Pare che la perfezione sia qualcosa di molto raro. Persino di noioso, secondo qualcuno. Difficile da realizzare, anche solo da inseguire. È più un tendere ideale, un'aspirazione o probabilmente un'illusione, che non un fatto concreto. Qualcosa di effimero, istantaneo, perché si realizza quando tutto è precisamente al posto giusto nel momento giusto. L'Inter, per sua stessa essenza, rientra tra le cose che più ci si allontanano, dalla perfezione. Per la sua storia, per la sua natura. Per le sue caratteristiche.
Eppure, si potrebbe anche sostenere che il punto più alto della perfezione lo si raggiunga proprio in assenza di essa: che la bellezza, insomma, si nasconda dietro i difetti e dietro le imperfezioni. Sassuolo, Torino, Bologna, Parma, Tottenham e infine Sampdoria, in rigoroso ordine, lo hanno dimostrato; in attesa che tra qualche ora la Fiorentina decida di fare da eccezione o conferma. Punti persi, risultati deludenti, manovra a volte lenta, tentativi impacciati ma anche rinascite improvvise, lampi di qualità e perseveranza, capacità di andare oltre le sviste, la sfortuna, la bravura altrui per strappare con orgoglio quello che, almeno nelle ultime due partite, i nerazzurri meritavano: una vittoria oltre ogni difficoltà. Segnare e vincere nel recupero è un fatto anomalo, un misto di fortuna e caparbietà. Nel caso dell'Inter, e ripensando ai punti strappati agli inglesi in Champions e ai blucerchiati in campionato, l'eredità va ben oltre un casuale e concitato finale baciato dalla buona sorte. Innanzitutto perché le due partite vinte oltre il 90' l'Inter, con tutti i suoi difetti e i suoi limiti, le ha giocate a viso aperto, senza nascondersi ma cercando di condurre la gara ed essere superiore all'avversario.
E come sempre e puntualmente succede nel calcio, il risultato finale maschera quasi ogni problema. Di certo lo fa sembrare meno grande, irrisolvibile. Alla banda di Spalletti sembra sempre mancare il fulmine a ciel sereno che, soprattutto in Serie A, spacca in due difese e partite, manca la giocate tra le linee, la verticalizzazione brillante e improvvisa che smarca l'attaccante in area. Chiedere a Mauro Icardi, che per segnare la prima rete stagionale contro il Tottenham ha avuto bisogno di rallentare il passo in seguito a una botta e presentarsi in ritardo nella corsa verso l'area di rigore: la storia racconterà poi di un assist al bacio di Asamoah e di un tiro al volo perfetto, questa volta sì, si può parlare di perfezione, del capitano per dare il là a una di quelle serate epiche e a loro modo perfette.
Ma per un Icardi solitario (problema atavico, da risolvere nel corso della stagione) e a digiuno di reti, c'è quell'apporto dei centrocampisti che l'anno scorso è mancato a Spalletti: Nainggolan, Candreva, Perisic, Vecino e Brozovic hanno trovato gol e fatto trovare punti nelle prime 6 uscite stagionali evitando, di fatto, che l'unica esultanza a cui si è fermato l'argentino risultasse ancor più dannosa e dolorosa. Anche perché se è vero che Icardi sembra essere poco cercato e poco coinvolto nella manovra, in attesa che Nainggolan migliori condizione e intesa coi compagni e Lautaro Martinez trovi a sua volta spazio e minuti, è altrettanto vero che il fatto stesso di attirare regolarmente su di sé i difensori avversari permette agli assalitori dell'area di guadagnare spazi e avere tiri aperti come successo a Genova in occasioni delle reti, poi annullate, al Ninja e ad Asamoah. Fa parte del gioco di squadra: liberare occasioni per gli altri, se non puoi averle tu.
E poi c'è l'aspetto caratteriale, spesso, troppo spesso, qualità mancante: rimontare, vincere nel finale, strappare con l'ultimo pallone buono dell'ultimo istante di gara il risultato significa essere vivi dopo essere stati dati per morti, significa avere il fuoco dentro e la giusta personalità. E sentire la spinta dei tifosi. Significa diventare belli anche dopo essere stati, a tratti, brutti perché l'incapacità di arrendersi e la voglia di provarci sempre sono ciò che fa innamorare il tifoso. Ma anche il segnale di una condizione fisica crescente, altro aspetto rilevante perché in quanto a condizione fisica l'Inter delle prime tre giornate era parsa a tratti imbarazzante. E ora, invece, finisce le partite in crescendo.
L'aspetto emotivo e la tensione nervosa, però, logorano più del potere: non potrà sempre essere così e Fiorentina e Cagliari sono destinate a offrire banchi di prova decisivi. Spalletti non potrà (solo) continuare a vincere all'ultimo assalto o sfruttando la spinta di San Siro. La stagione è lunghissima e spesso serve vincere col minimo sforzo, portare a casa punti senza dissanguarsi e invece l'Inter pare sempre di ritorno da una guerra, sembra sempre destinata a doverci mettere tutta se stessa e anche di più per ottenere qualcosa. Che poi è per questo che sembra bella anche senza essere perfetta. Primo perché il progetto offre ampi margini di miglioramento (dal punto di vista fisico e tattico). Secondo perché, proprio come da sua intrinseca natura, la squadra è passionale e umorale. Capace di tutto e capace di sfiorare la perfezione quando meno te lo aspetti e quando, anzi, niente sembra essere più lontano. Sta tutta qui, la bellezza.
Autore: Giulia Bassi / Twitter: @giulay85
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