Con l’arrivo di Marotta in nerazzurro la trasmutazione della società sta per completarsi.
L’Inter è sempre stata un’anomalia nel panorama delle grandi d’Italia e d’Europa, la sua esistenza è stata caratterizzata da un tipo di gestione di alto livello ma familiare, da Moratti padre a Fraizzoli, da Pellegrini a Massimo Moratti, in una dimensione nobile che il club ha sempre cercato di interpretare, fino a rendersi conto, specie dopo la prima metà degli anni '90, che quel tipo di cultura non era più praticabile.
Da quel periodo, con particolare riferimento al 1998, è partita una faida che si è spostata su un piano pericoloso dal 2006 in avanti, anno in cui l’evento di Calciopoli, ha creato i presupposti di una guerra santa tra Inter e Juventus, con schizzi di fango tra tifosi e dirigenze prive di eleganza, tanto frequenti da cancellare il senso stesso della parola stile.
Moratti, è stato un portatore di quel modello culturale a cui il tifoso interista si riferiva, l’orgoglio e la classe nel tipo di risposta verso la protervia esasperata di una Juventus diventata una società militarizzata, costruita come un androide all’unico scopo di vincere, ad ogni costo. Un modello seducente preso dai Real Madrid & co, che ha cancellato il valore dello sport ma esaltato al parossismo il fine ultimo, diventato poi unico della competizione.
Conseguenza: cancellazione degli appassionati sportivi e aumento demografico dei tifosi ultras.
Moratti era un romantico e dopo il Triplete è stato seppellito dai debiti e la congiuntura del fair play finanziario, istituzione nata proprio nel 2010 che ha esasperato un problema grave, perché impossibile da ripianare con i propri soldi. Da quel momento il calcio è definitivamente cambiato, non necessariamente per il meglio perché l’alternanza di squadre ai vertici del calcio nazionale e della Champions è praticamente cessata. La forbice tra club medio piccoli e quelli grandi è triplicata, così oggi per le nuove generazioni è normale (ma non lo è) vedere sempre Real, Barcellona, Bayern e ora la stessa Juventus, arrivare nelle semifinali e giocarsi la coppa.
L’Inter durante questi anni ha assistito al cambiamento da spettatrice e si è spogliata di quell’abito languido e sognatore, pazzo e inafferrabile per diventare cinese e ancora più internazionale, fredda ma anche strutturata. Da Thohir a Suning la sede si è popolata di uomini provenienti da ogni angolo del pianeta, da Bolingbroke a Williamson arrivando al cda composto da Zhang, Isenta Hioe, Rudi Setia Laksmana, Ren Jun, Yang Yang, Zhu Qing, Mi Xin, Xu Tao e il meglio conosciuto e pronunciabile Alessandro Antonello.
Per almeno tre anni l’Inter è diventata una macchina con i vetri oscurati e una comunicazione meccanica, oggi invece è più nitida, riconoscibile, per quanto trasfigurata; qualcosa di umano che è sopravvissuto in una versione cyborg, in cui la macchina serve per poter competere ad armi pari con l’elite del calcio.
I tifosi sono rimasti sorpresi dall’addio di Marotta alla Juve e il simultaneo accostamento all’Inter. Ora che la cosa è praticamente ufficiale il dibattito se il pubblico nerazzurro lo vuole o meno è superato, inadeguato al peso specifico di un’opposizione che non avrebbe comunque senso. L’altro tema è legato al ruolo che occuperà ma anche questo è stucchevole, considerando che non si sovrapporrà al ruolo di nessuno, nemmeno ad Ausilio, il quale da anni è abituato a sentir parlare di lui in uscita.
Non amo Marotta e non dimentico l’uscita infelice di solo un anno fa, dopo le polemiche di Juventus-Inter: “Sono imbarazzato. L’Inter non sa perdere” e aggiungendo: “In Italia dovremmo allenare giocatori, allenatori e dirigenti a una cultura della sconfitta che nel nostro paese non esiste”. Saremo tutti attenti a vedere se porterà coerentemente questo tipo di principio in occasione di una sfida con i bianconeri con decisioni arbitrali controverse.
Marotta tuttavia va giudicato per il suo lavoro, apprezzato per la sua competenza e compreso che viene a riempire anche quel vuoto perpetuo dell’Inter nell’area politica.
Non solo infatti le sue indiscutibili qualità dirigenziali e la sua esperienza ma anche la conoscenza di un versante nel quale l’Inter è sempre stata volontariamente assente o passiva.
Oggi l’Inter è cambiata e con lei i suoi tifosi, persino il modo di andare a San Siro e tifare.
Lo stadio sempre pieno (sesto in Europa per presenze), la curva interamente coperta dalle coreografie (negli anni 80 sembrava un evento un grande striscione nerazzurro che passava di mano in mano con tanto di sponsor Cattel), le sciarpate in ogni settore, l’inno “Pazza Inter”, lo speaker che esalta l’annuncio della formazione e i gol.
Dietro alla grande passione c’è un impressionante lavoro di ticketing management, marketing, un incremento esponenziale nella gestione dei social e altri valori che portano a capire che indietro non si torna. È una nuova era, stessi colori ma un'altra Inter.
Speriamo presto vincente.
Amala.
Autore: Lapo De Carlo / Twitter: @LapoDeCarlo1
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