La pressione di quei momenti istantanei racchiusi nell'universo della Champions League. Da quanto mancavano in casa nerazzurra. Rieccoci qui, a San Siro. Caldo e freddo, situazioni contrastanti ma concilianti. Entrambe le tifoserie sono consapevoli della posta in palio e colorano la città di Milano di un entusiasmo accelerato. Riaggressione per il recupero palla rapido, costante proiezione degli spazi e la comprensione di uno sviluppo giocoforza dinamico. Tra novità e una tradizione collaudata che non va del tutto abbandonata; è ormai un marchio di fabbrica di Simeone e Inzaghi lo sa benissimo, avendo anticipato in conferenza stampa quello status che i colchoneros adattano a seconda dell’avversario che hanno di fronte. Pensate all'adrenalina dell'immaginazione di quello che può accadere da un istante all'altro in serate come queste che rimangono negli archivi della storia. Si respirava sin dalla mattina l'atmosfera di una partita speciale. Il riflesso della perfezione dell'andata è l'indirizzo del possibile mutamento. Tutto si muove nell’universo dei campioni.
L'ISTANTANEA DELL'UNIVERSO. Il tatticismo prevale perché quando Simeone mette mano alle strategie molto spesso la doppia natura si confonde. E allora ecco che l'importanza della ricerca degli spazi diventa punto preponderante per entrambi gli assetti. Ontologia della speranza, o meglio, possibilità in potenza. Quel che Aristotele definiva atto è l'esecuzione compiuta dalle pedine sul prato di San Siro. Un atto che è arduo solamente da pensare dall'esterno, registrando la pressione a mille che caratterizza l'identità e la mentalità di tutti i calciatori. Ed ecco che entra in scena l'uomo che non t'aspetti. Marco Arnautovic, chiamato in causa dopo l'infortunio di Thuram, segna il gol decisivo della sfida dopo essersi divorato due gran belle occasioni: "Non è mai bello entrare quando un compagno si fa male e mi dispiace per Marcus. So che queste sono le mie occasioni e che sono stato acquistato per fare la differenza quando vengo chiamato in causa. Ci sono riuscito alla terza occasione, dopo che le prime due le avevo fallite. Mi pesava... E quando ho visto la palla entrare, ero felicissimo".
LA DOPPIA NATURA DI INTER E ATLETICO. Sono a dir poco elettriche, le serate di Champions League. E quando la cornice si veste di nerazzurro, beh, l'emozione può prendere il sopravvento. Ecco perché, con il clima caliente di un'atmosfera bollente, il dinamismo è all'ordine del minuto. San Siro spinge eccome, come una pressione progressiva che sale come un climax ascendente. La costruzione dell'Atletico non è incentrata alla verticalità, ma è più che altro confusionaria e tesa a sparigliare le carte del gioco nerazzurro. L'Inter cerca di far ruotare il pallone con tocchi rapidi e convincenti, ma i movimenti complementari ad attaccare la profondità o venire incontro in un primo momento si scagliano contro la fisicità degli spagnoli, che rimangono un osso duro da affrontare viso a viso. La chiave che sta bene a entrambe è quella della razionalità. Inter e Atletico stanno lì, asserragliate nel tentativo di utilizzare filosoficamente la razionalità per studiare le esecuzioni più propizie al lato debole avversario. Razionalità rapida, un adempimento deduttivo (che parte da una legge generale, quella della verticalità, e finisce nella particolarità episodica). Perché il prato va ascoltato bene, può indirizzarti sulla tua isola, al netto delle tempeste. E allora è vero che il vantaggio è minimo, ma nessuno può scalfire la consapevolezza dell'Inter. Che, a prescindere, dai parametri statistici e dai risultati, guarda solamente il proprio binario.
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