Che sia un momentaccio è evidente. Poco da girarci intorno, la sconfitta di Cagliari cancella quanto di buono mostrato a Firenze e rovinato da Abisso. Anche in Sardegna l'arbitraggio è stato indecoroso, a conferma che non c'è bisogno di sbugiardare il Var per indirizzare le partite, basta affidarsi alla sensibilità del direttore di gara di turno, nella fattispecie un Banti che con grande cortesia evita a Cigarini e (forse) Joao Pedro di salutare la partita dopo una ventina di minuti, in barba al regolamento. Qui il Var non c'entra, è la decisione di un arbitro di non applicare il regolamento perché evidentemente ci sono determinate tempistiche che permettono di ignorarlo. Ma tanto lamentarsi non serve a nulla, a quanto pare, alla faccia di chi pensava che le esternazioni di Marotta post-Fiorentina avrebbero garantito un trattamento di favore. Quindi prendiamo e incassiamo un pessimo passo falso in un periodo che lasciava ben sperare e che oggi vede i nerazzurri dietro un Milan minimalista e nel pieno della bagarre per il piazzamento Champions. Un obiettivo che al tramonto del 2018 sembrava abbondantemente al sicuro.
Invece no, ci si trova ad affrontare i soliti black-out che troppo frequentemente si alternano con i momenti di illusoria luce. Il contesto non aiuta, perché è il segreto di Pulcinella la complessità di un periodo in cui all'Inter è capitato di tutto, e dove non si è trattato di fattori esterni ci si è fatti male da soli. Nessuno comunque accampi scuse, perché è fin troppo facile pensare a chi a Cagliari non c'era, e le rimostranze dei #seceraicardi sono partite già a fischio finale. Peccato che alla Sardegna Arena non sia stata l'assenza dell'ex capitano il problema, visto che Lautaro Martinez lo ha sostituito egregiamente, al di là del gol illusorio. Quello che non ha girato è stato il solito centrocampo, tallone d'Achille ormai assodato, a cui si è aggiunta la perdita di una delle chiavi di questa squadra: la solidità difensiva. Francamente, i gol subiti, soprattutto da calcio piazzato, stanno diventando troppi e senza un cambio di rotta sarà dura giocarsela con Milan, Roma e a quanto pare Lazio.
Stop ai rimpianti, dunque. E non usiamo la scusa Icardi per l'impiego di Ranocchia in attacco nel finale. Spalletti lo ha fatto anche contro il Bologna, con il numero 9 in campo. Si può dunque storcere il naso, ma non strumentalizzare. Anche perché la situazione attuale che sicuramente priva la squadra di un giocatore importantissimo sul rettangolo di gioco si sarebbe potuta evitare se chi di dovere avesse rispettato il proprio ruolo senza anteporre i propri bisogni e il proprio orgoglio nel momento in cui la squadra ne aveva più bisogno.
Doverosa premessa: qui nessuno mette in dubbio il contributo di Mauro Icardi alla causa nerazzurra da quando, nel 2013, ha preferito Milano alla chiamata da Napoli. I numeri parlano chiaro, così come molti gesti di amore verso questi colori. Ma qui non ci si può limitare al 'Non merita di essere trattato così dopo quello che ha fatto per noi'. Sarebbe un discorso da fare dopo 7 partite a secco di gol, ricordando la valanga di reti nella sua carriera interista. In questo caso, la pazienza è un obbligo, una forma di rispetto verso chi ha segnato tantissimo. Qui però è un contesto diverso. Al centro di tutto c'è una presenza troppo ingombrante della consorte, avallata dall'argentino, che ha indispettito ogni strato del club, dallo spogliatoio ai vertici dirigenziali. La decisione di privarlo della fascia di capitano non nasce su richiesta di Ivan Perisic, additato dai più come principale nemico di Icardi. Nasce piuttosto da un malumore diffuso che con il tempo è cresciuto e non ha offerto alternative per preservare il gruppo.
Ma al di là del sentimento di repulsione provato da Mauro, che punto nell'orgoglio ha reagito nel modo peggiore trincerandosi dietro un presunto infortunio ed escludendosi dal gruppo, lui per primo dovrebbe porsi una domanda: ha senso mantenere la fascia di capitano quando sai che una buona fetta della tua truppa non ti accetta con questo ruolo? La risposta è no, proprio per il valore di questa fascia che non è un banale pezzo di stoffa da indossare per sentirsi più fighi. Si tratta di un ruolo che va al di là, che ti viene affidato dal gruppo per meriti, non per diritto. E se Icardi ha reagito così e ha scritto quella lettera, evidentemente non lo ha capito. E di conseguenza parla di mancanza di rispetto nei suoi confronti.
