Uno dei possibili protagonisti del derby di sabato è Denzel Dumfries. L'olandese, alla Gazzetta dello Sport, parla dei suoi primi mesi nerazzurri e delle aspettative per questa stagione e non solo.
Come va l’ambientamento al nuovo mondo?
«Bene, sono stati mesi divertenti, ma intensi. Per me era davvero tutto nuovo, ma sin dall’inizio ho provato a capire il più in fretta possibile come si sta in questo grande club e ad apprezzare tutte le cose belle: parlo con lo staff, conosco i compagni, ma soprattutto ascolto. Ascolto e imparo».
Quanto le è pesato quel rigore che ha causato contro la Juve?
«Molto, è stato il momento più duro. Mi è caduto il mondo addosso: essere coinvolto in quell’episodio in una delle partite più importanti dell’anno... Ma già dal giorno dopo ho sentito l’aiuto del club e ho provato a ritrovare l’equilibrio mentale. La settimana dopo a Empoli D’Ambrosio ha segnato ed è venuto ad abbracciarmi: non mi era mai successo, è stato uno shock positivo, un’emozione. Ho capito che tutti erano dalla mia parte».
Quale è stato, invece, il momento più bello, quello della svolta?
«Il gol alla Roma mi ha dato fiducia, è stata la svolta, ma non posso scordare la Supercoppa che qui mancava da tanto: il mio primo grande trofeo, in quell’atmosfera, non lo dimenticherò».
Pesa tanto sulle spalle l’eredità di Hakimi?
«Beh, tutti hanno visto che esterno fantastico sia e come abbia lasciato il segno. Ma, con rispetto, a me non piace parlare di eredità: non mi sento come uno che ha preso il suo posto di un altro perché i giocatori cambiano sul mercato. Ora è il mio tempo e lavorerò duro per essere all’altezza».
Ma chi è il suo modello in quella posizione?
«All’Inter ci sono stati giocatori incredibili a destra, il primo che mi viene in mente è Maicon: un esempio, vorrei avvicinarmi il più possibile ai suoi livelli».
Che cosa la colpisce dello stile di Inzaghi?
«La sua determinazione, il modo passionale con cui sente le partite che non avevo mai visto. È “dentro” il match, lo gioca, è come se corresse lui stesso con noi. Si vede che è una guida, uno che sa connettere le persone: questo ti resta dentro».
Sta studiando italiano: ha imparato la parola “scudetto”?
«In realtà ho interrotto le lezioni per la nascita di mia figlia, ma adesso mi rimetto sotto. Intanto ascolto, leggo, provo a catturare qualsiasi cosa. Le parole che più conosco sono “uomo” e “scivola”, mi servono per sopravvivere in campo, ma certo che so cosa significa scudetto: non ci pesa essere considerati favoriti, è una bella sensazione, ma conta solo restare fissi sull’obiettivo».
Che emozioni sente mentre si avvicina il derby?
«È una gara unica, si vedeva in Olanda. Ricordo il gol di Stefan nella rimonta di due anni fa. All’andata, anche se in panchina, c’era un’atmosfera pazzesca, una elettricità diversa. Io, però, non la preparo in modo differente: provo a rimanere sempre acceso, a prescindere dalla partita».
Chi o cosa l’ha colpita dei suoi compagni finora?
«Cito un episodio: in un giorno di pausa sono andato ad Appiano per la fisioterapia. Pensavo di essere solo e invece ho trovato 12-13 compagni. Sono rimasto stupito: in Olanda non succede, il riposo è riposo. Ma mi ha fatto capire il livello di professionalità di tutti».
Come va l’ambientamento al nuovo mondo?
«Bene, sono stati mesi divertenti, ma intensi. Per me era davvero tutto nuovo, ma sin dall’inizio ho provato a capire il più in fretta possibile come si sta in questo grande club e ad apprezzare tutte le cose belle: parlo con lo staff, conosco i compagni, ma soprattutto ascolto. Ascolto e imparo».
Quanto le è pesato quel rigore che ha causato contro la Juve?
«Molto, è stato il momento più duro. Mi è caduto il mondo addosso: essere coinvolto in quell’episodio in una delle partite più importanti dell’anno... Ma già dal giorno dopo ho sentito l’aiuto del club e ho provato a ritrovare l’equilibrio mentale. La settimana dopo a Empoli D’Ambrosio ha segnato ed è venuto ad abbracciarmi: non mi era mai successo, è stato uno shock positivo, un’emozione. Ho capito che tutti erano dalla mia parte».
Quale è stato, invece, il momento più bello, quello della svolta?
«Il gol alla Roma mi ha dato fiducia, è stata la svolta, ma non posso scordare la Supercoppa che qui mancava da tanto: il mio primo grande trofeo, in quell’atmosfera, non lo dimenticherò».
Pesa tanto sulle spalle l’eredità di Hakimi?
«Beh, tutti hanno visto che esterno fantastico sia e come abbia lasciato il segno. Ma, con rispetto, a me non piace parlare di eredità: non mi sento come uno che ha preso il suo posto di un altro perché i giocatori cambiano sul mercato. Ora è il mio tempo e lavorerò duro per essere all’altezza».
Ma chi è il suo modello in quella posizione?
«All’Inter ci sono stati giocatori incredibili a destra, il primo che mi viene in mente è Maicon: un esempio, vorrei avvicinarmi il più possibile ai suoi livelli».
Che cosa la colpisce dello stile di Inzaghi?
«La sua determinazione, il modo passionale con cui sente le partite che non avevo mai visto. È “dentro” il match, lo gioca, è come se corresse lui stesso con noi. Si vede che è una guida, uno che sa connettere le persone: questo ti resta dentro».
Sta studiando italiano: ha imparato la parola “scudetto”?
«In realtà ho interrotto le lezioni per la nascita di mia figlia, ma adesso mi rimetto sotto. Intanto ascolto, leggo, provo a catturare qualsiasi cosa. Le parole che più conosco sono “uomo” e “scivola”, mi servono per sopravvivere in campo, ma certo che so cosa significa scudetto: non ci pesa essere considerati favoriti, è una bella sensazione, ma conta solo restare fissi sull’obiettivo».
Che emozioni sente mentre si avvicina il derby?
«È una gara unica, si vedeva in Olanda. Ricordo il gol di Stefan nella rimonta di due anni fa. All’andata, anche se in panchina, c’era un’atmosfera pazzesca, una elettricità diversa. Io, però, non la preparo in modo differente: provo a rimanere sempre acceso, a prescindere dalla partita».
Chi o cosa l’ha colpita dei suoi compagni finora?
«Cito un episodio: in un giorno di pausa sono andato ad Appiano per la fisioterapia. Pensavo di essere solo e invece ho trovato 12-13 compagni. Sono rimasto stupito: in Olanda non succede, il riposo è riposo. Ma mi ha fatto capire il livello di professionalità di tutti».
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