Un'ora di chiacchierata a Radio Tv Serie A per Ivan Ramiro Cordoba, che ha raccontato tutto della sua carriera, dagli inizi in Colombia fino all'esperienza all'Inter.
La prima volta che hai calciato un pallone.
"Ho un piccolo ricordo con mio papà. Lui giocava amatorialmente nell'azienda in cui lavorava. Da lì non ho più abbandonato il calcio".
Il pallone come salvezza in Colombia.
"E' stata una pagina molto difficile della nostra storia: c'era il narcotraffico, le guerre tra vari gruppi armati. Soprattutto a Medellin c'era un conflitto quotidiano tra i cartelli. Quando sei piccolo non pensi che accadrà qualcosa a te, pensi a giocare e lo sport è stato importantissimo nella mia vita. Mi ha permesso di star lontano dalla malavita".
Cosa avrebbe fatto Cordoba se non fosse stato calciatore.
"Fino a un certo momento ho studiato seguendo gli insegnamenti dei miei genitori. Ero invitato ad andare bene allo studio perché sennò non potevo andare a giocare o ad allenarmi. Mi impegnavo tantissimo".
I primi anni in Colombia e la Coppa Interamericana con l'Atletico Nacional.
"Me la ricordo, soprattutto quando sono entrato nello spogliatoio con le foto della squadra che aveva vinto la prima Libertadores di una squadra colombiana. Pochi giorni prima vedevo quei giocatori in tv e ora erano compagni. Mi sono seduto per ultimo, aspettando che lo facessero tutti quanti. Abbiamo vinto la prima Coppa internazionale per me, l'unico per me con l'Atletico Nacional. Lo porto nel cuore. Lì ho cominciato a pensare che potevo giocare in nazionale, andare a giocare all'estero. Devi avere una competizione con sé stesso, più che con gli altri. Devi migliorarti ogni giorno, senza quella mentalità non vai oltre le aspettative".
L'idolo Andrés Escobar.
"Una storia molto sfortunata, ma ha lasciato in tutti noi colombiani un ricordo profondo come professionista e persona. Vederlo giocare col Nacional e la nazionale era uno spettacolo. Per un bambino che cercava un modello da imitare, uno poteva essere lui, come poteva anche essere Valderrama. Ma lui era un giocatore completo, in tutti i sensi. Per cui guardavo come giocava, come si comportava coi tifosi. La numero 2 che aveva era stata messa via e non mi sentivo di chiedere la sua 2. La Federazione sapeva che mi piaceva la 2, quando poi ho fatto le prime partite in nazionale mi prende l'allenatore che aveva avuto Escobar negli ultimi anni e mi ha detto che dovevo indossare quella maglia perché doveva indossare il suo percorso. Mi ha detto che trovava in me tante cose per cui potevo essere la persona giusta per prenderla. Erano tre anni che la tenevano senza farla indossare. Non ci credevo in quel momento. Io non mi ponevo nemmeno il problema di chiederla perché per me era sacra. Però quando me l'ha chiesto il mister l'ho presa con ancora più responsabilità e cercando di fare qualcosa di importante ovunque io sia andato".
La vittoria in Copa America da capitano e quella della Champions.
"Vincere per la tua nazionale, la tua gente, la tua famiglia, le persone vicine nel tuo percorso, è bellissimo. Vincere per 45 milioni di persone è pazzesco, non saprei descrivere come mi sono sentito quando ho segnato. Ad oggi rimane ancora nella storia, purtroppo perché avremmo dovuto vincere altre Copa America nel frattempo. Poi arriva l'Inter e la voglia di vincere la Champions era incredibile. Appena arrivato i tifosi non parlavano di Scudetto, parlavano di Champions. Sono passati 45 anni prima di vincere. E quando arrivi lì ad alzare la Coppa, io stringo la testa contro il petto di Javier perché volevo entrare dentro lui e sentire quella gioia. Non solo per noi, perché ci sono stati tempi bui e tempi più belli. Ma per tutti i tifosi, la famiglia Moratti, tutte le persone che sono state vicine a noi. E' stata una liberazione".
