L’Inter ha chiuso con la vittoria sull’Empoli il proprio girone di andata, nonché il proprio 2018. Un anno altalenante, fatto di successi importanti, di sconfitte inattese, di passi in avanti e passi indietro, sempre sulla strada verso la risalita.
Come da prassi, il 31 dicembre si sfoglia l’album dei ricordi dei 365 giorni che ci si sta per lasciare alle spalle.
Il 2018 nerazzurro – come storia e inno della società suggeriscono – assomiglia ad una grande, entusiasmante giostra. Per cui, allacciate le cinture e preparatevi per fare un giro sulle montagne russe interiste.
L’anno solare nerazzurro è iniziato sottotraccia. La prima partita del 2018 coincide con il primo match del girone di ritorno, che rispetto alla prima parte di campionato mostra un inesorabile calo, di condizione e (quindi) di rendimento. Arriva un pareggio, poi un altro, si arriva a quattro, cinque. Pareggite preoccupante, ma presto debellata. La caduta viene attutita, si rimane a cavallo della zona Champions, con qualche vittoria convincente.
Una data da ricordare è il 18 marzo 2018. Il giorno di Sampdoria-inter. Il giorno dei 4 gol di Icardi nella ‘sua’ Genova blucerchiata, quello dei 103 gol di Maurito in Serie A. Un poker personale da sogno, che risuona come prova di forza in Italia e non solo.
Con il suo capitano che sfonda il muro dei 100 gol nel nostro campionato (sesto più giovane di sempre a farlo), l’Inter ritrova lo smalto che sembrava perduto. Con la primavera, rinascono anche i nerazzurri. Nelle 12 partite giocate tra i primi di febbraio e la seconda metà di aprile, la banda Spalletti inciampa solo due volte, in casa di Torino e Genoa, contro ex avvelenati come Pandev e Mazzarri. Ma il cambio di marcia, saranno i bioritmi, saranno le maggiori convinzioni nei propri mezzi, sono evidenti.
Aprile, tra l’altro, è il mese clou per un giocatore su tutti nel roster interista. È in questa fase, infatti, che Marcelo Brozovic sale in cattedra nel ruolo di regista davanti alla difesa, come smista palloni di qualità. Un ruolo da troppo vagante nella formazione nerazzurra e che nel gioco di Spalletti è indispensabile tanto quanto il pallone. Il croato, fin lì in ombra, se non ai margini del progetto, viene reinventato. Dopo mesi vissuti da incompreso, da incostante, senza una posizione definita e senza un rendimento affidabile, la scelta di proporlo come faro del centrocampo si rivela (e si rivelerà) vincente. Il primo ‘esperimento’ contro il Napoli, l’11 marzo, poi via via la crescita. Non senza errori, non senza soddisfazioni.
Aprile è anche il mese del derby d’Italia. San Siro addobbata a festa, con l’abito delle grandi occasioni, per l’Inter-Juve più sfavillante degli ultimi anni. Nel tango argentino tra Icardi e Higuain sorridono entrambi, ma sono altri due sudamericani a decidere tutto. Vecino in negativo con l’espulsione (e quanto si è parlato di quel fallo su Pjanic), Cuadrado in positivo, per una vittoria preziosissima per Allegri. La sofferenza della Juventus misura i meriti dell’Inter, che cade per inesperienza, per immaturità, per quella voglia di strafare tipica di chi ragiona da grande ma ancora non lo è.
Si apre l’ultimo mese di campionato. La volata Champions comincia a delinearsi. Dopo il k.o. interno contro i bianconeri, a 3 giornate dalla fine, la classifica vede Roma e Lazio terze a pari merito a quota 70 punti, con l’Inter più giù di 4 lunghezze. Una corsa da cuori forti, in cui ognuno si diverte a puntare sul proprio cavallo vincente. I soli 9 punti a disposizione non consentono molti calcoli. L’Inter vince di carattere sul campo dell’Udinese, travolta 4-0 dopo che all’andata aveva inflitto la prima sconfitta stagionale. Nell’occasione trova la prima rete in nerazzurro Rafael Alcantara, che i tifosi della Milano interista hanno apprezzato e inneggiato con il nome di Rafinha. Il brasiliano, in prestito semestrale dal Barcellona, è l’arma in più di Spalletti.
