Alzi la mano chi pensava che nella stagione 2019/20 l’Inter avrebbe vinto lo Scudetto. Adesso lo faccia chi invece puntava sui nerazzurri per la Champions League. Ok. Chiudiamo con la certezza di vincere la Coppa Italia. Perfetto.

Purtroppo non posso vedervi. Ma siccome ho un’ottima memoria e per lavoro vado proprio a studiare che cosa si dicesse/scrivesse in un determinato periodo storico - in questo caso il post Spalletti - posso affermare senza problemi che sicuramente nessun interista pensasse con convinzione a un possibile Triplete. Solo i più grandi sognatori auspicavano la vittoria in campionato o in Champions League, mentre qualche speranza in più c’era per la Coppa Italia.

Fantasie e desideri. Non idee supportate da fatti. Si partiva sempre dalla solita frase: “La Juventus è più forte e ha una rosa più ampia. Ma se crollassero…”. Già, se crollassero. E quasi quasi si faceva finta di non considerare il Napoli. Una squadra partita con Ancelotti in panchina, calciatori importanti e che sul finire della scorsa annata, senza nulla da chiedere al campionato, con i nerazzurri che invece dovevano provare a conquistare la Champions League, rifilarono scherzando e in totale scioltezza 4 – sì, proprio 4 – gol alla Beneamata.

Ora, che ogni stagione abbia la propria storia sono io il primo a sostenerlo. E questa è certamente sui generis: una pandemia mondiale è (fortunatamente) qualcosa non certo abituale. 
Ma il processo all’Inter di Conte dopo aver dominato a Napoli, senza tener conto dell’avversario, né tantomeno di condizioni sicuramente particolari, mi sembra quantomeno ingiusto. 

Mi spiego meglio. Voi tifosi – giustamente – siete infuriati perché l’Inter non vince nulla da quasi 10 anni. Questa è una situazione oggettiva che non può essere cambiata. È nella natura e nel diritto di ogni supporter prendersela se il proprio team – soprattutto se un top club – lascia vuota la bacheca per così tanto tempo. Ma tutti gli addetti ai lavori – dai dirigenti, ai giocatori, passando per allenatori e giornalisti – devono contestualizzare e analizzare il determinato frangente senza farsi trasportare dalla brama di vittoria della piazza. Altrimenti non è più lavoro, ma tifo. E vale tutto. Poi non ci lamenti se la qualità di tali attività diventa (o resta?) bassa.

L’Inter a Napoli ha giocato molto bene. Ospina è stato il migliore in campo. E di fatto se al posto di Handanovic ci fossi stato io, non sarebbe cambiato praticamente nulla. Questo per esplicitare la differenza di stile di gara tra le due compagini. E aggiungo pure che tra semifinali e finale, i nerazzurri hanno espresso il gioco migliore. Poi, siccome a calcio si vince segnando, e il portiere avversario fa parte del contesto, se non la butti dentro meriti di essere eliminato.

Chiaro ed evidente. Ai nerazzurri resta perciò l’amaro in bocca di quel che poteva essere ma non è stato. Ed è giusto che ci sia un mea culpa da parte di tutti. Anche perché prendere un gol, in contropiede, da corner a favore con rilancio del portiere, fuori casa e in vantaggio di una rete, è semplicemente da 'polli'. Doppi, se si ricorda il gol di Vlahovic a Firenze, per un episodio simile di qualche mese fa.

Ma poi la prestazione va analizzata a 360°. Il risultato è fondamentale. Ma se vieni preso a pallonate dal tuo rivale, può andarti bene una volta, forse due. Ma non di più. E l’Inter a Napoli – con un Eriksen che a mio avviso ha mostrato lampi di classe che poche volte si sono visti negli ultimi anni all'Inter – non ha subito Mertens e compagni, anzi. Né ha preso 4 gol, senza colpo ferire come la scorsa stagione. I nerazzurri hanno il demerito enorme – che va sottolineato – di non aver chiuso la partita. Ma per correttezza intellettuale si deve anche specificare che davvero abbiano dominato i partenopei nei 90 minuti. 

Certo, la sconfitta brucia ancor di più dopo aver visto Insigne alzare al cielo la Coppa Italia. Sicuramente molti di voi avranno pensato: “Potevamo trionfare noi”. Ed è verissimo. Ci sono tante colpe, ma anche molto da cui ripartire. Con una parola chiave: prestazione. 
Lautaro non pervenuto, in pagella si è meritato un 3, giocando male uno scampolo di partita. Ma ci si dovrebbe preoccupare se fossero 6/7/10 gare. A gennaio, dati alla mano, ne ha segnati di gol. A febbraio benino contro la Lazio, male – come tutti – a Torino. Poi non si è più giocato. Se si dovesse giudicare un atleta da uno scampolo di partita, allora le critiche rivolte al Toro devono essere girate anche a Cristiano Ronaldo, che contro il Milan è stato il miglior difensore dei rossoneri e contro il Napoli sembrava il fantasma Casper.

Invece da quello che sento e leggo sembra che al San Paolo sia stata una disfatta. Non è colpa di Conte se l’Inter non vince dal 2011. Né della proprietà attuale che ha dovuto comunque – e questo lo si dimentica con troppa facilità – sanare i conti e seguire il fair play finanziario. L’Inter se vuole essere considerata un vero top club – non solo di nome, ma di fatto – e non fare quindi la fine del Milan - deve allestire un organico composto da campioni. E competere perciò su più fronti. Ma siccome nessuno ha la bacchetta magica – e ci sono delle regole da seguire – si deve impostare un progetto per poi svilupparlo. Quello che sinceramente sto vedendo in questa annata. Inalberarsi perché l’Inter non vince è da tifoso, ma buttare tutto alle ortiche dopo un’ottima prestazione – e per colpa degli insuccessi delle annate precedenti – è da tafazzisti. O da chi non aspettava altro per innescare la solita, trita e ritrita, macchina del fango. 

Come Cristiano Ronaldo con la testa già al Barcellona.  Ah, no, quello era Lautaro.

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Sezione: Editoriale / Data: Ven 19 giugno 2020 alle 00:00
Autore: Simone Togna / Twitter: @SimoneTogna
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