Eppure, nemmeno tanto indirettamente, lo aveva detto Roberto (scusa sai, se mi permetto di darti del Tu, ma sei uno di casa); lo aveva fatto capire, neanche tanto tra le righe. L’avevamo sentito al telefono giusto una settimana fa e le Sue parole, rilette oggi, erano macigni, non sassolini.Quel “starò fermo fino al prossimo campionato ma nel calcio mai dire mai”… oppure… "l’Inter è una squadra da terzo posto con l’organico che ha attualmente”... Ecco… come dire… tanti piccoli pezzi di un puzzle finalmente terminato.

A Cesena, quando Mancini rimase a chiacchierare amabilmente con Michael Bolingbroke per più di un’ora, vennero cercati alibi e giustificazioni puerili ed elementari. Perché i due si conoscono dai tempi di Manchester, sebbene su fronti opposti, perché tra i due c’è amicizia e stima. Seeee… La verità, adesso lo sappiamo, è che la società nerazzurra aveva cominciato a pensare al tecnico jesino già da tempo. Probabilmente il Ceo nerazzurro e Roberto, in terra di Romagna, si erano detti ben altro rispetto ai saluti e ai convenevoli di rito. E, chissà, forse già da quel giorno il destino di Walter Mazzarri era stato scritto.

Io credo, opinione personale, che Thohir tutto avrebbe voluto fare tranne esonerare il signore di San Vincenzo. Per una lunga serie di motivazioni, condivisibili o meno. Ma, questa è la verità, eravamo arrivati a un punto di non ritorno che non lasciava spazio ad altre scelte. L’idea di società che voleva e che vuole il nuovo Presidente, l’idea del brand da esportare ed espandere nel mondo, poco si sposava con l’atteggiamento quasi dimesso dell’ex allenatore. Che, per evidenti limiti di comunicazione, era difficilmente in grado di tenere testa al solito traffico di giornalisti e telecamere che affollano la sala stampa del Meazza; peggio del raccordo anulare o della tangenziale est di Milano nell’ora di punta.

Mazzarri è un brav’uomo, una persona integerrima, un grande lavoratore. Inadatto, evidentemente, a un certo genere di piazza. Perché nessuno, neanche i suoi peggiori detrattori, possono mettere in dubbio l’impegno che il buon Walter ha messo in questa triste avventura nerazzurra. A lui i migliori auguri. Ma, da parte mia, con zero dicansi zero rimpianti. Troppo integralista, Mazzarri. Troppo poco elastico. Troppo concentrato sul continuare a proporre e riproporre un gioco sempre uguale, dove le spazio alla creatività ed alla fantasia era imprigionato nelle trame di un cinque-tre-due mortalmente noioso. Con un possesso di palla sterile e poco efficace. Con quel tic toc orizzontale senza costrutto. Con uno stadio intero che cadeva in catalessi; occhi semichiusi, sbadigli a gogò. La corazzata Potemkin, al confronto, era una botta di vita.

Sono sinceramente contento del ritorno di Mancini. Perché pochi altri, come lui, incarnano l’interismo. Che è una sorta di virus, che ti contagia. non lo scegli; ti prende, ti rapisce, ti cattura, ti invade per tutta la vita. Non lo scegli; è lui che sceglie te. Questa non è una ipotesi, è un dato di fatto. Testato sulla mia pelle. Io, malato di interismo, nato e cresciuto in una famiglia milanista, juventina, con qualche spruzzo di napoletanità. Ma interista. Da sempre.

L’interismo è unico ed inimitabile; hanno provato a copiarci, in ogni parte del mondo. Ma il copyright è nostro, gli altri sono goffi tentativi, mal riusciti, di emulazione. Alcuni si avvicinano all’originale ma la maggior parte ne resta lontana anni luce.
E’ la sciarpa di lana grossa nerazzurra che Roberto Mancini teneva sempre al collo. Lo so, lo so... il Mancio lo fa con ogni squadra che allena di indossare i colori che la rappresentano. Ma non è la stessa cosa. Roberto mastica Inter, vive di Inter, si nutre di Inter. Con gli altri questo non lo ha mai fatto.

È il tempo della rinascita; magari lunga, magari difficile, magari con qualche dolore e tante sane incazzature. Ma mai come adesso è il tempo di tirar fuori le bandiere e accompagnare squadra e società. Senza false illusioni, consapevoli che l’Inter è come una bimba che sta muovendo i primi passi. Teniamola per mano, facciamo in modo che ci senta vicini.
Bentornato a casa Roberto. Mi casa es tu casa.

Sezione: Editoriale / Data: Sab 15 novembre 2014 alle 00:00
Autore: Gabriele Borzillo / Twitter: @GBorzillo
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