E' da poco passata l'1 di notte. Zona mista di San Siro. L'Inter è appena stata eliminata dalla Coppa Italia e nessuno parla. Lo farà, dopo una lunga attesa e un grande freddo, solo Luciano Spalletti. L'unico autorizzato a fermarsi a parlare con i giornalisti. Per ribadire più o meno quanto già detto sia alla tv pubblica sia in conferenza stampa. Solo che l'ora tarda probabilmente lo induce a un piccolo sfogo che nasce da un misto di stanchezza e necessità, voglia, dovere di difendere il proprio lavoro.

Quando un collega osserva giustamente che un obiettivo stagionale è sfumato, l'allenatore dell'Inter passo a un attacco inaspettato. "L'obiettivo lo inventi te per fare il gioco di creare attenzione, poi la gente lo vive in questa maniera. L'obiettivo è andare avanti e fare delle buone partite, non vincere questo o quello. Così si crea quella tensione intorno alla squadra per cui poi il pubblico arriva e ci fischia. Dire il giorno prima che 12 giocatori vogliono andare via è scorretto, è un martellamento dentro la testa dei giocatori".

Questo dopo aver già ripetuto che l'Inter aveva fatto il suo dovere, che a differenza della gara di Torino si era visto il cuore e che, nonostante tutto e al di là di tutto, era stata fatta una prestazione da Inter. Roba che uno si chiede se ha sentito bene o se di colpo non è più in grado di comprendere l'italiano. Punto primo: il pubblico ha fischiato perché l'Inter contro la Lazio ha giocato una bruttissima partita, senza cattiveria voglia di raggiungere un obiettivo, senza un'idea di gioco, senza la capacità e il coraggio di provare una giocata, a volte senza nemmeno la minima capacità di fare le cose più elementari. Nessun movimento senza palla, un centrocampo inesistente, tanta rassegnazione e una condizione fisica in calo.

Tutte cose per altro già viste contro Sassuolo e Torino. Solo che quando di mezzo c'è una gara a eliminazione diretta, quando c'è la possibilità di andare avanti in una competizione che poche ore prima aveva visto eliminate le pretendenti più accreditate e pericolose, ti aspetteresti, e qui sta il secondo punto, almeno una certa furia agonistica, un po' di cuore, determinazione e ferocia per andare oltre limiti e difficoltà (quelle cose che, ad esempio, Gattuso trasmette al Milan). E magari qualcuno queste cose le ha viste fare anche all'Inter. Chi scrive no. Ed è per questo che poi non è giusto difendere la squadra, detto e concesso che perdere capita a chiunque, soprattutto quando si ci gioca tutto ai rigori. E basta dire che sono una lotteria: quando si arriva ai rigori vince chi è più concentrato, freddo e razionale.

Punto terzo: non si fa il bene dell'Inter ma si fa il suo male nel continuare a dare pacche sulle spalle dopo sconfitte clamorose, nel dire bravi lo stesso ci avete provato, più di così non si poteva fare. Balle. Più di così questi giocatori possono e devono fare. Altrimenti vuol dire accettare la mediocrità, accettare che non siano in grado di fare un salto di qualità e saltar fuori dal vortice degli eterni sconfitti. Vuol dire accettare di uscire regolarmente da ogni competizione e non fissarsi un obiettivo vero e concreto. Vuol dire, infine, accontentarsi di averci provato.

Spalletti non può essere, e infatti non lo è, il solo responsabile di un periodo negativo e di due fallimenti in stagione (l'uscita dalla Champions per l'incapacità di battere il Psv in casa è un fallimento così come lo è essere eliminati ai quarti di Coppa Italia). Nessun allenatore è mai il solo responsabile di tutto. Lui di certo non lo è intanto perché lavora con un materiale tecnico e caratteriale buono ma non di primo livello. E poi perché i gol a porta vuota non li ha sbagliati lui come nemmeno i calci di rigore finali (anche se lui, forse, col cappotto e le scarpe eleganti li avrebbe calciati meglio).

E' però il primo responsabile della mentalità che si trasmette o si cerca di trasmettere al gruppo. E troppe volte quest'anno, anziché le grida sono volate le pacche sulle spalle. Certe sconfitte devono far infuriare, non trovare giustificazioni come invece successo dopo i ko con Juve, Tottenham, Atalanta, dopo il pari con Psv e quello con una Roma a pezzi, dopo le prestazioni inguardabili contro Sassuolo, Torino e ora Lazio. E' responsabile di essersene uscito con un vero atto d'accusa nei confronti di un giocatore che conosce de tempo e che ha fortemente voluto: "Nainggolan mette 3-4 cose davanti al calcio", disse Spalletti dopo che per altro il belga aveva giocato un buon spezzone di partita contro l'Empoli ed era appena stato reintegrato dopo la sospensione disciplinare.

E' in parte anche responsabile, assieme alla società (lo scrivo e sottolineo di nuovo: assieme alla società) del malumore che non viene inventato dai giornalisti ma viene pubblicamente dichiarato da un giocatore che per l'allenatore è stato sempre un tassello irrinunciabile fin qui: sono state le dichiarazioni di Perisic e del suo agente prima e quelle di Marotta poi a far infuriare i tifosi (e a creargli una sorta di vuoto attorno nello spogliatoio). Non le invenzioni dei giornalisti. Sono state le dichiarazioni in tv e sui social di Wanda Nara e seminare dubbi sul rinnovo di Icardi. Non le invenzioni dei giornalisti.

La pressione di un quarto di finale di Coppa Italia da vincere a tutti i costi (manco parlassimo di una finale di Champions) dovrebbe essere cosa gestibile per dei professionisti, non un gioco creato dai giornalisti. Altrimenti smetti di chiamarti e di essere l'Inter e prendi il nome, con tutto il rispetto, della Pergolettese (e allora però la devi anche smettere di dichiarare che vuoi tornare ai vertici del mondo). La Coppa Italia era eccome un obiettivo: dire il contrario significa non mettere i giocatori davanti alle loro responsabilità e non contribuire alla loro crescita. Né a quella della squadra.

Sezione: Editoriale / Data: Dom 03 febbraio 2019 alle 00:00
Autore: Giulia Bassi / Twitter: @giulay85
vedi letture
Print