Possedeva una caratteristica che connota tipicamente i campioni di grande personalita'. Sapeva dividere, scatenare opinioni e sentimenti potenziati, esposivi talvolta tra i colleghi. Poi le circostanze drammatiche dell'incidente in cui Marco Simoncelli ha perso la vita domenica scorsa a Sepang hanno scosso e prostrato, come sappiamo, tutto il modo sportivo. Anche quella parte non marginale che, come detto, non lo amava affatto fino a predisporgli in una circostanza accoglienze ostili. Era, in quel meccanismo a volte perverso che si definisce mediatizzazione dei fatti, un personaggio. Sembrava che quei ricci potessero diventare gomiti appuntiti verso la carena umana piu' iridescente, quella di Valentino. Capitava di pensare che quei boccoli potessero non solo arrampicarsi l'un l'altro sopra quel naso che oggi si definirebbe importante, ma aggrovigliarsi nelle cronache con una vita propria, scissa da quella schiettamente agonistica. Quei capelli erano il suo vanto, un vezzo distintivo ed una grande responsabilita'. Quella di riuscire ad essere piu' bravo in pista e superarli nel giudizio in ispecie di chi non segue da vicino lo sport del "motore" come si dice in Romagna. L'uomo contro il personaggio, il pilota mosso da ambizione e amore per quel che fa tanto da farlo al meglio, a tutti i costi, contro tutto e tutti in un disegno che solo chi e' romagnolo come lui puo' capire. Era un romagnolo ed in molti l'hanno capito solo ora attraverso l'affetto della sua gente ma ancor di piu' nei modi, nelle parole semplici, prive di retorica e scontatezza del padre. Anche nell'elaborazione di un lutto tanto insopportabile si ritrova la sopportazione, la compostezza, la protezione di un perimetro di sentimenti che, ripeto, forse, solo chi e' romagnolo come Marco puo' testimoniare inducendo solidarieta' autentica. Sento Marco e suo papa' come persone vicine. Campioni, inteso anche come campionature, di un mondo che e' sensibilita' e coraggio, energia in grado di sostenere i propri valori poiche' sviluppata su radici che conosco e mi appartengono. Sono in fondo l'unica vita che so. Profumano della puzza di bar affollato, di notti in macchina e trattorie con la pasta fatta in casa -la minestra- in cui mi sono formato e che la quotidianita' dell'uomo adulto, lontano dalla propria terra, comprime ma non deprime. So anche il loro dolore. Quando persi l'amico migliore, Gimmy, in un incidente stradale alle porte di Forli', persi una parte di me che solo il composto di quei valori mi fece sostenere pur senza alcuna accettazione. Neppure oggi a distanza di 21 anni. Per questo sono sicuro che il papa' e tutta la famiglia di Marco, protetta sotto i baffoni del proprio dignitoso capofamiglia come in questi giorni sapranno in futuro trovare una maniera per essere d'esempio a tutti. Come in questi giorni, appunto.
Veniamo a Noi. Dopo 3 mesi di stagione, gli iniziali exit-poll negativi stanno prendendo una forma di dati nefastamente definitivi. La squadra non e' piu' in grado di far sognare, ha esaurito in gran parte la propria forza propulsiva, tra acciacchi e arbitraggi omogenei nello sminuzzare i pezzi che rimangono di una grande squadra. Che non c'e' piu'. Come non c'e' per la prima volta dopo 15 anni un grandissimo terminale offensivo- ne avevamo anche 2 per volta in certe annate. In un quadro di oggettiva difficolta' si stenta a comprendere diverse scelte del tecnico, in particolare quelle operate in corso d'opera, atte a smontare di contenuto tecnico una formazione che e' obbligata a far conto sulla giocata, sul colpo di mano. Di tale atteggiamento tende a fare la spese in particolare Zarate, a mio avviso vivo e sano tra i sopravvissuti, l'unico da cui in questo momento si puo' sperare il gesto tecnico risolutivo. Occorrerebbe poi una strategia, innanzitutto di comunicazione, per tentere di porre fine alla selvaggia e provocatoria politica di palazzo -sempre che qualcuno non voglia spiegarci che i torti ed i favori alla fine si compensano- ma la societa' non si e' strutturata negli anni per apprestarla. Rimane la tattica del giorno per giorno che in questa situazione interna ed ambientale ci condanna a sperare. Soltanto a sperare.
Sento nei confronti dei massimi dirigenti milanisti - a partire dal padrone- una distanza che non si esaurisce probabilmente col disprezzo. In chi mi conosce attraverso un decennale, ancorche' non invadente -credo-, impegno di osservatore televisivo e' un dato non nuovo, essendomi prodigato contro costoro con costanza e senza parsimonia di argomenti in un registro di toni che promana dal Cirano i Guccini "Coi furbi e i prepotenti da sempre mi balocco e al fin della licenza io non perdono e tocco". Rotti a qualsivoglia forma di arroganza agiscono indisturbati da sempre trovando nei media piu' o meno di corte l'interfaccia del camerierato, ovvero l'unguento medicamentoso applicato a piene mani la dove per deontologia - o almeno per decoro- dovrebbe scivolare a fatica la carta vetrata del giornalismo puntuale e, all'occorrenza, abrasivo. Questo e' il mio pulpito dal quale credo di essere credibile se, per converso, dedico qualche riga di vicinanza e approvazione verso Rino Gattuso.
Non si e' mai nascosto, e' sempre stato un nostro orgoglioso e irriducibile avversario, mai un nemico. Lo stimo e tanto e mi preoccupavano le notizie incerte trepelate sulle origini della malattia recentemente l'ha colpito. Oggi sappiamo che non c'e' nulla di particolarmente grave a insidiargli il futuro di uomo e che l'uomo, appunto, non e' si e' fatto modificare dalle traversie. E tra le 2 buone notizie quasi quasi scelgo la seconda. Si, perche' credo che per il bene di tutti, tutti debbano potersene fragiare come e' sempre stato, in campo e fuori. e che sia in campo o fuori il suo domani quel che conta e' che sappia trovare nel mondo del calcio chi ne possa valorizzare ai massimi livelli i principi etici, l'umanita' e la professionalita', ancora una volta rilucenti nella sua ultima conferenza stampa. Ma su questo non e' il caso di essere tanto ottimistii, nella sua vita da mediano ha sempre tenuto a debita distanza camerieri e relativi unguenti....
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