A proposito del post su Instagram, questo offre parecchi spunti che andrebbero analizzati. Innanzitutto, dove e come nasce? Trattasi di una replica alle parole di Luciano Spalletti di qualche ora prima? Fa parte di una strategia studiata a tavolino con la moglie (partita per Dubai con i figli), in risposta a chi lo considera un burattino da lei manovrato? Oppure, peggio ancora, è un testo su cui Mauro lavora da giorni? Perché se così fosse, sarebbe un autogol ragionato che neanche ai tempi bui del calcioscommesse. Perché? Innanzitutto, nella lettera c'è un uso talmente abbondante dell'Io che avrebbe dato da lavorare a Freud e Jung, che per chi nutrisse dubbi non giocano nell'Eintracht Francoforte. Lui davanti a tutto, il suo stato d'animo prima delle necessità di squadra. Non certo un atteggiamento da capitano.
Il ritorno alla comunicazione dell'attaccante è in perfetta sintonia con la strategia adottata da Wanda nei giorni scorsi: vittimismo, parole a effetto, ricerca del consenso anche tramite la pubblicazione di foto emotivamente impattanti del recente passato. Di concreto, però, nulla di nulla a parte il goffo tentativo di riportare dalla propria parte quella fetta di tifoseria rimasta smarrita dai recenti eventi. Altra nota di demerito: solo pochi giorni fa, alla vigilia della gara contro il Rapid Vienna, nell'ennesimo tentativo di tendergli la mano Spalletti aveva ribadito un concetto chiaro e inopinabile: queste situazioni si risolvono parlando, non usando chat o post sui social. Esattamente il contrario di ciò che ha fatto Icardi, che ha affidato a Instagram la sua arringa difensiva, respingendo così ogni ipotesi di chiarimento vis-a-vis. Anche in questo caso, pur comprendendo la profonda dipendenza famigliare dai social network, non si tratta di un atteggiamento ideale per chi si sente un capitano e rivuole quel pezzo di stoffa.
Di tutto il testo, forse, lo scorcio più grave è quello in cui Mauro punta il dito contro chi decide (Spalletti, Marotta, Zhang...), che con questa presa di posizione avrebbe mancato di rispetto a lui e all'Inter stessa. Un altro tentativo fuori luogo di mettere i tifosi interisti contro allenatore e dirigenza che lo hanno degradato, sempre per tornare sotto una buona luce. Il tutto, alla vigilia di una partita importante a cui deliberatamente ha scelto di non contribuire. Un capitano lo avrebbe fatto, per quanto offeso? O sarebbe andato al di là delle pendenze personali per il bene della squadra che sostiene di amare e il cui amore da parte di terzi ha invece messo in discussione? A supporto della propria tesi difensiva, poi, una lista di cose fatte per amore dell'Inter, come giocare sul dolore, fare da buon padrone di casa con i nuovi arrivati, o dire no a (presunte) offerte irrinunciabili (però era la moglie che le raccoglieva, no?), quasi a sottolineare una supremazia morale al cospetto della maglia come in quel tweet in cui dava lezioni di tifo. A occhio, aver rinfacciato i suoi gesti da capitano coraggioso è il frame più sgradevole di questa lettera d'amore. Cantava Biagio Antonacci, interista: 'Tu che ami e non lo rinfacci mai'. Una strofa di 'Iris (tra le tue poesie)' che da sola confuta tutto il post di Maurito.
Nessuno ha mai dubitato di quanto fatto da Icardi in questi 6 anni a Milano, i numeri parlano chiaro. A mettere tutto in discussione è stato lui con gli atteggiamenti degli ultimi tempi che hanno portato alla situazione attuale. Pensare che essere capitano e miglior giocatore significhi essere l'Inter ne ha distorto completamente la realtà e ha portato lui e la moglie a spingersi talmente in là da uscire fuori strada. L'Inter è sopra calciatori e agenti, è sopra dirigenti e presidenti. Ma non sopra l'amore, quello vero, di chi non le mette nulla davanti. Un giorno, forse, ripensando a quanto accaduto, a prescindere dalla maglia con cui continuerà a far gol, anche Mauro lo capirà. E la speranza è che quel giorno sia vicino e lo veda ancora vestito dei colori che ha difeso per tanto tempo. Perché nelle famiglie in cui c'è vero amore, alla fine si perdona tutto.
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