Ne ho lette e sentite tante in queste ultime ore. Un po’ tutto, al punto che non sembra ci sia molto da aggiungere. Stasera si gioca al St. Mary’s, casa del Southampton. In panchina siederà Stefano Vecchi, il classico tappabuchi in attesa che venga eletto il nuovo responsabile della panchina nerazzurra. La stima per il tecnico della Primavera è sempre ai massimi livelli, in questi anni ha svolto un ottimo lavoro con i suoi ragazzi ed è un peccato che sia solo di passaggio su una grande panchina come quella dell’Inter. Forse, per meriti sportivi, per conoscenza dell’ambiente e per risultati portati in dote, dovrebbe rimanere almeno fino a giugno alla guida della prima squadra. Un po’ come accaduto ad Andrea Stramaccioni, che ha vissuto l’annata forse più sfigata dell’ultracentenaria storia del club. E, mi duole ricordarlo, è stato abbandonato da parte dello spogliatoio, quella rimasta lontana dall’infermeria per più di una settimana. Una situazione che si è verificata spesso in casa nerazzurra dall’addio di José Mourinho. Anche lo Special One, per qualche tempo, non ha goduto di grande popolarità nello spogliatoio, prima di conquistarsi la totale fiducia dei giocatori. Succede in tutte le famiglie, l’empatia tra calciatori e allenatore è merce rara, soprattutto in epoche in cui l’attaccamento alla maglia è materiale solo per interviste e post sui social.
L’Inter, questa Inter non è da meno. Frank de Boer non è più l’allenatore, il suo destino era segnato da tempo, ancora prima delle rassicurazioni pubbliche di tutto il management in occasione dell’Assemblea dei Soci dello scorso 28 ottobre. Rassicurazioni oggi oggetto di scherno in tutta Europa, soprattutto in Olanda dove gli addetti ai lavori hanno preso in malo modo l’allontanamento dell’ex tecnico dell’Ajax, il quale aveva solo chiesto un po’ di tempo per lavorare. In Italia, e soprattutto all’Inter, il tempo è denaro come in nessun altro posto e i risultati negativi provocano quel fastidioso prurito che ti porta a lottare tra la voglia di dare un taglio netto a tutto e la consapevolezza di dover pazientare se si vuole costruire qualcosa di duraturo. All’epoca della sostituzione di Mancini con De Boer mi ero espresso in termini poco elegiaci nei confronti della dirigenza, rea di aver peccato di tempismo inaccettabile per una decisione così significativa. Allo stesso modo, c’era il sentore del fatto che lasciando la strada vecchia per la nuova (e sconosciuta ai più) ci sarebbe stato più di un ritardo sulla tabella di marcia, per il semplice fatto che il nuovo navigatore non aveva ancora scaricato gli aggiornamenti delle mappe. Tutto previsto, l’olandese avrà il tempo necessario per capire dove si trova e con chi avrà a che fare. Le sue idee sono affascinanti, possono rappresentare una linea di confine tra la vetusta concezione di calcio pragmatico tipica del DNA nerazzurro e una nuova filosofia di gioco, quella più europea, quella che diverte.
Appena 84 giorni, è questo il tempo che la dirigenza ha concesso a De Boer. Risultati alla mano, c’è chi è stato licenziato con largo anticipo, e non solo a Milano. Ma non era questa la situazione in cui fidarsi solo dei numeri, in palio c’era qualcosa di più importante: un totale cambio di mentalità. Pretendere tutto e subito sarebbe stato scellerato, invece quel fastidioso prurito alla fine ha prevalso. Tutto sbagliato, tutto da rifare. La squadra perde, i giocatori non rendono, per non parlare del clima mediatico costruito intorno all’allenatore, a volte oggetto di scherno neanche troppo celato, altre di sentenza anticipata. Il tutt senza alcuno scudo. Da quante settimane va avanti il ritornello del dopo De Boer? Quanti nomi sono stati tirati in ballo? Perché anche dopo la conferma ufficiale del 28 ottobre si è continuato a scrivere che Genova sarebbe stata l’ultima spiaggia? Chi distribuiva ai giornali queste informazioni dall’interno della società per dare in pasto l’olandese alla stampa? Tanti, troppi quesiti che meriterebbero una risposta. E ce ne sarebbero anche altri, ma ormai il dado è tratto.
