Una cosa più brutta e deprimente di Inter-Eintracht Francoforte, è stata probabilmente Inter-Alaves. Vecchia Coppa Uefa, febbraio 2001, anche il quel caso si trattava della gara di ritorno a San Siro degli ottavi di finale. Anche in quel caso l'Inter aveva chiuso in parità il primo atto in terra spagnola, ma segnando dei gol. Finì con uno scoppiettante 3-3 che avrebbe permesso ai nerazzurri di Marco Tardelli anche di pareggiare 0-0, 1-1 o 2-2 per passare il turno nei 90 minuti. L'Inter scese in campo al ritorno con la seguente formazione: Frey, Cirillo, (38' st Pacheco), Blanc, Cordoba, Brocchi (24' st Seedorf), Zanetti, Di Biagio, Farinos, Serena (24' st Ferrari), Recoba, Vieri. L'Alaves, non il Real Madrid, vinse 2-0 a causa delle reti realizzate nell'ultimo quarto d'ora di gioco da Jordi, figlio di tal Johan Cruijff e Tomic. Al Meazza erano presenti poco meno di diecimila spettatori che non la presero affatto bene, tanto per usare un eufemismo. L'arbitro fu costretto a sospendere la gara per sei minuti a causa del lancio di oggetti in campo, compresi un paio di seggiolini. Poi le due squadre continuarono a giocare, ma la fine delle ostilità fu fischiata in anticipo rispetto al recupero previsto, perché la situazione ambientale rimaneva alquanto critica.

Giovedì, fortunatamente, non si sono registrati episodi violenti in segno di protesta contro la eliminazione frutto di una partita giocata senza capo né coda da parte della squadra di Luciano Spalletti. Il pubblico dell'Inter, quello che si reca allo stadio, il turno lo ha passato ancora una volta. Giovedì ha addirittura stravinto, riuscendo a far sentire per l'intero incontro il sostegno a chi non lo stava meritando, nonostante nella casa dei nerazzurri ci fossero almeno 15 mila tifosi tedeschi urlanti. Biglietti concessi a pioggia per salvaguardare l'ordine pubblico, ci hanno detto. Visto che poi non è successo nulla tra due tifoserie che non si amano, bene così. Ma di certo non vi era una situazione favorevole alla squadra di casa.

Dopo Champions League e Coppa Italia, l'Inter saluta anzitempo l'Europa League senza sorpresa, a mio avviso. Non era ipotizzabile battere una buona squadra come l'Eintracht, che corre tanto, il doppio, presentandosi con una formazione priva dei nomi migliori e con una panchina infarcita di volenterosi primavera. Ma soprattutto scendendo in campo senza qualità e senza personalità, come ha detto a fine gara Samir Handanovic, che dobbiamo ringaziare per aver evitato, con le sue parate, che il match terminasse con un punteggio tennistico.

Alla vigilia Spalletti aveva tentato di caricare la truppa, sminuendo la gravità delle assenze. “Giochiamo in 11? Si giochiamo in 11, quindi tutto a posto. Siamo nel numero giusto per vincere la partita”, il suo slogan. Bello, ammirevole, quasi quasi ci credevamo che la squadra potesse trovare risorse importanti per ovviare alle difficoltà. E invece la gara contro i tedeschi ha evidenziato in maniera impietosa limiti strutturali figli di un mercato estivo buono, ma non ottimo, come l'Inter e il suo popolo meriterebbero, oltre all'odiosa predisposizione a farsi del male.

Assente per squalifica Lautaro Martinez, la squadra non poteva disporre giovedì del suo bomber principale, quello che ha realizzato in maglia nerazzurra più di 120 reti in cinque anni. Perché? Perché è infortunato. No, perché si è tirato fuori dopo che gli è stata tolta la fascia da capitano. No, perché lo spogliatoio, offeso dalle esternazioni della sua procuratrice, nonchè moglie, non lo vuole più. No, perché a Spalletti uno come Icardi, alla fine non serve. Tutti hanno la loro verità, che verità non potrà essere finché qualcuno ci dica cosa sia veramente successo, mentre un dirigente capace come Giuseppe Marotta continua a dirsi ottimista sull'epilogo della vicenda, aggiungendo però, che non vi sono fatti nuovi da registrare.

