Nell'editoriale della scorsa settimana, prima delle sfide con Napoli e Shakhtar, avevo chiesto all'Inter di Simone Inzaghi di dirci la verità. La verità sulla reale forza e competitività di questa squadra. Bene, la risposta è arrivata chiara e perentoria. L'Inter di Simone Inzaghi è molto forte, gioca un gran calcio e ha tutte le carte in regole per confermarsi Campione d'Italia. Non è ottimismo esagerato, ma una considerazione frutto di quanto visto in due partite che rappresentavano il classico spartiacque della stagione nerazzurra. Una sconfitta contro il Napoli avrebbe fatto scivolare la Beneamata a -10 dai partenopei dell'ex Luciano Spalletti e invece la gara l'ha vinta meritatamente l'Inter, pur con la grande sofferenza finale che ha messo a dura prova le coronarie dei 57 mila di San Siro e dei milioni di tifosi davanti alla tv. Inter quindi a -4 dal Napoli e dal Milan, scivolato a Firenze. Di più non si poteva chiedere alla scorsa giornata di campionato.
Nemmeno il tempo di esultare e soprattutto di rifiatare, perché al Meazza innamorato è arrivato mercoledì scorso lo Shakhtar di De Zerbi. L'Inter era chiamata a vincere la partita per potersi finalmente qualificare agli ottavi di finale di Champions League. Un traguardo che mancava da ben dieci anni, un traguardo fallito consecutivamente da Spalletti prima e per due volte da Antonio Conte, dopo. E nelle ultime tre gare disputate, prima di mercoledì, i nerazzurri non erano riusciti a segnare nemmeno una rete al bravo portiere ucraino Trupin. Insomma, nonostante fosse palese la superiorità tecnica e fisica della squadra di Inzaghi, c'era il grande timore che ancora una volta l'Inter potesse sprecare l'ennesimo match-ball utile per avanzare nell'Europa che conta. E invece non c'è stata partita contro lo Shakhtar, anche se nel primo tempo la palla non ne voleva sapere di entrare, nonostante le numerose occasioni create e gli spettri del passato rimanessero a inquietare il popolo bauscia. Ma nella ripresa Edin Dzeko ha aggiustato la mira e, da campione assoluto quale sia, ha piazzato la doppietta scaccia Lukaku.
Partita da grande squadra europea giocata dall'Inter, impreziosita da un'altra enorme prestazione di Ivan Perisic. Mai come ora sembra sia così appropriato il soprannome Ivan il Terrbile. Su e giù sulla fascia con l'aggiunta di cross al bacio come quello che ha propiziato il raddoppio, di testa, di Dzeko. Ivan Perisic si sta mettendo l'Inter sulle spalle, ha la giusta mentalità vincente, la maglia nerazzurra gli calza perfettamente. Simone Inzaghi lo ha detto, urge trovare un' intesa per arrivare al difficile rinnovo di contratto. Lui e Marcelo Brozovic hanno sempre mostrato qualità superiori, ma ora hanno finalmente trovato la continuità, che rimane ingrediente imprescindibile per vincere la guerra e non solo le battaglie.
Parliamo ora di Simone Inzaghi. Ha raccolto la pesantissima eredità di mister scudetto, alias Antonio Conte. Ha accettato una sfida difficile venendo a Milano, sponda nerazzurra, dove le difficoltà finanziare di un club appena laureatosi Campione d'Italia, hanno costretto la dirigenza ad avallare cessioni eccellenti come quelle di Hakimi e Lukaku. Poi, la botta chiamata Eriksen che in questa Inter avrebbe disegnato calcio come solo lui sa fare. Inzaghi non ha pianto, non ha strillato, ha ringraziato comunque Marotta e soci per aver portato alla Pinetina gente come Dzeko e Cahalanoglu e ha iniziato a lavorare come sa fare. Lo stesso lavoro che gli ha permesso, alla guida della Lazio, di vincere qualcosa negli anni di dittatura juventina. Simone, oltre che bravo, è molto ambizioso. Vuole dimostrare di essere un grande allenatore anche fuori dalla comfort-zone chiamata Lazio. La Curva interista lo ha capito e gli riserva un paio di cori ad ogni partita che non si sentivano dai tempi di Josè Mourinho.