Cambiare tutto per non cambiare niente: se servisse un titolo per descrivere lo stato attuale dell’Inter, Giuseppe Tomasi di Lampedusa ci ha già pensato negli anni ’50. Nuova proprietà, nuove risorse, nuovi orizzonti internazionali. Ma la stessa fretta di vincere senza aspettare che i tempi maturino, senza dare al barcarolo la possibilità di avere la meglio sulla corrente avversa per trovare la sua. Eppure il 46enne di Hoorn era stato più che chiaro, arrivando anche a citare l'esempio del connazionale Giovanni van Bronckhorst, che il Feyenoord ha confermato nonostante l'avvio negativo e oggi raccoglie i frutti della coraggiosa decisione. Invece all'Inter ora c’è il traghettatore, in attesa del supplente di chi arriverà a giugno. Storia già vista, già sofferta. Come nel 2003, quando el hombre vertical Hector Cuper si prese un calcio nel sedere da Massimo Moratti e, nel limbo tra l’argentino e Zaccheroni si infilò il malcapitato Corrado Verdelli che esordì proprio in Champions League, a Mosca, contro la Lokomotiv: 0-3 e qualificazione compromessa. Fate i dovuti scongiuri.
Ho un altro paio di domande relative a quanto accaduto negli ultimi due giorni. La prima: chi si è preso la responsabilità di esonerare De Boer dopo averlo confermato ufficialmente a prescindere da come fosse andata a finire a Genova? So chi lo ha scelto nonostante le perplessità del resto della dirigenza, ma chi ha avuto l’ultima parola in questa vicenda, a costo di un clamoroso autogol mediatico internazionale? Non mi è ancora chiaro, checché la società voglia trasmettere all’esterno un’idea di unità decisionale. Troppe teste, poca chiarezza, troppa distanza tra le parti, non necessariamente geografica. Seconda domanda: sarò banale, ma visto che il tecnico, come nelle migliori abitudini italiche, ha pagato per tutti, perché non si interviene anche sulla forza lavoro, vale a dire i giocatori? Non mi si venga a dire che tutti hanno dato il 100% delle loro possibilità finora, perché mi sentirei preso per il c***. Ho visto tutte le partite dell’Inter finora e a parte quella contro la Juventus non ne ricordo una giocata davvero al massimo da tutti coloro che sono scesi in campo. De Boer ha commesso errori, anche macroscopici. Ma aveva più di un’attenuante, essendo un alieno sbarcato sulla terra e obbligato ad adattarsi rapidamente. I calciatori che scusa hanno? Non mi sembra che siano sottopagati o deresponsabilizzati, anzi. Più dell’allenatore è il loro apporto alla causa che fa davvero la differenza, perché in campo vanno loro. E trattandosi di professionisti lautamente stipendiati ogni mese, dovrebbero sapere cosa fare in campo. Problemi di comunicazione con il tecnico? Filosofia gestionale troppo severa? Metodi di allenamento non in linea con le proprie abitudini? No, non sono giustificazioni accettabili. Se la società, che per coincidenza è anche il loro datore di lavoro, ha individuato in De Boer la persona più adatta a guidarli, loro sono tenuti a svolgere il proprio compito a prescindere dal parere e dalla fiducia che ripongono in lui, a essere squadra, a fare gruppo per il bene comune. Senza se e senza ma. Un discorso talmente ripetuto da essere ormai depauperato di ogni valore.
Eppure, dopo il pasticcio sulla panchina, che lungi dall’essere risolto, sarebbe un bel segnale richiamare i calciatori al proprio dovere. Ma non a parole, i cazziatoni servono con i bambini. Intervenendo con tagli allo stipendio, al quale probabilmente loro non rimarrebbero sordi. Dopotutto, visto che la maglia non è una priorità e ad ogni buona prestazione si bussa a denari, dovrebbe valere anche il percorso opposto. Magari istituendo dei malus, in contrapposizione ai tanto graditi bonus dipendenti dai risultati. Linea troppo severa e inattuabile? Forse, ma lo è anche pretendere risultati e bel gioco in 84 giorni. Esonerare l’allenatore forse non è l’unico modo per dare una scossa all’ambiente. Soprattutto se lo stesso ha il supporto incondizionato di una nutrita fetta della tifoseria nerazzurra. Stasera c’è il Southampton, l’eliminazione dall’Europa è dietro l’angolo, ma a naso direi che questo è l’ultimo dei problemi. In bocca al lupo a Vecchi, in bocca al lupo a Pioli o chi per lui. La centrifuga è già entrata in funzione. E Mancini, al di là degli errori commessi, lo aveva capito con largo anticipo.
Autore: Fabio Costantino / Twitter: @F79rc
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