Arrivava con un preambolo curioso la sfida tra l’Atalanta e l’Inter, crocevia importante in questa fase di stagione dell’una come dell’altra squadra. Da un lato, c’erano i nerazzurri di Bergamo, che a questa sfida giungevano da imbattuti tra le mura amiche del Gewiss Stadium e soprattutto senza aver subito nemmeno un gol. Dall’altro, invece, i nerazzurri di Milano, quelli guidati da Simone Inzaghi, che sul tavolo verde di quello che un tempo era l’Atleti Azzurri d’Italia mettevano la propria leadership nella classifica del campionato di Serie A da difendere dagli assalti di Milan e Juventus. La domanda nasceva indubbiamente spontanea: quale dei record sarebbe caduto per primo? Sarebbero finite ambedue le strisce o si sarebbe magari risolto tutto con uno 0-0 a consegnare alle due squadre un punto a testa, con probabile reciproca delusione?.
Alla fine, si è verificata la prima ipotesi: la Dea ha conosciuto l’onta dei primi gol interni, Yann Sommer ha dovuto arrendersi per la prima volta lontano da San Siro. Ma alla fine, ad esultare davanti ai suoi tifosi, in quel vetusto ‘formaggino’ che ormai è l’ultima testimonianza storica rimasta in piedi del vecchio impianto orobico in attesa del completamento della sua ristrutturazione, è l’Inter, che in barba a coloro che la aspettavano al varco, tra sempiterni, speranzosi ‘gufi’ e pronosticatori radiofonici pronti ad azzannare la preda al minimo inciampo, si impone col piglio e l’autorità di una squadra di alto livello. Squadra matura, come giustamente l’ha definita nel dopopartita sui social e in tv il suo capitano Lautaro Martinez.
L’Inter vista ieri è stata squadra che non ha battuto ciglio di fronte alle iniziative orobiche, a volte pungenti ma apparse solo poche volte raramente convinte. Dopo alcuni minuti iniziali accovacciata nelle retrovie, man mano è venuta fuori trovando quasi spontaneamente i momenti giusti per colpire: prima col rigore di Hakan Calhanoglu causato da un Matteo Darmian bravissimo a inserirsi in area e a costringere Juan Musso ad un intervento che gli causa una caduta acrobatica, poi con la perla proprio di Lautaro. Già, quel Toro a secco da due partite e che a inizio ripresa ha deciso di averne già abbastanza inventandosi una conclusione simile a quella con la quale il suo compagno di Marcus Thuram ha fatto secco il Milan nel derby: controllo, spostamento verso destra, carica del tiro e fuoco! Palla all’incrocio dei pali con Musso mortificato nel suo disperato tentativo di arrivare sul pallone.
Gasperini deve alzare le mani nuovamente di fronte alla squadra che rappresenta la pagina sicuramente più deludente, e malgrado si continui a romanzare sul suo trascorso negativo a Milano, peraltro marchiato a fuoco anche sonoramente nell’immediata vigilia da parte dell’ex presidente Massimo Moratti, alla fine ha potuto esultare appena due volte negli ultimi 14 precedenti da avversario dell’Inter, l’ultima delle quali cinque anni fa. E anche ieri sera, il tecnico di Grugliasco è tornato a casa con le pive nel sacco vedendo festeggiare gli uomini in arancione, che mai come ieri possono dire di aver ottenuto una vittoria pesante. Perché la partita e la vittoria di ieri sono state davvero pesanti, per svariati motivi:
Pesante come pesante è stata la pioggia caduta incessante su Bergamo praticamente dal prepartita fino alla fine, circostanza che non ha causato troppi fastidi agli uomini in campo ma che probabilmente ha accentuato una certa tendenza al gioco maschio che però spesso è sfociato anche in una serie di interventi parecchio duri.
Pesante, collegandoci al discorso precedente, è stato anche l’atteggiamento dei giocatori dell’Atalanta. È convenzione accettata universalmente che a Bergamo le partite sono sempre così: dure, toste, dove c’è da mettere da parte il fioretto e sguainare la sciabola. Ma quanto messo in mostra ieri da Gianluca Scamacca e compagni, francamente, è difficile da inquadrare nella semplice categoria ‘gioco maschio’: tanti, troppi gli interventi borderline, le scorrettezze più o meno esplicite. L’Inter è stata bravissima a resistere anche e soprattutto sul piano nervoso, perché è dura riuscire a non lasciarsi andare vedendo Nicolò Barella trattato praticamente come uno zerbino tra manate, stecche e passeggiate sul suo corpo, avversari intervenire sui propri giocatori con dei veri e propri ‘voli d’angelo’, placcaggi come quello che costa l’espulsione a Rafael Toloi su Alexis Sanchez che solo in parte possono essere dettati dalla semplice frustrazione per un risultato che sta scivolando via.
E pesante, va detto, va definito anche l’eccessivo ‘laissez faire’ messo in mostra dall’arbitro Simone Sozza. Sì, stiamo parlando di quell’arbitro la cui designazione in gare dell’Inter ha suscitato più di una volta qualche polemica maliziosa. Inzaghi, nel dopopartita, ha rimarcato come a suo parere il direttore di gara di Seregno sia stato comunque protagonista di una buona direzione di gara. Ripensando bene al match, forse Inzaghi ha voluto usare molta diplomazia nel suo giudizio. Nel rispetto di un metro di gara forse studiato per lasciar correre quanto più possibile, Sozza alla fine soprassiede su tanti, troppi episodi dubbi. Impossibile commentare con serenità, tanto per citare l’episodio madre, la rete di Scamacca che riapre il match: l’intervento di Ademola Lookman su Federico Dimarco che innesca l’azione è falloso 99,5 volte su 100, perché quella mezza volta deve capitare proprio all’Inter? Senza contare il maltrattamento su Barella che non genera sanzioni disciplinari, stecche di vario tipo, proteste a volte troppo sceneggiate. E siamo sicuri che Toloi su Sanchez fosse solo doppio giallo?
Pesante, infine, pensare che probabilmente Benjamin Pavard sarà fuori dai giochi per diverso tempo. Vittima di un intervento di un Lookman tanto illuminante nelle sue intuizioni quanto veemente nelle sue entrate, il francese ha visto piegarsi in modo innaturale il ginocchio sinistro. Sulle prime, la dinamica e le urla del ragazzo fanno pensare a un incidente grave, disdetta alla quale si aggiunge la rabbia perché figlio di un intervento dalla dinamica alquanto discutibile. Poi, Benji offre qualche segnale che fa ben sperare: prova ad uscire sulle sue gambe, va ad esultare con i compagni per il gol di Calhanoglu, saluta i tifosi ai quali regala gesti rassicuranti. Inzaghi, però, ha fatto sfoggio di ampio realismo mettendo in preventivo un’assenza anche prolungata. Spiace davvero, se non altro perché Pavard è entrato in pochissimo tempo non solo nelle gerarchie nerazzurre ma anche nel cuore dei tifosi, pronti a prestargli loro stessi un ginocchio buono per rivederlo presto in campo, come da alcuni commenti sui post Instagram dello Ch’ti nerazzurro.
È stata una vittoria quindi da veri e propri pesi massimi, su un campo che alla lunga è diventato un ring. E considerando anche lo scivolone del Milan trafitto a San Siro dall’Udinese, è un successo che aumenta di peso specifico anche se il campionato è ancora nella sua prima fase. Ma il messaggio è chiaro: per mandare veramente al tappeto questa Inter, bisogna picchiare anche più forte di così.
Autore: Christian Liotta / Twitter: @ChriLiotta396A
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