C'è sempre un passato che resta addosso. Semplicemente perché siamo ciò che abbiamo vissuto, ciò che abbiamo ottenuto, inseguito, perso, sognato. E ciò che diventiamo è la somma di quello che è capitato, dei tentativi, dei successi e dei fallimenti. Nella vita e nel calcio: la nostra storia è il nostro miglior biglietto da visita senza il bisogno di stare continuamente, o frequentemente, a rivangare, ribadire, rivendicare, accusare. C'è un'eredità, che a volte può anche rivelarsi un fardello, che costringe a guardare indietro ma poi c'è anche un futuro, un progetto da impostare e alimentare, che implica la capacità, la necessità, anzi, di guardare avanti.

Pochi giorni fa Massimo Moratti ha detto di essere in grado, ora, di mettere da parte il rancore post-Calciopoli. Ed è un bene. Era ora. Quello che è stato fatto negli anni di Calciopoli più ancor più che l'Inter ha danneggiato il concetto di sport, il senso di lealtà e competizione, la purezza della passione e del tifo. Non esistono sentenze in grado di riparare questo, non esiste punizione adeguata e nemmeno ricompensa sufficiente. Per chi vive lo sport come un valore è una cicatrice che però non per questo bisogna continuamente sentire il bisogno di scoprire e mostrare agli altri. E' successo, è passato, si è andati avanti e ognuno ha continuato a scrivere la propria storia. A offrire al mondo il proprio biglietto da visita. E nessuno può sentirsi fino in fondo giudice supremo di moralità e correttezza perché prima o poi succederò di sbagliare di nuovo e allora si verrà accusati il doppio, verrà fatto pesare tutto di più.

E poi, tutto scorre e tutto si dimentica in questo Paese. Sono stati insabbiati e messi a tacere sequestri, omicidi, corruzioni. Figuriamoci se non si può dimenticare Calciopoli. Cosa che anzi è stata fatta da tempo, tranne da chi continua, ma si fa del male, a sollevarla come pietra di un peccato originale che magari lo è pure ma, di nuovo e con un velo di amarezza, fa parte del passato. Le ostili rivendicazioni tra tifosi sono il male dello sport: la Juventus non è solo quella targata Moggi-Giraudo-Bettega; il Milan non è solo quello delle luci di Marsiglia o dell'ultima gestione Yonghong Li che ha lasciato in dote un bilancio in rosso da 126 milioni; l'Inter non è solo la sciagura del 5 maggio.

Il calcio è fatto di cicli e così la Juve è anche un club capace, ammirevolmente, di risollevarsi dalla proprie macerie e diventare una potenza economica, il Milan ha riscritto la filosofia del calcio con Sacchi e gli olandesi e ha vissuto le glorie di una squadra che con Ancelotti, Kakà e Inzaghi in giro per i campi d'Europa era una sentenza scritta. L'Inter è l'unica italiana ad aver fatto il Triplete e a non essere mai retrocessa. E ancora tutte e tre hanno altri mille pregi e mille e un difetto. Al netto del fatto che una e una solo squadra è quella che ti fa battere il cuore, che ti lega magari alla famiglia, ai ricordi d'infanzia, ai sacrifici fatti per seguirla, alle lacrime, al sudore e alla gioia, alla rabbia che ti ha fatto provare. Senza tuttavia, che questo offuschi la mente e il saper giudicare le cose per il loro valore in base anche ai nostri, di valori. La ruota gira e citare a convenienza della propria tesi un periodo storico o l'altro per difendere o accusare la storia di un club farà parte del tifo ma è anche, e soprattutto, qualcosa di riduttivo.

Perché poi, a giudicare tutto in base al tifo, si finisce come si è finiti ora: che un calciatore accusato di un presunto stupro venga ritenuto a priori innocente o colpevole a seconda che si tifi Juve o no. E si fatica, onestamente, a immaginare qualcosa di più spaventoso e vergognoso. Poi si finisce per dover leggere i tweet di una società di fama mondiale che scrive che Ronaldo è un professionista serio ed esemplare, apprezzato da tutti e che le vicende di 10 anni fa non possono modificare questa opinione. Di nuovo, si fatica a immaginare qualcosa di più spaventoso e vergognoso. E' l'espressione di un calcio tribale dove tutto viene ricondotto ai colori di appartenenza anziché al buon senso, alla logica, alla serietà, alla giustizia, alla presunzione di innocenza fino a prova contraria perché questo stabiliscono le leggi degli uomini, non del tifo. Ma, come si diceva, la storia è il miglior biglietto da visita. Per questo non serve gridare, proclamare, accusare.

Suning ha fatto benissimo lo scorso anno a tornare, nella persona di Steven Zhang, a Torino ad assistere a un Juve-Inter come la dirigenza nerazzurra non faceva dal 1998; Agnelli ha fatto bene a proporre Moratti alla presidenza Figc e Moratti ha fatto bene a mettere da parte il rancore: è lo sport, è la logica dei rapporti tra aziende, perché tali sono oggi le società di calcio in tutto e per tutto, che guardano avanti e non indietro. A volte, tra l'altro, rischia di diventare un alibi o una pericolosa giustificazione nascondersi e credere di non aver ottenuto qualcosa per colpa d'altri invece che per demeriti propri: chi fa le cose al meglio e si dimostra più bravo, la strada per dimostrarlo, in un modo o nell'altro, la trova sempre. Su quello occorre concentrarsi e investire le proprie energie. Senza vivere nel ricordo di un Triplete o nel rancore di Calciopoli. Al di là del bene e del male.

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Sezione: Editoriale / Data: Dom 14 ottobre 2018 alle 00:00
Autore: Giulia Bassi / Twitter: @giulay85
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