Quando il gioco si fa duro, all’Inter manca qualcosa. È una verità acclarata oramai, e potrebbe rivelarsi pericolosa in un campionato pieno di squadre dalla cifra tecnica non eccelsa, ma votate proprio per questo a giocare con maglie strette e piglio aggressivo, così da rendere sostanzialmente impossibile la costruzione della manovra a chi non sia dotato di sufficiente qualità. Tante volte il problema si è riproposto in questa prima porzione di stagione, in altrettanti casi (salvo il precedente di Bologna) l’Inter era infine riuscita a sfangarla, talvolta con le idee e più spesso con la trovata dell’ultimo secondo, a furia di assalti vigorosi o contingenze favorevoli. Come a Bologna, però, la gara di ieri ha suggerito che non sempre è primavera, soprattutto quando è l’avversario a passare in vantaggio e l’Inter è chiamata a una reazione che non si esplichi solo nella testa e nei muscoli, ma si realizzi anche attraverso una qualità tecnica superiore.
LACUNE – Si è detto e ripetuto fin troppe volte che l’Inter avrebbe dovuto sparare, nello scorso mercato estivo, una cartuccia in più in termini di qualità e cambio di passo tra le linee di centrocampo e attacco. Ribadirlo ora, quando ormai gennaio è più vicino di agosto, è sostanzialmente un mero esercizio retorico, anche in virtù del fatto che a questa squadra la qualità non manca. Nelle scorse gare, infatti, avevano realmente iniziato a troneggiare le doti di Borja Valero e Vecino, cosicché la manovra nerazzurra aveva preso a giovarne, sfoderando esibizioni di inedita bellezza come accaduto con la Sampdoria e, parzialmente, anche quando a Napoli i ragazzi di Spalletti erano stati abili a venir fuori palla al piede dal primo pressing avversario. L’appannamento complessivo che ha toccato entrambi gli ex viola nella gara di ieri ha invece inficiato il palleggio dell’Inter: troppe volte il pallone non è uscito dalle maglie granata, troppi errori hanno compromesso un sereno scorrere della sfera verso gli attaccanti. Soprattutto, un atteggiamento meccanico e irreprensibile come quello sfoggiato dal Torino in fase di contenimento ha realmente reso impraticabile per l’Inter ogni via che conducesse alla porta avversaria. Unica soluzione l’out di destra, laddove il copione ha visto sempre e comunque la palla lunga sulla corsa di Candreva, nel tentativo di sfondare a testa bassa un muro altrimenti impenetrabile. Difficile, però, ottenere vantaggi tangibili se si punta a ripetizione soltanto su questa possibilità; ancor più difficile, poi, venire a capo di una partita intricatissima per meriti dell’avversario se non si riesce mai a saltare l’uomo nella zona centrale del campo, e se ogni palla con cui l’Inter prova a uscire dal groviglio finisce inevitabilmente sprecata per scarsa precisione.
QUEL PIZZICO DI GENIO IN PIU' – Eppure l’Inter è palesemente in crescita, soprattutto nell’orchestrazione delle trame di gioco o, quantomeno, nella fermezza con la quale preferisce sempre una manovra ragionata all’opportunista e poco lungimirante lancio lungo. Non riconoscerne i segnali nella gara di ieri, nonostante l’esito non del tutto soddisfacente, sarebbe da miopi. Il viaggio, insomma, prosegue, e il pari col Torino non è da annoverare di necessità come una battuta d’arresto. Di fronte, infatti, c’era una squadra grintosa, fisica e con qualche ottima individualità sparsa qua e là nel suo undici; peraltro, i granata erano evidentemente carichi a mille, vuoi per il prestigio della ricca platea di San Siro, vuoi per un momento che li vede in positiva inversione di tendenza dopo il successo col Cagliari della scorsa settimana. Aggiungiamo che davanti si è sbagliato parecchio, con un Icardi che è ancora a metà nel processo di parziale trasformazione cui evidentemente lo sta sottoponendo Spalletti. L’argentino è infatti protagonista come non mai della manovra, con continui movimenti incontro e pregevoli finte a smarcare i compagni, quasi come se si sforzasse di ampliare il proprio campo visivo fino ai 360°, mentre prima amava guardare soltanto quei due pali davanti a sé; l’impressione, però, è che il desiderio di perfezionarsi porti il rosarino ad agire per ipercompensazione, quasi preferendo un rientro in più al movimento giusto per attaccare l’area, dove –se non c’è lui– si apre il deserto. L’imprecisione sciorinata da Icardi sottoporta, invece, è una mera eccezione in una carriera da cecchino, e in quanto dato insignificante non andrebbe commentata, se non appunto come un caso non destinato a ripetersi a lungo. Icardi è in trasformazione, nonostante le cifre suggeriscano che è già un giocatore fatto, finito e fenomenale, e al termine di questo percorso riuscirà senz’altro a bilanciare con intelligenza la sua implacabile cattiveria con la sua nuova veste da attaccante collaborativo e totale. Forse, però, l’argentino potrebbe intanto giovarsi di una compagnia più concreta là davanti, come ha dimostrato servendo perfettamente Eder sul gol del pari; in quest’ottica, la giornata opaca vissuta da Perisic, che oramai recita spesso la parte della seconda punta, ha accresciuto la sua solitudine. Una prova buona generale, insomma, e un risultato non da buttare. Se c’è un po' di delusione, questo è dovuto al fatto che il Torino è certo sembrato inviolabile, ma alle volte, con un pizzico di genio, si riesce a penetrare anche nelle fortezze meglio protette. Senza il genio di Ulisse, tanto per intenderci, gli Achei sarebbero ancora lì ad assediare Troia l'inespugnabile, mentre al riparo delle mura si dormono sonni tranquilli e Paride si gode la bella Elena. Ecco forse l’unica mancanza di quest’Inter: squadra quadrata, quadratissima, e sempre più pregevole a vedersi; con un Ulisse e il suo raggiro, però, certe pratiche sarebbero risolte prima, Troia sarebbe espugnata con facilità, e il trionfo oggi insperato risulterebbe in qualche modo più vicino. Che sia il campo, la panchina o il mercato a consegnare genio a questo gruppo, il percorso è brillante e il sapore resta buono: con quella ciliegina in più, ne uscirebbe un capolavoro d’alta cucina.
Autore: Antonello Mastronardi / Twitter: @f_antomas
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