La campagna europea insufficiente delle italiane in coppa è uno stimolo per Arrigo Sacchi, che torna ad analizzare il momento non idilliaco del calcio italiano. L'ex c.t. azzurro ne parla al Corriere dello Sport: "Il calcio italiano non vince perché non fa squadra. Ci riusciamo talvolta in situazioni tragiche. Per esempio, dopo la Seconda Guerra Mondiale abbiamo trovato l’unità di intenti e siamo diventati una delle prime potenze industriali. Per tornare al calcio, quando ci siamo coagulati intorno alla Nazionale abbiamo vinto due Mondiali. E’ una questione di storia, di cultura, di racconto", ribadisce.

Ardito il ponte tra storia e calcio. 
"Io amo il mio piccolo mondo del pallone e sono convinto che, se cambiasse mentalità, potrebbe fornire un bell’esempio e un bel contributo alla vita sociale".

Dimostrando che cosa? 
"Che una vittoria senza bellezza non è una vittoria. Che tra un tattico e uno stratega vince sempre lo stratega, come spiega Sun Tzu nell’Arte della Guerra. A meno che non ci sia un’enorme sproporzione di forze".

Nel caso della Juventus e del resto del calcio italiano, c’è. 
"Ma poi la Juventus va a giocare in coppa e viene fatta fuori da una squadra ben organizzata di bravi ragazzi, molti dei quali sconosciuti".

Com’è potuto accadere? 
"La Juventus intesa come squadra ha un club strutturato alle spalle, una tradizione invidiabile e un allenatore tra i più bravi che ci siano. Un tattico sopraffino. Ma è pur sempre calcio italiano. Giochiamo con otto o nove uomini invece che con undici. Neppure coinvolgiamo il portiere, non abbastanza". 

Neppure Cristiano Ronaldo ha cambiato le cose. 
"Rientra tutto nello stesso schema. Ci viene paura, pensiamo che il talento del singolo ci salverà, lo compriamo e mettiamo nei guai gli amministratori senza risolvere il problema. Gullit si metteva a ridere nel vedere tutti gli esercizi individuali che pretendevamo di imporgli e Rinus Michels si chiedeva se fossimo matti. Avevano ragione. Si deve allenare la squadra, non il singolo". 

Non ci sono maestri di calcio bravi in Italia? 
"Almeno cinque o sei, solo in Serie A. Butto lì Gasperini e Di Francesco, ma non mi metto a nominarli tutti. Di Francesco non ha avuto la possibilità di portare avanti il suo insegnamento, a Roma. Non mi meraviglia. Qualsiasi tentativo di cambiare le cose deve partire dai club. A Milano guardavo la gente per strada, cercando di capire dove fossi finito. Vedevo come si muovevano gli ottantenni e pensavo: questi hanno il pressing nel Dna. Alcune società e alcuni luoghi per storia ed esperienze sono più pronti di altri a rinnovarsi. Però la pazienza manca a tutti".

Anche Klopp e Pochettino senza successi avrebbero problemi in Italia. O no? 
"L’ambizione in un club è il carburante. Ti manda lontano, a tappe forzate. Però deve essere ambizione sana. Aver mandato Sarri a lavorare in Inghilterra è un peccato che al nostro calcio non mi sento di perdonare". 

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Sezione: Rassegna / Data: Sab 20 aprile 2019 alle 09:46 / Fonte: Corriere dello Sport
Autore: Alessandro Cavasinni / Twitter: @Alex_Cavasinni
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