L'interesse delle altre squadre durante il periodo all'Inter.
"No. Non mi sono mai pentito di aver scelto l'Inter. Era una grande squadra. Avevo promesso a me stesso, come ambasciatore della Colombia in un altro Paese, di fare qualcosa di importante. Io non volevo essere uno come un altro. Anche vincere una Coppa Italia per me era il massimo. Non ho avuto alcun dubbio, al di là del fatto che il Real ci ha provato in due occasioni, dicendo addirittura che i soldi non erano un problema per quel che volevo o che voleva l'Inter. L'intermediario mi ha detto che doveva portarmi al Real, ma io ho detto che avevo già parlato con Moratti per restare. Avevo già detto a Moratti che se anche mi avessero offerto il doppio io sarei rimasto. Dopo, quando Cambiasso è arrivato all'Inter, lo stesso intermediario mi ha detto che aveva il compito di andare al Real. E ho detto di no, perché avevo un accordo col presidente. Però in qualche situazione negli anni in cui non si vinceva, io chiedevo a Javier, perché avevamo i giocatori forti, cosa ci mancava per vincere. Lui mi diceva sempre di stare tranquillo, che il lavoro avrebbe pagato, i trionfi sarebbero arrivati. E così è stato".
L'arrivo in Argentina e le prime partite.
"Il tifo si sente. Noi guardavamo più calcio argentino che non europeo, fin quando non è arrivato Asprilla. Però l'Argentina rimaneva spettacolare, con così tante squadre. Una volta arrivato al San Lorenzo mi hanno detto che la tifoseria aveva i cori più belli, che tutti cercavano di copiarli. Quindi già per me avere l'approvazione della tifoseria era un obiettivo. Voleva dire essere accettato. Questo non è successo nei primi sei mesi, perché giocavo poco e a volte fuori posizione. Poi ho cominciato a fare bene e cominciano a cantare il mio nome, quello è stato speciale. Ho pianto, perché essere accettato dalla gente vuol dire essere parte della squadra. Da lì siamo diventati una cosa sola, è arrivata una fiducia reciproca che mi ha portato a fare l'ultimo anno che poi mi ha messo nei radar di tutto il mondo".
Perché proprio l'Inter?
"Perché il calcio italiano era come entrare in un romanzo per qualsiasi calciatore. Anche se il Real era pazzesco, ma il calcio italiano è il romanticismo del calcio. Io mi reputo un romantico e volevo andare lì. L'Inter è venuta a cercarmi, aveva tutte quelle stelle. Non ci vedevo più. Anche se Ruggeri, che aveva buoni rapporti col Real, mi disse che potevano darmi di più per cartellino e stipendio. Ma io avevo già scelto l'Inter, mi vedevo già lì con quei giocatori, quello stadio Meazza. Non ho avuto dubbi. Una volta a Milano ricordo soprattutto il primo appuntamento con Moratti. Le prime parole che mi ha detto le ho messe nel cuore: 'Tu hai un carattere molto forte, quando giochi. Ci saranno momenti in cui sbaglierai, ma quello al tifoso interista non interessa. Quello che non ti perdonano è se non lasci tutto. Con quello puoi rimanere tutto il tempo che vuoi'".
Ronaldo e Baggio.
"Ronaldo era pazzesco, difficile da descrivere. Soprattutto dopo il primo infortunio sapevamo che non riusciva a dare tutto in partita. In allenamento noi non facevamo l'intervento. Era una situazione particolare, ci alzavamo pensando a cosa avrebbe fatto di nuovo. Purtroppo non è durato molto tempo, ma quel poco è stato fantastico. Ogni volta noi cercavamo di recuperare palla per darla a lui. O quando c'era Baggio, era lo stesso. Ci pensavano loro. Baggio è una persona eccezionale. Mia moglie mi aveva chiesto chi giocava nell'Inter, quando le ho detto Baggio mi ha detto 'Ah, c'è il Codino!'. Baggio è una persona con cui si parla con grande facilità, noi in Colombia lo vedevamo come irraggiungibile. Invece stando con lui capisci perché è arrivato dove è arrivato".