Alla penultima giornata, l’Inter saluta il proprio pubblico – tra i più caldi d’Italia, tra i più ‘vicini’ d’Europa – nella sfida interna con il Sassuolo, classica squadra che arriva a fine campionato senza velleità di classifica. Dovrebbe essere poco più di una sfilata d’onore, contro un avversario modesto. Diventa il disastro: i neroverdi, trascinati dai gol di Berardi e Politano (proprio lui) espugnano San Siro. La girandola di risultati, vede la Roma già sicura del terzo posto, Lazio e Inter staccate di soli 3 punti. E il calendario, quasi per un disegno del fato, propone lo scontro diretto, all’ultima, all’Olimpico.
Ciò che è successo, quella sera del 20 maggio, lo sanno tutti. Una data scalfita nella memoria dei tifosi nerazzurri, che assistono al finale sognato ma che mai e poi mai avrebbero osato chiedere. Si tratta della partita che vale una stagione, perché fa la differenza, tra l’Europa dei grandi, e quella meno nobile. La gara che segna il confine tra una buona ed un’ottima annata. Si tratta di andare o non andare in Champions League, senza ulteriori giri di parole. La Lazio ci va vicino, passa anche sul 2-1. L’Inter ci va, e vince, grazie a Vecino. L’uruguagio 'la prendeee' al minuto 81 di una partita incredibile, indescrivibile, che Simone Inzaghi gioca con il suo difensore migliore. Quello Stefan De Vrij che la Champions, pur perdendola sul campo, la gioca qualche mese dopo: da svincolato, aveva trovato da mesi l’accordo con l’Inter. La garra charrua trionfa, la Roma biancoceleste piange. L’Inter torna nel calcio delle grandi d’Europa dopo 7 anni di astinenza.
E se arrivare è stata dura, confermarsi può esserlo ancora di più. Ma tra lo Spalletti parte prima e lo Spalletti parte seconda, c’è il mercato. Il Fair Play Finanziario impone di lasciar andare due protagonisti della cavalcata arrivati a Milano in prestito: Rafinha e Cancelo tornani in Spagna a Barcellona e Valencia, con il secondo che tornerà presto in Italia, vestito del bianconero della Juventus. L’estate 2018 è quella dell’arrivo di Radja Nainggolan, grande scudiero del Lucio, per cui il club sacrifica due prodotti del vivaio, l’eterno incompiuto Santon e l’enfant prodige Zaniolo. Ma il mercato estivo è quello della rincorsa (vana) ad un top come Luka Modric, che trascina fino alla finale dei Mondiali di Russia la Croazia (con Brozovic e Perisic), andando poi a strappare il Pallone d’Oro a Cristiano Ronaldo a dicembre.
Il mercato si rivela in sostanza un mezzo successo. Le catene del FPF vengono allentate grazie alle plusvalenze di prodotti della Primavera (Bastoni, Odgaard, lo stesso Zaniolo). In difesa arriva a costo zero Asamoah, svincolato dalla Juve. A centrocampo, oltre il Ninja c’è da segnalare il rientro dal prestito di Joao Mario, mentre in attacco approda a titolo temporaneo con diritto di riscatto Keita Baldè, che prende il posto di Karamoh, ceduto in prestito secco al Bordeaux. Ma il grande colpo si chiama Lautaro Martinez, classe ’97, arrivato per 25 milioni di euro dal Racing Avellaneda. Il club di Diego Milito, nome sempre buono per scaldare i cuori dei tifosi interisti.
Dopo la volata, fatta di emotività, convinzioni apprese per strada, l’annata 2018/19 è quella della crescita, della consapevolezza, degli errori da evitare. Eppure, pronti via e ci sono diversi passi falsi. Dalla caduta di Reggio Emilia contro il Sassuolo, allo stop interno contro il Parma, passando per il 2-2 interno contro il Torino. L’avvio di campionato dell’Inter è deludente sotto ogni punto di vista. Fisico, mentale, caratteriale.
Anche in questo caso, serve una vittoria a Genova contro la Samp per rialzarsi. La firma Brozovic, l’uomo trasformato da Spalletti. Il mago da Certaldo si rivela un maestro nel rigenerare. Perché ‘ubi Luciano, FPF cessat’, e allora dove non arriva il mercato, ci pensa il mister nerazzurro a metterci una pezza.
Due separati in casa come Joao Mario e Borja Valero passano da elementi ostili a uomini che fanno gruppo, lavoratori sporchi, componenti di un circuito a tratti perfetto. Dal mancino di Dimarco del 15 settembre, l’Inter vince 8 partite su 9, tralasciando il blackout di Bergamo e il 4-1 subito dall’Atalanta del Gasp. In mezzo, la vittoria al fotofinish nel derby firmato Icardi, il successo per 3-0 in casa della Lazio e la manita in casa contro il Genoa.
