Ti impegni, prepari lo scenario ideale e ogni ben di dio che possa contribuire a far bella la festa in famiglia. È tutto pronto, nulla può andar storto e, invece, è proprio lì che casca l’asino. La sconfitta di ieri arriva in effetti proprio quando San Siro e un po’ tutto il popolo nerazzurro erano chiamati a celebrare un Natale felice, ben più felice di quelli passati, che – Sassuolo permettendo – poteva anche veder l’Inter in vetta, un po’ come il puntale sull’albero. Ecco però che le festanti campane di Inter Bells hanno finito per suonare in modo differente, quasi come quella cui Ernest Hemingway fece lugubre riferimento nel titolo del suo celebre romanzo. Per chi suona la campana oggi, in casa Inter? Chi, in qualche modo, esce ridimensionato, se non bocciato, dalla prima seria battuta d’arresto di questa prima parte di stagione? Forse è presto per porre questa domanda, eppure l’impressione è che il famoso mantra “son tutti titolari” di spallettiana filosofia possa iniziare a soccombere sotto i colpi del campo. Anche chi scrive aveva parlato di rivitalizzazione, se non di miracolo, per non pochi nerazzurri opacamente finiti ai margini nelle scorse stagioni, e improvvisamente tornati a far la voce grossa con rendimento e piglio attendibile nell’undici nerazzurro. Alla lunga, però, è plausibile che questo stesso gruppo di resuscitati possa subire una scrematura, ché soltanto i cavalli di razza tengono un certo passo anche alla distanza.
La giornata di Santon è stata allarmante. Il ragazzo, grande e grosso com’è, parrebbe davvero un terzino pregiato e in molti, da qualche settimana a questa parte, si erano ricordati del vecchio amore scoppiato nel lontano 2009 per quello che Mourinho ribattezzò come ‘il Bambino’. Troppo ardito il dribbling cercato sull’avversario nell’azione che avrebbe poi condotto al primo gol dell’Udinese, troppo platealmente scomposta la posizione del suo braccio in area in occasione del fallo da rigore, sciaguratamente non visto da un Mariani in confusione totale e –ahinoi– sanzionato grazie al VAR. Se Santon pare ora in netta tendenza discendente nel borsino nerazzurro, c’è anche però da evidenziare come tutta la squadra sia rientrata in campo, nella ripresa, con sconcertante confusione. Mancavano le distanze, la precisione, il coraggio, la concentrazione, le idee: tutto o quasi, insomma, ciò che occorrerebbe per giocare decentemente a calcio. Ha forse ragione Spalletti a sostenere che la flessione non sia stata tanto dovuta a un calo fisico, dal momento che i nerazzurri non sono mai sembrati surclassati dagli ospiti sul piano della corsa. Ben più manifesto, invece, è sembrato il calo mentale, una sorta di inspiegabile sfiducia piombata addosso ai nerazzurri nel momento in cui sono rientrati in campo, e manifestatasi con angosciante evidenza nei primi 10’ del secondo tempo. È quello il peccato originale di una gara che, in precedenza, aveva visto l’Inter reagire con assoluta serenità e freddezza a un gol che si può prendere, come quello di Lasagna. Quando rientri in campo in quella maniera, devi aver molta fortuna perché le cose non precipitino, e di fortuna ieri l’Inter non ne ha avuta neanche un po’, negli episodi (traversa di Skriniar…) come nello sviluppo della partita. Che non si parli più di fortuna, sfiga, complotto VARista e simili mostruosità medievali, per piacere. Perlomeno, non senza un mezzo calice di bianco al bancone del bar, se non si vuol correre il rischio di sembrare perennemente ubriachi.
Ci sono dunque dei suggerimenti da prendere, delle cose da imparare, e forse anche degli appunti da rivolgere a quanto è stato fatto finora. Premesso che quello di Spalletti, e della dirigenza tutta, è un grande manufatto sportivo, un’opera non miracolosa ma a tratti perfetta nel suo realizzarsi con serenità, precisione e sorprendente regolarità, esistono ancora grossi margini di miglioramento non solo rispetto a un’Inter che sia credibilmente da vertice, ma anche per essere una squadra che voglia esser certa di arrivare nelle prime quattro con tranquillità. Ieri, ad esempio, al posto di Santon doveva esserci Dalbert, e l’incredibile ritardo che il brasiliano ha mostrato anche col Pordenone, quando ha ripetutamente litigato col pallone ad ogni primo controllo, sembra una sorta di primo bilancio del suo terribile impatto con la realtà italiana. Dura, però, credere che il ko con l’Udinese sia dovuto al mercato che non è stato fatto, e indichi in qualche modo la necessità di presentarsi alla prossima finestra di gennaio lanciando banconote come Rockefeller. Questa è fame, è bulimia, e non porta a nulla di buono: che si investa con precisione, dunque, ma ci si guardi anche dal rischio opposto, quello di rovinare con mosse eccessivamente invasive il sottile e armonioso equilibrio creatosi finora. La fiducia non può crollare e le streghe non son tornate solo per un inciampo. La lezione l’ha data a tutti San Siro, mai come ieri disposto a perdonare, a comprendere, dunque a incoraggiare. Santon, dopo il primo errore, è stato ripetutamente applaudito e coccolato. A fine partita, nonostante gli ovvii mugugni accumulatisi nell’ultima parte di gara, tutti i nerazzurri hanno ricevuto l’applauso sincero dei presenti, che hanno distinto con saggezza i segni di una giornata no dai cattivi presagi dei profeti di sventura. L’effetto Spalletti è anche questo. Sta dunque a lui, ai calciatori, a noi, a voi, a San Siro non disperderlo. In tal modo, si vedrà, le campane torneranno sin da subito a suonare a festa.
Autore: Antonello Mastronardi / Twitter: @f_antomas
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