Si poteva pensare che 15 giorni di pausa potessero anche essere un po’ pochi, anche se il fatto di non avere in mezzo impegni delle nazionali e di conseguenza i giocatori hanno avuto modo di staccare definitivamente la spina per ricaricarsi in vista della seconda parte di stagione. Eppure, visti gli eventi, sembra che questa sosta sia durata anche più del dovuto. Tutto perché questi giorni di pausa sono stati talmente permeati dell’inevitabile ridda di voci di mercato, alimentata soprattutto dai movimenti di un’Inter che nonostante il cappio delle condizioni forzate con le quali il ds nerazzurro Piero Ausilio si è ritrovato a fare i conti, ha comunque mosso alcuni passi in una campagna invernale per il resto sin qui decisamente abulica. Tante voci, tante cose da commentare, analizzare o magari sulle quali sproloquiare, talmente tante che a momenti ci si dimentica che domani si torna in campo e che soprattutto si torna in campo con un match che rappresenta senza ombra di dubbio un bivio fondamentale per i destini della squadra nerazzurra.
Domenica sera si torna in campo e per l’Inter c’è all’angolo la sfida contro la Roma. Uno spareggio per la Champions League in piena regola anche se siamo solo all’alba del girone di ritorno, dove per Mauro Icardi e compagni ottenere un risultato positivo darebbe indubbiamente una bella direzione alla lotta per accaparrarsi i primi quattro posti, visto che la somma col successo importante del match d’andata darebbe un vantaggio certificato sui giallorossi nel caso di eventuali situazioni di parità. Entrambe le squadre non arrivano da momenti felici: e se l’Inter, tra mille difficoltà, è comunque riuscita ad ottenere due punti nelle ultime due gare, la Roma è reduce da una sconfitta interna con l’Atalanta che ha acuito le difficoltà in un ambiente che ora ribolle specie dopo le ultime voci di mercato che riguardano pezzi grossi della squadra di Eusebio Di Francesco e la contestazione della tifoseria contro il presidente. Insomma, per entrambe i tre punti sono una condizione necessaria per poter riaprire i rispettivi discorsi e schivare, magari anche solo momentaneamente, i venti di una crisi che altrimenti potrebbe accentuarsi e diventare pericolosa.
Mentre Luciano Spalletti, per la gioia anche della madre Ilva, è riuscito ad avere il primo tassello di completamento della rosa, il difensore centrale Lisandro Lopez arrivato in tempi relativamente brevi dal Benfica, e gli uomini mercato nerazzurri cercano di sciogliere i nodi per completare le manovre di restauro della squadra (uno, Rafinha, si è sbloccato gaudium magnum giusto ieri) in una campagna che se viene definita di riparazione un motivo che forse sfugge ai più ci sarà, in attesa che il pallone torni a rimbalzare sull’erba arrivano dal fronte societario parole importanti, di quelle che spesso vengono richieste quando si vuole chiarezza dai piani alti. E Alessandro Antonello, interista da sempre prima ancora che Ceo di Corso Vittorio Emanuele, è uno che non si tira indietro quando viene chiamato in causa, anzi spiega volentieri quando viene chiamato in causa. E ai microfoni del Corriere della Sera ha spiegato anche molto bene lo stato dell’arte.
Ha spiegato che il Fair Play Finanziario, questo mostro che agita gli incubi di tutti da ormai troppi anni, ha la stessa valenza temporale degli esami di Eduardo De Filippo: non finisce mai. E non c’è imprenditore italiano con la passione, emiro, russo, self made man statunitense o cavaliere dell’Apocalisse che possa arrivare da un giorno all’altro e con una bacchetta magica cancelli regole, vincoli, lacci e lacciuoli. Ed è inutile parlare delle spese di Psg, Manchester City o Barcellona, club che partono da altri tipi di proprietà e soprattutto da una base di fatturato imponente, che per l’Inter rappresenta a tutt’oggi un miraggio, e che quindi possono anche digerire in maniera differente sanzioni da 60 milioni rispetto a chi appena sfora il muro dei 300. Ma intanto, Suning, in attesa di un rimodellamento del regime del Fair Play e di capire anche come assimilare le famigerate direttive interne, non sta con le mani in mano: progetta, prepara investimenti per lo stadio di San Siro ma attende di capire le intenzioni del Milan, trova nuovi finanziamenti con il lancio di un bond che tra gli investitori ha avuto un successo incredibile. Il tutto per arrivare finalmente all’obiettivo tanto anelato, la permanenza tra le partecipanti alla Champions League che genera inevitabilmente influssi benefici per la vita del club.
