe dovuto puntare a imporsi con un proprio gioco e una sua fisionomia anziché mascherarsi di continuo adattandosi a qualsiasi tipo di avversario. Un atteggiamento, quello scelto sino ad oggi, che può intaccare anche le motivazioni dei singoli, come capita con Icardi, nella scorsa stagione un colosso dell'area di rigore e quest'anno talmente spossato da crollare a terra alla minima spallata di Romagnoli. 

In pieno inverno così il fieno è già tutto scialacquato da una squadra chiamata a un cambio drastico e una ripartenza fulminea. Questa Inter può giocarsela a pieno titolo per la Champions, ancor più se verranno azzeccati gli innesti giusti sul mercato, in primis uno che sappia dettare e spezzare i ritmi (e non le gambe) a centrocampo e un esterno o seconda punta - vedi giocata di Perisic a Empoli - che possa mettere in condizione Icardi di tornare ad essere quello che tutti conosciamo, anche se sotto porta è meno lucido del suo allenatore.

Sezione: Editoriale / Data: Mar 26 gennaio 2016 alle 00:00
Autore: Daniele Alfieri / Twitter: @DaniAlfieri
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