I brividi di serate come queste indirizzano i pensieri solamente verso il rettangolo verde. Chi contempla i minuti cerca di comprendere solo se stesso. Perché se ti ascolti bene, quel prato verde può indirizzarti sulla tua isola, al netto delle tempeste, che possono colpirti in via istantanea. Milan e Inter sono lì, l'una vicina all'altra. Si scrutano, con la tensione alle stelle. Riflettendo (mica tanto) sull'adrenalina dell'immaginazione di quello che può accadere da un istante all'altro. In serate come queste c'è più da gestire l'emotività, razionale e inconscia. Il riflesso della perfezione è l'indirizzo del possibile mutamento. L'avvio è aggressivo di entrambe, i tasselli si costruiscono a ogni passaggio, che sia filtrante o arretrato. La perfezione della coordinazione di Dzeko (sul destro arcuato di Calhanoglu) è la bellezza del vantaggio. La zampata del fuoriclasse: il cigno di Sarajevo torna a colpire con un gesto da maestro. Il filo d'erba scatenato sull'onda travolgente: i nerazzurri trovano il varco per il raddoppio con l'armeno che va come un treno.

IL RUGGITO CONTINUO. Scatenate le pedine inzaghiane. Il Milan inizia malissimo, è insicuro e Calhanoglu spacca il palo interno, un sussulto costante e continuo di emozioni a tinte nerazzurre. Miky si divora il raddoppio e Barella calcia alto da posizione favorevole. Non c'è storia e il primo quarto d'ora di confronto denota una differenza abissale tra i due assetti per posizioni, carisma, qualità nelle giocate e consapevolezza gestionale. Il Milan non esce dalla sua metà campo e a ogni passo errato rischia di capitolare. L'avanzamento è millimetrico, i nerazzurri guadagnano fiducia ed entusiasmo scavalcando ogni tipologia di pressione avversaria. L'unico squillo è il colpo di tacco di Calabria sull'esterno della rete. E' un tiro al bersaglio a San Siro incredibilmente vero. Incredibile perché in una semifinale di questa competizione è difficile annotare una distanza così siderale tra due squadre. La trattenuta di Kjaer è un'illusione, la deviazione verso Dumfries è un indirizzo ravvicinato. Sicurezza, tranquillità, metodologia: il baricentro segue i giocatori dell'Inter.

SQUILIBRIO LAMPANTE. Il Milan è fumo che vaneggia nella mediana e dalle parti di un Saelemaekers annebbiato nelle esecuzioni imprevedibili. Anche se il belga è l'unico a provarci spostandosi con serpentine e timidi approcci. Abissi di luce: nessuna prospettiva, nessun inganno di colori, l'illuminazione lampante è il riferimento nerazzurro. Una padronanza esecutiva pazzesca. Il Milan prova a sciogliersi con il sinistro di Brahim che oscilla tra le linee senza grosse pretese. La piccola incertezza nello spazio basso a sinistra concede a Messias il tiro a giro che non gira e finisce sui tabelloni pubblicitari. Maignan tiene in vita il Milan con una parata da hockey (dopo una difesa accomodante), dopo la percussione di Bastoni che aveva servito a Dzeko il pertugio per il tris (ravvicinato).

DIFFERENZA ABISSALE. L'approccio non cambia, l'unica differenza risiede nella distanza tra i reparti che è fisiologica. Ma Lautaro disorienta costantemente le uscite di Tomori, che non ne acchiappa una, come il compagno di reparto. Tonali accende gli animi rossoneri con il collo esterno che si stampa sul legno dopo la lieve deviazione di Bastoni. Cala lievemente solo l'aggressività nerazzurra (e un po' di compostezza posizionale), ma la pochezza rossonera (unita ad un'incertezza preponderante) è lampante. La differenza tra le due squadre è abissale. L'abisso della luce è solamente interista. Un coglio l'attimo continuo, progressivo, quasi fosse un climax ascendente. La scalata è pazzesca. Determinismo qualitativo: non ce ne voglia Democrito, ma gli atomi interisti si muovono a piacimento.

Due pianeti diversi, due distanze siderali: un unico (enorme) abisso di luce a San Siro.

Sezione: In Primo Piano / Data: Gio 11 maggio 2023 alle 08:15
Autore: Niccolò Anfosso
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