Una spiegazione accurata, anche di fronte a domande poste giustamente in maniera diretta, venendo subito al sodo di ogni questione senza troppi fronzoli. Certo, qualche passaggio lascia più di un dubbio: parlare di un futuro al top, per esempio, visto il contesto fa pensare che questo futuro rischia, a meno di accelerate improvvise, di essere un futuro molto lontano, per non sfociare nell’utopia. Anche perché in primo luogo bisogna capire il concetto di ‘top’ nell’ambiente nerazzurro: club che stabilmente si pone tra le prime otto d’Europa con concrete ambizioni di vittoria finale della Champions, traguardo al quale dopo un po’ di anni, per esempio, è riuscita ad arrivare la Juventus, oppure club che si accontenta di entrare nella piccola e media borghesia europea, che partecipa per rispetto del blasone societario, intascando su quanto gli spetta e lavorando in base a queste disponibilità tentando poi di fare quanto possibile sul campo. E quel concetto di ‘destagionalizzazione’, del riuscire a vivere serenamente al di là di un obiettivo centrato o mancato, in Italia, terra dove il risultato è tutto per tutti, suona stridente come il gesso sulla lavagna.
Ma siccome tutti sembrano essere diventati degli ermeneuti qualificati, anche qui si vuole trovare qualche significato latente nelle parole esplicite: se Antonello ribadisce con forza questo concetto, magari lo fa perché ha tutti i motivi per credere che ciò sia possibile. E il fatto che da Nanchino, in ossequio alla filosofia tradizionale cinese, pianifichi il proprio piano a medio-lungo termine può rappresentare un motivo per stare tranquilli, visto che le prospettive immediate dei club italiani, come evidenziato anche ieri sulle pagine della Gazzetta dello Sport, sono immerse in una fitta nebbia in virtù della tremenda incertezza sulla questione della governance di Lega e dei diritti tv, quella fonte di approvvigionamento che tiene fin troppo sulle spine le società calcistiche nostrane. E certo questo impegno non può essere mortificato da un acquisto fatto in meno o uno che non ha dato i frutti sperati in più; non è la proprietà che va in campo né tantomeno il direttore sportivo, e quando durante gli anni si deve rispondere a più allenatori e a più idee tattiche diventa dura trovare una quadra permanente. Anzi, il fatto di avere un management riconoscibile e consolidato, senza eminenze grigie e consiglieri troppo interessati, e un allenatore sostenuto da tutti non può che agevolare un certo lavoro.
È giusto, quindi, tornare a pensare al campo e a fare quadrato intorno alla squadra in vista della cruciale sfida di domani: la risposta di San Siro a livello numerico sarà come di consueto ottima, tocca ovviamente a chi scenderà in campo rispondere a dovere. E capire che il lavoro di consolidamento dopo i disastri degli ultimi anni prosegue sul binario giusto; parafrasando le parole di un grande uomo come Nelson Mandela, ora che l’acqua sta iniziando a bollire, è da sciocchi pensare di spegnere il fuoco. E che ci voglia anche il tempo che occorre, senza isterismi né panico: del resto, e qui si ritorna a quanto scritto dal collega Alessandro Cavasinni nell’editoriale di martedì, in un Paese dove, si dice, siamo destinati a ‘morire democristiani’, i moti rivoluzionari sono sempre destinati ad accendere gli animi per poco, per poi finire male ed essere revisionati peggio.
Semmai, auspichiamo che possa realizzarsi un establishment rivoluzionario, con un’Inter che possa tornare a stabilirsi come club di riferimento sul campo e in grado di avere una struttura economica importante fuori. E che possa anche scacciare i dubbi e le voci nefaste di chi gioca a vedere sempre tutto oscuro: questa, alla fine, sarebbe la vera rivoluzione. Quella per la quale, recita saggezza popolare cinese, va rifondato prima il cuore.
Autore: Christian Liotta / Twitter: @ChriLiotta396A
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