Moratti.
"E' stato più di un papà. Era il significato di una famiglia. L'esempio che dava ci portava a comportarci così. Lui ci diceva che la cosa più importante erano i tifosi. Ci teneva tanto a questa gente che faceva i sacrifici per vedere una partita, o quelli che viaggiano per la squadra. Ha sempre cercato di avvicinarci ai tifosi. Questo contatto ci deve essere sempre perché quando le cose si separano c'è qualcosa che non funziona bene".
Il gol subito da Shevchenko in semifinale di Champions.
"Lui è stato bravo, è un giocatore fantastico. Quello mi ha aiutato ad essere più bravo. Se non avessi affrontato uno come Sheva, Inzaghi che era sempre al limite del fuorigioco, non sarei stato così competitivo. Quando affronti questi giocatori devi avere qualcosa in più. In quella situazione lui ha avuto la meglio perché in quel momento è stato più forte. C'è stato un rimpallo, è rimasto a lui, è andata così. Voleva dire che non doveva essere in quel momento, ma sette anni dopo. Ogni stagione l'obiettivo era quello, ma secondo me da Cuper in poi noi abbiamo cominciato a costruire una mentalità forte per arrivare a quel che abbiamo fatto dopo. Il 5 maggio è stata anche quella una sofferenza forte, ma col senno di poi ti dici che va bene così perché con quelle sofferenze, quando poi è arrivato il 2010 non c'è gioia più grande perché pensi al 2002, 2003, alle sconfitte in cui andavi ovunque e ti cantavano 'Non vincete mai'. Quello faceva più male ancora".
La Coppa Italia vinta da capitano.
"Vincere la prima Coppa Italia è stato come se togliersi una tonnellata di dosso di quei 'Non vincete mai'. Alzare un trofeo con quella maglia era bellissimo e pensavo a tutti i colombiani che mi vedevano vincere, da capitano. E' stato un grande onore prendere in quella occasione la fascia da Javier, mi spiace per lui che non ci sia stato ma poi ne ha avuti altri 14 da alzare".
L'arrivo di Mancini.
"Aveva esperienza del calcio italiano. Ci siamo concentrati sulla parte tattica, era molto esigente come si deve essere a quel livello. A me chiedeva di cercare di giocare sempre, a volte avevo qualche acciacco ma cercavo di andare in campo. Lo fai perché quando hai la fiducia dell'allenatore pensi al gruppo, prima che a te. Rischi anche il tuo futuro, ma quando sei calciatore e fai parte di una squadra, ti dici che fai lo sforzo per i compagni e la squadra".
Mourinho.
"Il mio terzo figlio si chiama Juan José ma non c'entra col mister. A noi piacevano molto questi due nomi. Tanti hanno collegato col mister, ma non c'entra. Quando lui arriva hai l'idea che c'è un allenatore che le sa tutte. Quando poi arriva e parla, capisci perché è Mourinho. Non gli sfugge niente. Ci sono stati tanti insegnamenti. Uno che mi ha colpito è che ha una capacità di tirarti fuori il massimo, ma seguendo una linea sua con modi brutti o buoni. Ti porta a dare il massimo cercando di far uscire fuori da te la rabbia. Lui soprattutto il primo anno vuol capire chi vuol stare con lui ed è capace di affrontare quel che arriva dopo. Lui deve vedere chi è con lui. Ti mette alla prova, a volte ti stuzzica, a volte non ti fa giocare per vedere come reagisci. E a volte anche se non ti fa giocare per un mese, poi ti mette alla partita più importante di quel momento. Lui sa che quella squadra è lì per lui in ogni momento in cui c'è bisogno. Sono successe tante cose, se mettiamo tutto quel che è successo nello spogliatoio viene fuori un'altra cosa. La litigata di Bergamo fu una cosa forte. Lui diceva che non lo avremmo mai sentito parlare male di un giocatore. Quando accade, lui parla male di me e mi diede anche degli anni in più di quelli che avevo. Lui però è furbissimo, disse che avevamo perso il primo tempo 3-0, ma il secondo avevamo vinto 1-0... Il giorno dopo lui ha convocato una riunione e ci siamo detti tante cose in faccia. Da lì abbiamo cominciato a conoscerci. Abbiamo capito che lui era anche quelle situazioni. C'è stato l'inizio di una ricostruzione per andare a vincere".
