Intervistato in esclusiva da 'Sportweek' della Gazzetta dello Sport, Francesco Pio Esposito, prodotto delle giovanili dell'Inter come i fratelli Sebastiano e Salvatore, ha parlato delle ambizioni di carriera e dei sogni nel cassetto. Ma non solo.

Quanto, del bimbo che eri fino a ieri, è rimasto? 
"Sono rimasti i ricordi. E poi gli abbracci a mamma e i videogiochi. Fifa, soprattutto. Io di calcio sono proprio malato. Gioco con lo Spezia in modalità di carriera, la mia card vale 61, ma sto crescendo" (ride). 

E in cosa invece senti di essere diventato adulto? 
"Nel rapporto con le persone. Per esempio, nel confronto col mister o i compagni. Allo Spezia c’è gente come Bandinelli, Cassata, Dragowski che ha campionati di A alle spalle: è ovvio che, da diciottenne, in uno spogliatoio con gente molto più grande, all’inizio non potevo avere la confidenza che avevo coi miei coetanei all’Inter, ma ora dico la mia. Una volta ascoltavo e basta. Qui c’è anche Salvatore, il maggiore di noi tre fratelli. Nelle prime partite, vedendomi agitato, mi diceva: “Se non resti tranquillo, non riuscirai a fare neanche le cose che ti riescono abitualmente”. Mi ha sempre dato buoni consigli. Abitiamo insieme. Una volta cucina lui e un’altra io: credo di essere cresciuto anche nella vita di tutti i giorni". 

Com’è, il calcio dei grandi? 
"Ovviamente molto diverso da quello delle giovanili. Gioco nella squadra con l’età media più bassa della B, e questo mi aiuta, ma in campo la differenza si sente, soprattutto a livello fisico. In Primavera, in area di rigore il difensore la maggior parte delle volte ti guarda soltanto. Mi bastava dargli una piccola spinta per liberarmi. Qua ti arriva addosso uno di novanta chili e faccio molta più fatica a trovare spazio. Ci sto lavorando, sia in palestra, sia in allenamento, perfezionando movimenti utili a smarcarmi". 

Qualcuno scrive Lewandowski e legge il tuo nome. 
"Ho saputo. Penso sia un paragone fantascientifico". 

Una parola per definire il centravanti del Barcellona. 
"Classe". 

Lautaro? 
"Pure due: forza e cattiveria". 

Thuram? 
"Velocità". 

Scamacca? 
"Potenza. Ma quello che mi piace di più è Dzeko, per la sua capacità di legare il gioco. Fa un lavoro clamoroso, credo che nessuno come lui sia importante per la squadra". 

All’Inter come arrivate tu, Sebastiano e Salvatore? 
"Successe dopo tre anni al Brescia, e so che non era la sola opportunità. Forse è stata la prima società a parlare con papà, e lui ha voluto mantenere la parola data. Avevo 9 anni, e tutti i giorni facevo col pulmino avanti e indietro da Brescia. Ci mettevo un’ora e mezza ad arrivare al campo. Uscivo da scuola all’una e mezza, alle tre prendevo il pullman, alle cinque c’era allenamento, alle sette ripartivo, alle otto e mezza ero a casa e dovevo fare i compiti. Il giorno dopo uguale e il giorno dopo ancora. È stata dura. Mi ha tenuto su la passione, la voglia di arrivare al campo pensando che se mi fossi allenato a tutta il mister mi avrebbe convocato per la partita". 

E ci pensi, all’Inter? 
"Guardare troppo lontano non è produttivo: se non ti concentri sul breve, come puoi arrivare agli obiettivi a lungo termine?". 

Sezione: In Primo Piano / Data: Sab 11 novembre 2023 alle 11:19
Autore: Alessandro Cavasinni / Twitter: @Alex_Cavasinni
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