Ma la vera novità è la competizione europea, la Champions League. Qui l’Inter si riscopre davvero pazza, e sembra fare un percorso a parte rispetto a quello del campionato. La prima partita è una vittoria, difficile da decifrare per come matura. Ci pensano Mauro Icardi e Matias Vecino a riprendere il Tottenham nel finale e a regalare una gioia incredibile al pubblico di San Siro, ancora abbagliato dalla garra charrua. Succederà qualcosa di simile contro il Psv, quando il grande protagonista è Nainggolan, goleador nella sua unica vera partita a pieno regime fisico all’ombra della Madonnina fin qui. Contro il Barcellona al Camp Nou non c’è storia, al ritorno sì, ma soprattutto c’è Icardi, che riagguanta Suarez e compagni (senza Messi) ad una manciata di minuti dal fischio finale.
Il periodo clou della nuova stagione, ma in sostanza di un progetto, arriva a cavallo tra novembre e dicembre. Perché arriva quello che molti amano definire ‘tour de force’ e che nella pratica consiste in un filotto di partite toste contro avversari temibili. In un arco di tempo estremamente ristretto la squadra di Spalletti si gioca uno scontro diretto per la zona europea, velleità di scudetto e soprattutto il passaggio del turno in Champions League. Il bilancio che ne segue è un mezzo disastro.
La qualificazione agli ottavi viene bruciata sul filo del rasoio. A Londra in nerazzurri vengono sconfitti dalla strategia di Pochettino e dal sinistro di Eriksen, a San Siro è Lozano a impersonificare le paure di una squadra intera, che si fanno presto realtà. Lautaro Martinez sbaglia una palla che per minuti e fiducia concessagli fin lì non sarebbe dovuta capitare a lui.
In campionato, l’Inter stecca a metà (2-2) a Roma, e crolla 5 giorni dopo allo Stadium per il gol di Mandzukic. Una sconfitta che fa riporre nel cassetto un sogno forse troppo ambizioso chiamato scudetto. Un periodo che come ogni prova del nove dà convinzioni, di aver mezzi importanti, e anche lezioni. Perché le cose da imparare sono ancora molte.
Il 2018 si chiude con 4 partite che se vogliamo rappresentano al meglio tutto il percorso dell’Inter nei 365 giorni che ci stiamo lasciando alle spalle. Contro l’Udinese non soffre e non esagera, ma vince grazie ad una perla su rigore dell’uomo della Provvidenza, Mauro Icardi. A Verona con il Chievo ha la partita in pugno in casa dell’ultima in classifica ma si fa recuperare nel finale dal sempreverde Pellissier. A Empoli vince una partita brutta e scomoda contro un avversario affamato e pieno di grinta. Nel mezzo, il successo del primo Boxing Day della storia della Serie A: a Santo Stefano, i nerazzurri superano 1-0 il Napoli nello scontro diretto per il secondo posto, con la partita forse più convincente di tutto l'anno solare. E qui sì, che la decide Lautaro Martinez, appena entrato dalla panchina, da ranocchio a principe in una sera.
La vittoria sulla squadra di Ancelotti verrà però tristemente ricordata per quello che è successo fuori dal campo. I cori di stampo razzista a Koulibaly, la morte dell'ultrà Daniele Belardinelli, la chiusura della curva per 3 giornate e l'obbligo di 2 partite a porte chiuse. La prestazione più bella rovinata da ciò che di più brutto il calcio può regalare. Un match a cui i nerazzurri arrivavano già scossi dal 'caso Nainggolan'. Il belga indonesiano era stato punito dalla società con la sospensione di una partita per 'reiterati ritardi in allenamento'. Una decisione presa da una società forte, che tra novembre e dicembre abbraccia la nomina di Steven Zhang come presidente, e l'arrivo di Beppe Marotta come nuovo amministratore delegato, nonchè punta di diamante sul fronte mercato.
Se il 2017 è stato l’anno zero, il 2018 è stato l’anno uno. Il primo tassello di un progetto ambizioso, che impone una crescita importante. I passi avanti sono stati tanti, enormi. I passi indietro rari ma pesanti. Lo studio di Spalletti e dei suoi uomini prosegue. Ogni partita è una lezione, e porta un insegnamento.
Il 2019 partirà dal terzo posto, dalla sfida contro il Sassuolo e dai sedicesimi di Europa League, avversario il Rapid Vienna. La città ideale dove poter studiare per diventare grande. Per il resto, poi, ci sarà tempo.
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Autore: Federico Rana / Twitter: @FedericoRana1
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