Non so quello che accadrà stasera e ancora non mi sono levato dalla testa il pirotecnico pareggio esterno col Celtic. Scrivere il giorno stesso di una partita implica la coscienza di dover essere interlocutorio. In questo stato di attesa, in cui speri di mandare a riposo tutti i brutti pensieri di ciò che non va all’Inter, vivi la domenica gufando ogni cosa che si muove in campionato. Sì, perché davanti all’Inter c’è ancora mezza serie A e se ti ritrovi a fare un micro pugnetto di esultanza, dopo il gol del Torino con la Fiorentina, ti rendi conto che la strada è ancora lunghissima. Prima di mettere mano alle tabelle per vedere se almeno un posto in Europa League è possibile, si deve comprendere qual è lo stato mentale di questa strana squadra fatta di giocatori particolarmente conflittuali, ribelli alcuni, difficili altri e, in definitiva non ancora in grado di essere squadra. 

Nell’Inter di oggi infatti ci sono tante storie che mostrano perché la squadra non sia ancora coesa, non viaggi nella stessa direzione con quell’unità di intenti che dovrebbe generare un obiettivo come un piazzamento per l’Europa o addirittura un lungo viaggio in coppa. Invece dopo Osvaldo ci si rende conto che Vidic non si danna per entrare in un momento delicato della partita in Scozia e risponde male (anche lui) a Mancini, il quale gli fa fretta per entrare al posto di Ranocchia dolorante. Pare sia stato un fraintendimento ma non è il primo.

Il tecnico nerazzurro ha rivelato ieri che Hernanes non è contento anche se avrà le sue occasioni, Ranocchia sta attraversando un prolungato periodo di insicurezza, che è percepibile anche attraverso un monitor di 20 pollici in bianco e nero. Le sue esitazioni, la sua aria tremebonda stanno irritando i tifosi che lo hanno eletto a nuovo capro espiatorio.
Il suo è comunque un problema psicologico, come quello che sta bloccando Kovacic.

Personalmente non sarei tipo da preoccuparmi per il suo improvviso calo, ma si sta rafforzando quell’ala estrema di opinione che pretenderebbe da lui un rendimento da fuoriclasse, da campione quale da la sensazione di poter diventare.
Ma nell’eterno del dibattito, tutto interista, sulle effettive potenzialità del talento di turno si ritiene che, se non sboccia in uno o due anni, non accadrà più, perciò come sempre: meglio cederlo.  E’ una mentalità così profondamene sbagliata e, allo stesso tempo, inestirpabile del popolo non solo nerazzurro. Popolo che, in parte, aveva eletto a beniamino persino Jonathan il quale è misteriosamente infortunato perpetuamente. Lascerà l’Inter a fine stagione ma la sua assenza così lunga crea i presupposti di un’altra storia nella storia. 

In definitiva l’Inter ha troppi giocatori con retro pensieri, i quali sanno di andare in dissolvenza e non hanno gli stessi stimoli di altri compagni. L’Inter è dunque fragile, ogni tanto se l’avversario, come il Celtic, fa “BU” si spaventa e indietreggia. Per questo, temo molto l’Inter che giocherà il ritorno in casa, davanti ad un pubblico scarso e gli ospiti in massa a San Siro. Sarà un altro mini Celtic park e il divario tecnico potrebbe andare a farsi benedire. Perché è importante ricordarsi che questo Celtic è uno dei peggiori della storia.

Mi preoccupa anche vedere Campagnaro così indeciso. E Juan Jesus tanto svagato. Eppure la straripanza di Shaqiri mi conforta quanto la saggezza tattica di Brozovic. L’Inter è tecnicamente più forte di quello che lei stessa immagina ma ha bisogno di tante vittorie, anche quelle che non ha il coraggio di sognare.  Se non lo farà continueremo a tremare con qualunque avversario.

Sezione: Editoriale / Data: Lun 23 febbraio 2015 alle 00:06
Autore: Lapo De Carlo
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