Sabato pomeriggio ero al Meazza, come altri 60 mila spettatori circa. E probabilmente come loro ancora non mi capacito di come l'Inter abbia potuto perdere contro un Parma onestamente relegatosi nella propria dimensione di neopromossa ospite di una cosiddetta big: strenua fase difensiva, lotta su ogni pallone, qualche tentativo di affacciarsi nella trequarti avversaria e il classico segno della croce quando il pallone danzava pericolosamente dalle parti di Sepe. A questo i ducali hanno aggiunto il jolly pescato dal mazzo al primo tentativo, una roba che Dimarco, anche lui, ancora non saprebbe spiegare.

L'illogico ha dominato la scena al Meazza, sabato pomeriggio. E i fischi dei circa 60 mila sono stati più densi di una vascata di acqua piovuta dal cielo. Quattro punti in quattro partite, nonostante un calendario che invitava a pensare decisamente positivo. La classifica piange, ma gli allarmi sono altri.

Alla vigilia dell'esordio in Champions League contro il Tottenham, in uno stadio ancora più gremito, le gatte da pelare per Spalletti sono sufficienti a privarlo del sonno. Innanzitutto, la carenza di scelte a destra, dove all'acciaccato e indisponibile Vrsaljko si è unito D'Ambrosio, uscito claudicante contro il Parma. Contro gli Spurs sarà probabilmente difesa a tre con Skriniar terzino destro all'occorrenza. Non il massimo della vita.

C'è poi, verificata per l'ennesima volta, un'ansia da prestazione che porta i nerazzurri a eccedere nella foga rinunciando alla necessaria lucidità nelle letture in campo. Sabato il possesso di palla esasperato ha sì portato i padroni di casa al tiro, ma raramente in sublimazione di un'azione manovrata con raziocinio.

Manca ancora una logica tecnico-tattica, ritardata anche dalle assenze per infortunio di questo inizio di stagione ma soprattutto dalla difficoltà dell'allenatore di inquadrare in qualcosa di sensato il materiale umano a disposizione. Il fatto, per esempio, che si pensi di volta in volta alla possibilità di impiegare la difesa a tre (accaduto solo contro il Torino a onor del vero) cela la mancanza di un'identità. I giocatori hanno qualità, è innegabile. Ma è assente in parte quel filo logico che dovrebbe legarli sul rettangolo di gioco come se fossero reparti del calcio balilla. Non c'è la capacità di accelerare quando serve o di respirare nei momenti in cui è richiesta una pausa di riflessione. Si viaggia sempre alla stessa velocità di crociera finché le gambe reggono, salvo poi lasciare ai singoli il compito di arrivare a fine partita, il più delle volte cercando di raddrizzare il risultato. Questa Inter crea, va al tiro (28 volte!), ma senza precisione e con eccessiva foga.

A prescindere dal jolly di Dimarco che ha onorato la Legge di Murphy, è evidente come ci sia ancora molto da lavorare per migliorare. Quello che manca è il tempo, perché adesso si comincia a giocare ogni tre giorni e lo spettro di una classifica sempre più scollata dal vertice è dietro l'angolo. Certo, una vittoria magari convincente (ma chissenefrega di questi tempi) contro il Tottenham, anch'esso in difficoltà, sarebbe un toccasana non da poco per tutto l'ambiente nerazzurro. Che, nel mentre, comincia a interrogarsi se la strada finora battuta non sia, come accaduto in passato, diretta verso una stagione fallimentare. Meglio scacciare i cattivi pensieri, è ancora lunga.

Così com'è meglio scacciare i pensieri negativi sulla gestione arbitrale. Tra Reggio Emilia e Parma si è assistito all'apice della sconfessione del Var. Il sistema introdotto per limitare gli errori dei direttori di gara ha lasciato il campo alla loro (opinabile) discrezionalità. Con conseguenze nefaste sulla classifica dell'Inter. Non è la ricerca di un alibi, non a caso la prima e più convinta analisi è stata sulle responsabilità della squadra. Ma ignorare che i due rigori negati contro il Sassuolo e quello ignorato, persino di fronte al replay, sabato scorso non abbiano danneggiato i nerazzurri sarebbe un atto di malafede. Il calcio è fatto di episodi, che pesano più delle prestazioni delle squadre in campo. Lo stesso gol di Dimarco è un episodio.

Se all'Inter spetta un rigore, e il Var analizza l'episodio, deve essere concesso. Stop. La favola della meritocrazia in questo contesto non regge. E se qualcuno in società fosse d'accordo, come presumibile, si faccia sentire nelle sedi opportune. Perché i problemi della squadra sono già sufficienti e di certi sicari sul campo si fa volentieri a meno.

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Sezione: Editoriale / Data: Lun 17 settembre 2018 alle 00:00
Autore: Fabio Costantino / Twitter: @F79rc
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