Detto questo, ora piedi per terra, testa bassa e pedalare. Questa sera Bemeamata in Laguna per il faccia a faccia con il Venezia. Al “Penzo” si va con il vaporetto, incrociando le gondole. Immagini di un calcio di altri tempi. Romanticismo. Il tempo delle foto. Poi, faccia feroce e all'assalto dei tre punti. Perché questa Inter non può e non si deve fermare. Perchè, come canta la Nord, “I Campioni dell'Italia siamo noi”.
Nemmeno il tempo di esultare e soprattutto di rifiatare, perché al Meazza innamorato è arrivato mercoledì scorso lo Shakhtar di De Zerbi. L'Inter era chiamata a vincere la partita per potersi finalmente qualificare agli ottavi di finale di Champions League. Un traguardo che mancava da ben dieci anni, un traguardo fallito consecutivamente da Spalletti prima e per due volte da Antonio Conte, dopo. E nelle ultime tre gare disputate, prima di mercoledì, i nerazzurri non erano riusciti a segnare nemmeno una rete al bravo portiere ucraino Trupin. Insomma, nonostante fosse palese la superiorità tecnica e fisica della squadra di Inzaghi, c'era il grande timore che ancora una volta l'Inter potesse sprecare l'ennesimo match-ball utile per avanzare nell'Europa che conta. E invece non c'è stata partita contro lo Shakhtar, anche se nel primo tempo la palla non ne voleva sapere di entrare, nonostante le numerose occasioni create e gli spettri del passato rimanessero a inquietare il popolo bauscia. Ma nella ripresa Edin Dzeko ha aggiustato la mira e, da campione assoluto quale sia, ha piazzato la doppietta scaccia Lukaku.
Partita da grande squadra europea giocata dall'Inter, impreziosita da un'altra enorme prestazione di Ivan Perisic. Mai come ora sembra sia così appropriato il soprannome Ivan il Terrbile. Su e giù sulla fascia con l'aggiunta di cross al bacio come quello che ha propiziato il raddoppio, di testa, di Dzeko. Ivan Perisic si sta mettendo l'Inter sulle spalle, ha la giusta mentalità vincente, la maglia nerazzurra gli calza perfettamente. Simone Inzaghi lo ha detto, urge trovare un' intesa per arrivare al difficile rinnovo di contratto. Lui e Marcelo Brozovic hanno sempre mostrato qualità superiori, ma ora hanno finalmente trovato la continuità, che rimane ingrediente imprescindibile per vincere la guerra e non solo le battaglie.
Parliamo ora di Simone Inzaghi. Ha raccolto la pesantissima eredità di mister scudetto, alias Antonio Conte. Ha accettato una sfida difficile venendo a Milano, sponda nerazzurra, dove le difficoltà finanziare di un club appena laureatosi Campione d'Italia, hanno costretto la dirigenza ad avallare cessioni eccellenti come quelle di Hakimi e Lukaku. Poi, la botta chiamata Eriksen che in questa Inter avrebbe disegnato calcio come solo lui sa fare. Inzaghi non ha pianto, non ha strillato, ha ringraziato comunque Marotta e soci per aver portato alla Pinetina gente come Dzeko e Cahalanoglu e ha iniziato a lavorare come sa fare. Lo stesso lavoro che gli ha permesso, alla guida della Lazio, di vincere qualcosa negli anni di dittatura juventina. Simone, oltre che bravo, è molto ambizioso. Vuole dimostrare di essere un grande allenatore anche fuori dalla comfort-zone chiamata Lazio. La Curva interista lo ha capito e gli riserva un paio di cori ad ogni partita che non si sentivano dai tempi di Josè Mourinho.
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