"Tutti diranno che esagero, ma anche nel primo tempo di oggi siamo stati ingiocabili". Mkhitaryan dixit in conferenza stampa post Juventus-Inter, finita 1-0 per la Juve. "Non avendolo fatto, lo abbiamo pagato nel secondo. È la cosa che ci mancava per sbloccare la partita e purtroppo non ci siamo riusciti" continua immediatamente dopo il centrocampista di Simone Inzaghi, braccio sinistro del Demone di Piacenza. Sinistro non a caso, perché l’armeno che va come un treno, è la mezzala di riferimento del piacentino, onnipresente e imprescindibile, soprattutto imprescindibile, che dopo le lunghe e infinite corse timbrate nell’ultimo anno e mezzo degne di un ruolo da amministratore delegato di Trenitalia è finito a fare il downgrade a capotreno di una tratta che non va più spedita come ci aveva abituato. Un malfunzionamento infrastrutturale che associato al pari rallentamento sulla tratta centrale sotto l’egida di Hakan Calhanoglu, altro pilastro della scorsa stagione dell'Inter che in questi primi sei mesi non è riuscito a trovare continuità di rendimento e livello dell'anno passato, ha complicato non poco piani e percorso della Beneamata. Infortuni e minutaggio dimezzato hanno inevitabilmente condizionato la stagione del turco, sostituito perlopiù da Asllani che quando trova confidenza con campo e compagni torna in panchina per il ritorno Calha e raramente da Zielinski che ha finora collezionato soli 1324 minuti: somma di addendi che rendono a Inzaghi un’Inter meno rapida nelle verticalizzazioni, meno rapida, più macchinosa, più prevedibile e più inconcludente.
Numeri alla mano, i nerazzurri segnano tanti gol, ma in Italia e non in Champions, e troppo pochi per la quantità di occasioni che creano. A mancare non a caso sono i gol sì di Lautaro nella prima parte di stagione e di Thuram adesso, ma anche di Calhanoglu e Mkhitaryan. In soccorso a Lautaro & co è arrivato Dumfries, l'mvp stagionale che non ti aspetti e che fin qui ha trascinato e salvato i nerazzurri in svariati momenti e anche a Torino è stato senza dubbio il più pericoloso. Eppure anche da Denzelone arrivano i primi segnali che vanno ancora una volta a incarnarsi in quello stramaledettissimo palo sinistro: stanchezza? Anche l’olandese inizia a necessitare di staffette? Inzaghi lo esclude e in sala stampa dello Stadium ha parlato condizione fisica dei giocatori molto buona, così come esclude che l'evidente difficoltà nel vincere certe partite di peso sia un problema sistematico che si trascina. Parole da catenaccio tattico lecite ma non più credibili né giustificabili, nel rispetto di opinioni e strategie comunicative. Perché l’idea che un possibile inghippo sistematico sia il nocciolo del lapalissiano problema dell’Inter sarebbe comunque una risposta al ‘cosa non funziona?’ meno grave del non sapersi spiegare cosa e perché la macchina non vada come dovrebbe e la probabile conseguente impossibilità di trovare una soluzione.
Non è forse dunque lecito domandare quale sia il vero porto al quale mira ad attraccare l’Inter a giugno? Dichiarazioni d'intenti e nervosismo o mea culpa servono relativamente se non si traducono in fatti, traduzioni mancate sin dalle ammissioni di colpa dopo il primo grave crimine stagionale commesso nel derby d’andata e che adesso vanno pretese perché il tempo inizia a stringere non poco tenendo conto che la sfida contro la Juventus era la prima di un mese demoniaco (e non nell'accezione più strettamente inzaghiana del termine), quantomeno sul calendario che necessiterebbe dello stesso spirito demoniaco di Inzaghi e 'figli' della versione 2023/24: sfacciati in primis con se stessi prima che con gli avversari. Tra un mese esatto, l’Inter sarà ospite a Bergamo, dove dovrà presentarsi dopo Genoa e Napoli in Serie A, Lazio in Coppa Italia e il doppio impegno degli ottavi di Champions, e le risposte saranno dettate da numeri e matematica che daranno ragione o meno a Mkhitaryan quando dice che gli obiettivi non cambiano per una sconfitta. Ragione che l'armeno avrebbe già oggi, all’indomani dell'1-0 di Conceição, se non fosse che il risultato negativo non è più una tantum né così sorprendente.
Gli obiettivi d’altronde non cambierebbero se a cambiare non dovessero essere in primis i risultati: se è vero che i campioni d’Italia vogliono tornare (per restarci) primi di una classifica che finora non gli è mai appartenuta, quanto competere per la Champions e la Coppa Italia, dovranno prima passare dall’aggiustare un rendimento che non trova consolazione neanche nel passo falso del Napoli, reduce dal terzo pareggio consecutivo, che al contrario fa andare in escandescenze. Come a Firenze la squadra milanese fallisce clamorosamente l’occasione e se al Franchi l'Inter ha cestinato la possibilità di appaiarsi ai partenopei, a Torino addirittura rifiuta lo 'strappo' per il sorpasso, istituendo mezza festa cittadina nell’intero capoluogo campano. Sfuriate in campo, spocchia e superbia nei confronti di un avversario che avresti dovuto azzannare anche solo per mordente, finendo al contrario col farsi affossare è ingiustificabile ancor più colpevolmente tenendo conto del risultato dell’andata a San Siro e dei successivi derby che avrebbero dovuto far esplodere l’asticella dell’adrenalina che diversamente da aspettative e dati è di fatto sprofondata. Eccessive selfconfidence e fiducia? Anche in questo caso è stato chiaro Mkhi, braccio sinistro di Inzaghi non solo in campo: "No, perché seguiamo i nostri avversari. Siamo concentrati sul nostro gioco e sulle nostre partite".
La domanda dunque è: qual è esattamente il problema, ma anche e soprattutto l'obiettivo, di questa Inter? Rispondere tocca e toccherà ad Inzaghi, libero di dribblare con sapiente difesa ai microfoni, ma non più sul campo.
Autore: Egle Patanè / Twitter: @eglevicious23
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