In mezzo al trambusto generato, inevitabilmente, dalla notizia del rinvio della prima giornata del campionato di Serie A causa ‘sciopero’ da parte dei calciatori in virtù del mancato accordo per il contratto collettivo, spicca un commento da parte di Fabrizio Bocca, che per il quotidiano La Repubblica ha analizzato la situazione invitando a non tirare addosso la croce ai calciatori per quanto accaduto (“Non chiamatelo sciopero dei miliardari”), spiegando il perché in diversi punti. Tra le tante argomentazioni, spiccano soprattutto tre punti interessanti:

1) Lo ‘sciopero’, o come si vuol definirlo, non è uno sciopero vero e proprio, perché se così fosse la prima giornata del campionato 2011-2012 non avrebbe mai luogo, l’Inter non sfiderebbe mai il Lecce a San Siro, e soprattutto ai giocatori verrebbe meno qualcosa nello stipendio di fine mese. Invece, con buona pace di tutti, il primo turno verrà recuperato a ridosso delle vacanze di Natale (nessuno scandalo, fino a qualche anno fa in Italia si giocava il pomeriggio del 31 dicembre e in Inghilterra le partite nel periodo natalizio abbondano) e il campionato ritroverà l’equilibrio perso:
2) Quest’agitazione non è un’anomalia tutta italiana: sono recenti le notizie relative all’agitazione in Spagna, dove anche la prima giornata di Liga è saltata e solo in extremis si è trovato l’accordo per cominciare da domani con le partite del secondo turno (cosa che in Italia ancora non è sicura), e negli Stati Uniti è cosa certa il lock out, ovvero la sospensione del campionato Nba di pallacanestro a data da destinarsi.
3) Non si tratta di uno sciopero per soldi. Non ci si ferma a causa di stipendi arretrati mai pagati come in Spagna (in Italia quando avvengono certe cose le penalizzazioni arrivano immediatamente), ma per via di una discordia coi club relativamente alle rose allargate. Scrive Bocca: “Le società vogliono la possibilità di allenamenti differenziati, qualora la rosa abbia dei giocatori in esubero. Ciò porterebbe ad una rosa di giocatori più importanti, e una rosa di giocatori meno importanti, destinati a non giocare mai e per cui l'allenamento sarebbe solo l'anticamera della cessione. I presidenti firmano liberamente i contratti e la loro durata, sono loro stessi a gonfiare le rose. E i giocatori non a torto vedono nell'allenamento differenziato una maniera legale per ammorbidire i giocatori di cui ci si vuol disfare, obbligandoli ad accettare determinate offerte, a spalmare l'ingaggio, a rivedere il contratto e così via. Insomma a levarsi dai piedi. In pratica una specie di reintroduzione mascherata del cosiddetto "vincolo”, quando erano i club a stabilire dove i giocatori dovevano andare. Senza possibilità per i calciatori di rifiutare”.

Insomma, la colpa di quanto accaduto, a detta di Bocca, non sarebbe da imputare solo ed esclusivamente ai calciatori, dipinti come gli ‘untori’ di questa situazione, ricchi viziati che si permettono di fare sciopero quando c’è gente che non ha la fortuna di essere particolarmente abile palla al piede e che purtroppo specie in momenti come questi di crisi economica pesantissima avrebbero motivi ben più plausibili per protestare: le colpe sono da dividere tra più parti, a partire dai club che hanno fatto sì che questa situazione indecorosa si trascinasse fino a questo punto, dopo aver fatto saltare un accordo che sembrava ormai raggiunto.

Le tesi di Bocca sono legittime, poi sta ai vostri gusti condividerle o meno. Solo un punto della sua analisi lascia forse più perplessi: quando afferma che questo sciopero "non porta disagi di tipo sociale come avviene ad esempio quando ad incrociare le braccia sono i dipendenti dei trasporti pubblici". Chiaramente i due ambiti sono ben diversi, però purtroppo quello che vivono i tifosi in questo momento è proprio un sentimento di disagio: disagio di coloro che attendono con ansia l’inizio del campionato da mesi, che magari si erano già organizzati con tanto di biglietti acquistati e treni o aerei prenotati per eventuali trasferte, e che ora si ritrovano gelati dalla notizia dello stop e che giustamente sfogano la rabbia con ogni mezzo possibile, minacciando contro-scioperi o la disdetta di abbonamenti allo stadio o alle pay tv. Insomma, non sarà disagio sociale, lungi da me paragonare le due cose: però il disagio c'è, ed è il disagio di chi vede il calcio che si ferma e contemporaneamente dice, in stile Totò, 'E io pago'. Ed è stufa di farlo...

Stare qui a sindacare su colpe o meriti sembra esercizio superfluo, resta però un’amara constatazione: in un momento in cui servirebbe chiarezza e serenità, per il sistema calcio italiano questo è un ulteriore gravissimo segnale di una deriva alla quale da tempo non si riesce più a trovare un rimedio plausibile. La giostra, però, prima o poi ripartirà, e sarà allora che tutti, attori e spettatori, dovranno fare tutto il possibile per evitare che questa storia abbia il cinico fine in stile gattopardesco che suona come “Cambiare tutto perché non cambi niente…”
 

Sezione: CALCI E PAROLE / Data: Ven 26 agosto 2011 alle 15:55
Autore: Christian Liotta
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