Nonostante lo 'sgarro' di mercato chiamato Paulo Dybala, quella tra José Mourinho e l'Inter è e sempre sarà una storia d'amore indelebile. A lasciarlo intendere, nemmeno troppo tra le righe, è lo stesso Special One, che a DAZN durante la seconda puntata di 'The Making of' ammette con trasparenza il legame che intercorre tra lui e il mondo nerazzurro. "L'Italia è un paese che ha fatto la storia del calcio, che ha vinto più volte il Mondiale, che ha squadre come Juventus, Milan, Inter… E la nostra è stata la squadra che ha fatto l'impresa più importante del calcio italiano. Credo che ci considerino, non solo me, ma tutti i giocatori di quella squadra, quasi come delle icone. La cosa speciale era proprio il legame affettivo che esisteva tra tutti noi. I giocatori erano veramente amici, forse anche di più, la definizione migliore è fratelli. La gente può dire ciò che vuole, ma la Champions League è come l'Eldorado del calcio. In quel periodo l'Inter era la squadra più forte in Italia".
"Mi ricordo perfettamente e so bene quando iniziò tutto. Iniziò con la stagione precedente quando fummo eliminati dalla Champions League a Manchester. Quella sera stessa ebbi una riunione col presidente e dissi: 'Con quello che abbiamo oggi vinceremo il campionato, il prossimo e quello dopo ancora, ma per vincere la Champions ci serve qualcosa in più'. Iniziammo passo dopo passo a delineare il nostro futuro e cominciammo a discutere sui profili dei giocatori di cui avremmo avuto bisogno".
"Quella col Bayern era una partita troppo importante, non solo per me, ma soprattutto per il club. Il Bayern aveva un allenatore che conoscevo molto bene, sapevo che il suo ego e la sua autostima lo portavano sempre a giocare secondo la sua idea di calcio e questo per me era un vantaggio. Sapevo bene che quando loro perdevano palla, era una squadra con dei punti deboli. D'altro canto avevano attaccanti fenomenali che andavano fermati. Credo che il nostro vantaggio in quella partita sia stata proprio la strategia. La nostra squadra era principalmente composta da giocatori che non avevano mai vinto la Champions e altri che erano negli ultimi anni della loro carriera. Per loro era praticamente ora o mai più. Credo che quella partita fosse stata vinta ancora prima di essere giocata, non solo per l'aspetto emozionale, non solo per il livello di sicurezza e autostima, di empatia che aveva quell'Inter. Ma anche per il modo in cui, da un punto di vista strategico, avevamo preparato quella sfida. Il 2-0? Faticai molto a restare tranquillo in quel momento e quando segnammo il secondo gol provai una sensazione di euforia, un'immensa esplosione di gioia, ma bisognava rimanere concentrati" continua nel suo racconto di quello che fu uno degli anni più significativi della sua carriera.
"Ho sempre stimolato il gruppo soprattutto su questo tasto: potevamo vincere tre titoli, due, uno o zero. Potevamo, dopo quei 15 giorni, scrivere una pagina unica della storia del calcio italiano e vincere il triplete. Tre titoli in 15 giorni, triplete storico e 4 gol di Milito in tre partite. Credo che partite come quella siano vinte dalla famiglia. Abbiamo realizzato qualcosa di unico nel calcio italiano che ovviamente mi ha lasciato un legame eterno con quel Paese, un legame eterno con quel club e anche un rapporto molto difficile da descrivere tra me e i giocatori".
"La nuova generazione di tifosi interisti, persone di un'età inferiore ai 60 anni, conoscono solo l'Inter del triplete. Non solo fu il periodo migliore per l'Inter, ma per qualsiasi squadra nella storia del calcio italiano. Fu un gruppo di lavoro veramente fantastico. Abbiamo una chat di gruppo con tutte le persone di quel gruppo del triplete che si chiama appunto 'Triplete'. Ogni singolo giorno ci sentiamo tra di noi, ogni singolo giorno rievochiamo ricordi, chiacchieriamo, ci preoccupiamo di come stiamo, supportiamo sempre, quel gruppo era veramente speciale. Mi ricordo che non andai nemmeno nello spogliatoio, quasi non volevo stare con loro perché avevo la sensazione che avrei perso il controllo dal punto di vista emozionale. Così sono fuggito da quelle emozioni. Mi conosco bene e sono perché ho fatto quella scelta".
"Dirò una cosa che non ho mai detto, la ragione per cui, dopo la fine della partita, non sono tornato a Milano, è che se fossi tornato non sarei più andato al Real Madrid. La decisione era presa, il contratto non era stato firmato, ma la decisione era presa. Decisi di andare al Real Madrid, l'avevo rifiutato per due volte, era la mia terza occasione. Dire tre volte no al Real Madrid è impossibile. Cercai di non salutare nessuno in modo più affettuoso. Mi mancano, il tempo non torna indietro, non possiamo tornare nel passato, ma gli amici ci sono sempre. Loro sono miei amici ed è così che lo vedo".
Autore: Egle Patanè / Twitter: @eglevicious23
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