È normale questo in un momento topico della stagione? Se dalla segrete stanze hanno accertato che al signor Mauro Icardi non freghi più nulla dell'Inter, come anche io inizio a pensare, si metta immediatamente l'ex capitano fuori rosa. Ma si abbia il coraggio di farlo, motivando la decisione in modo netto e chiaro. Senza lasciare l'allenatore da solo davanti al plotone d'esecuzione dei colleghi che, giustamente, devono svolgere il loro lavoro in sede di conferenza stampa. Senza che si continui a parlare senza senso di Icardi, invece di pensare a come cavolo si dovrà fare per non buttare all'aria l'ennesima stagione senza trofei, ma che ha ancora in ballo quella posizione in classifica così importante per presente e futuro.

La gente è stanca. Riempie lo stadio, ma riempie anche i social. Chi li frequenta, legge post di tifosi che dicono di non volerne più sapere, di voler passare diversamente le serate invece di guardare le partite dell'Inter. Cosa che poi puntalmente non avviene, il tifo per una squadra è droga pura, se hai scelto quei colori o quei colori hanno scelto te, rimarrai imprigionato finche “morte non ci separi”, come si legge nelle varie curve d'Italia.

Al termine della non partita di giovedì, la “Nord” ha chiamato la squadra sotto il settore. La maggioranza dei giocatori vagava per il campo senza sapere se andare o meno, ci ha pensato Andrea Ranocchia a portarli, battendo le mani ai tifosi. Dalla Curva è partito un sonoro invito a tirare fuori gli attributi, accompagnato da un coro anti-Milan. Già, perché domenica a Milano sarà derby. Da calendario, in casa rossonera.

Loro sono terzi dopo aver effettuato il sorpasso, sono carichi perché ultimamente vincono sempre, anche quando non lo meriterebbero. Hanno sbancato al gratta e vinci del mercato di gennaio, trovando il signor Piatek dopo aver perso un certo Higuain. Sono felici, Gattuso sa fare il suo lavoro, in tribuna Paolo Maldini e l'ex Leonardo dispensano sorrisi e bellezza. La Curva Sud canta sempre, ogni giorno un coro nuovo, dopo il bum bum con tanto di gesto per il polacco. Hanno potuto lavorare tranquilli per l'intera settimana visto che sono stati più furbi di noi, facendosi eliminare direttamente nella fase a gironi di Europa League, mentre l'Inter era ad un passo dagli ottavi di Champions.

E allora? Che si fa? Si continua a dire qualcosa su Icardi, e quindi a non dire nulla, o si fa capire a squadra, allenatore e anche all'autista del pullman, che domenica sera si gioca la madre di tutte le partite, insieme a quella contro la Juventus? Marotta ha ribadito che Spalletti non rischia nulla anche in caso di sconfitta e che comunque il derby non sarà decisivo. A prescindere dai giudizi sul tecnico e su quanto possa incidere il risultato della stracittadina sulla classifica, il buon e bravo Marotta impari in fretta cos'è il derby a Milano. Non è come a Torino, dove una squadra è nettamente superiore all'altra da troppi anni e quindi, da juventino, non avvertiva certe sfumature. Il derby a Milano vale tutto, non solo i tre punti in classifica. È una sfida che condiziona la giornata che lo precede, il sonno, le abitudini, le scaramanzie, l'entrata allo stadio, i vestiti da indossare. I tifosi faticano più dei giocatori, il derby è gioia o dolore. È lo sfottò con gli amici, è l'attesa per quello che verrà, sia in caso di vittoria, sia in caso di sconfitta. È quindi una cosa molto infantile il derby, perché a qualsiasi età fa rivivere le emozioni del bambino che diventa tifoso di una squadra in un città che ne ha due.

Dopo la depressione (calcistica) di giovedì, ben venga quindi la partita che ti far star male anche quando stai bene, per la tensione che accumuli. È vero, non sarà un derby decisivo in caso di sconfitta. Ma questa parola dovrà sparire dalla Pinetina sino al fischio finale di domani sera. A chi non interessa più, calciatori o sedicenti tifosi, la vita fortunatamente riserverà altro. Chi rimane invece prigioniero dell'amore per una squadra con i colori nerazzurri, domani sera non avrà nessun dubbio su cosa fare. Lo faccia anche l'Inter.

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Sezione: Editoriale / Data: Sab 16 marzo 2019 alle 00:00
Autore: Maurizio Pizzoferrato
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