Se un gruppo di giocatori conosce relativamente la storia della squadra per cui gioca, è alla prima stagione in nerazzurro e non sa neanche se il prossimo anno giocherà ancora con gli stessi colori; se la società è concentrata su massimi sistemi economici e l’allenatore pensa al presente, tracciando un bilancio della stagione, perdere con la derelitta Lazio, anche al ritorno, è il minimo che possa capitare.
E’ evidente che nessuno ma proprio nessuno all’Inter, stia cercando di costruire la mentalità vincente. Si parla di giocatori, debito da risanare, futuro indo, cino, italiano, Simeone che vorrebbe allenare l’Inter, Perisic che parla di contratto da rispettare ma non si sa mai…
Si parla di ogni cosa, ma sono esattamente partite di scarsa importanza come queste, che rendono un club più o meno grande. La mentalità vincente passa infatti dalla motivazione che non è delegata al solo allenatore ma alla società. E’ un vecchio problema causato da troppi cambiamenti, troppe facce poco nerazzurre, poco coinvolte, dispiaciute per le sconfitte e soddisfatte delle vittorie. La storia dell’Inter è fatta di molti quarti o quinti posti, di stagioni schizofreniche, di ottavi e di primi o secondi posti, vissuti come exploit e gestiti come peggio non si poteva. L’Inter di Herrera fece un ciclo straordinario, quella dei record di Trapattoni durò un anno e poi venne distrutta già con la cessione di Diaz, quella di Mancini e Mourinho venne disintegrata dalla società da un anno all’altro.
Oggi ci si lamenta del quarto posto, ma partite come quelle con la Lazio sono state giocate così da altre Inter, con la stessa spocchia e sono lo specchio di una società storicamente naif. Il concetto di costruzione della mentalità, quella che Mourinho sembrava aver portato, deve passare dai vertici del club a prescindere da qualunque allenatore sieda sulla panchina nerazzurra. All’Inter è esattamente il contrario: ora c’è Mancini, ci si affida solo a lui, tutto sembra dipendere da lui.
Oggi la gestione di un club di questo blasone non dovrebbe più essere tanto innamorata di se stessa, tanto permalosa e introversa.
I tifosi pensano convintamente che le colpe siano sempre dell’allenatore e per questo i dirigenti hanno sempre avuto l’alibi. Dirigenti che oggi non sono più riconoscibili e che creano un rapporto diretto solo tra il tecnico e i tifosi, come un club di provincia.
Probabile che la mia sia un'analisi nel vuoto, eppure se qualcuno all’Inter raccogliesse questo invito a cambiare radicalmente il senso dell’approccio di questa e delle prossime squadre che scenderanno in campo, avremmo l’Inter che desideriamo.
La partita distaccata dell’Inter passa attraverso un timido impegno della Lazio, la quale è un'anomalia di sistema in questo campionato, una squadra piena di talento e di giocatori che in questa stagione sono tornati a essere irrisolti. L'Inter però riesce spesso a rigenerare le Lazio di qualunque stagione. Il primo tempo mostrava già quanto scarso fosse il desiderio dei giocatori di scendere in campo. Ogni volta che Keita, Candreva e Lulic andavano in missione, palla al piede, tutta la squadra veniva superata in velocità come se avessero a che fare con Usain Bolt. Poi i consueti errori in disimpegno e altre banalità in ogni zona del campo, compreso Miranda
Non si tratta di un problema tecnico ma di una generale collettiva assenza di stimoli che, nonostante questo, mostravano un Kondogbia volitivo, costretto ogni tanto a dribbling improbabili perché nessun compagno si smarcava e rimaneva incollato ai difensori laziali.
Nel secondo tempo l'Inter provava a pareggiare accelerando e creandosi delle opportunità ma sempre in modo velleitario, senza ritmo e come sempre senza mai fare pressione sugli avversari.
Emblematico un contropiede a inizio del secondo tempo in cui Jovetic riusciva a culminare l'azione con un pallonetto (sic!).
L'Inter meritava anche di pareggiare, considerando le occasioni da gol, ma parliamo comunque di una partita di fine stagione giocata in modo anonimo da una squadra senza idee senza corsa, proposizioni, movimento senza palla e le immancabili scelte sbagliate i giocatori incapaci di giocare con un ritmo alto.
Amala (ma non questa sera).
Autore: Lapo De Carlo / Twitter: @LapoDeCarlo1
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