Durante la stagione del Triplete avete mai pensato che fosse quella giusta?
"Nella mentalità del calciatore queste cose non le pensi tanto perché è come se ti bruciassi. Vai avanti partita per partita. Abbiamo vinto Coppa Italia, Scudetto e non pensavamo al Triplete. Pensavamo a vincere quella finale, ma dietro quella finale c'era una storia pazzesca: il Triplete, la Champions dopo 45 anni. Non lo fai perché ti riempi di una responsabilità esagerata. La devi vivere, come quando sei piccolo devi gioire di quei momenti e fare come sei abituato a fare, perché sennò ti congeli nel momento giusto e non fai bene".
La forza del gruppo grazie anche a chi non gioca.
"A volte sei in panchina e anche lì se ti senti parte della squadra, te lo fanno sentire compagni e soprattutto allenatore. Ti porta a dare tutto te stesso. Mourinho ha fatto quello. Mi metteva come esempio, diceva che sentiva parlare coi giornalisti ma che poi quando ci si allenerà al 10% di quel signore là che ha tanta esperienza, non lo faccio giocare ed è lì pronto, quando poi farete il 10% che fa lui forse vi faccio giocare. Così è successo con Muntari, che non giocò per tanto tempo. Così è successo con Eto'o che non era convinto di giocare in quel modo, all'inizio non ha giocato e poi è diventato fondamentale in quel ruolo. Questa è la sua famosa capacità di entrare nella testa dei giocatori".
Se ripensi a te bambino, qual è l'immagine che ti fa dire che ce l'hai fatta.
"Non me lo immaginavo nemmeno da piccolo. Andava oltre ai sogni. Da piccolo il sogno era fare il giocatore professionista. Poi arrivi al Rio Negro e pensi di giocare all'estero e in nazionale. L'Inter o la Champions, per la nostra realtà in Colombia era irraggiungibile. Per cui quando alzi la Coppa ti dici che è troppo. Così mi sono sentito sempre in questi anni, che è stato poco quel che abbiamo vinto rispetto al sostegno che abbiamo ricevuto nei miei 12 anni di carriera. Anche con 15 trofei vinti per me siamo rimasti in debito coi tifosi, ma quella attuale può continuare quel che abbiamo fatto noi".
Cordoba nel 2035.
"Assolutamente vicino alla mia famiglia. Ieri ero con mio figlio piccolo e pensavo all'intervista di oggi. Io un domani mi vedo a condividere con la mia famiglia, anche se ognuno avrà le proprie cose, ma cercando di stare insieme. Qui in Italia o dove sarà, perché ho quattro figli e non sappiamo dove saremo. Però spero di poter essere da guida per il calcio colombiano, per essere più forte come sistema, più alla pari degli altri campionati. Noi siamo forti come nazionale, ma ci manca un lavoro dietro. E' migliorato, ma cercherò di mettere tutto me stesso se ci sarà la possibilità. Per adesso voglio gioire dei progetti che nascono, non stando lontano dal calcio perché è il mio grande amore assieme alla mia famiglia".
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