L’autunno, San Siro in festa nella più grigia e banale delle mattine milanesi, e sopra le nuvole e il grigio di un tempo, e sotto la festa, San Siro e la Spal. Milano si è svegliata già stanca come in una domenica degli anni ’60, ché fuori diluvia e allora passo il tempo a leccare e incollare le figurine di Oscar Massei e di un giovane Fabio Capello sull’album, in attesa che la loro Spal torni ancora al Meazza. Oggi come allora, però, Milano resta attenta ai fenomeni di costume, attraenti in quanto tali, coinvolgenti di per sé. Ecco che il lunch match, con quell’arietta frizzante che sferza gli occhi socchiusi di chi non ha rinunciato al sabato sera e le birre che spuntano malgrado l’orario –ché non è mai troppo presto per una birra allo stadio, diventa esso stesso fenomeno di costume, oltre che teatro di passione e attaccamento. Passione, attaccamento e costume: solo alla luce di queste spinte emotive si può spiegare la maestosa affluenza di pubblico (57.235 spettatori) che ha atteso i ragazzi di Spalletti alla prova della Spal, oggi come allora non una cenerentola con la maglia carina, ma avversario tignoso, tutto corsa e gioventù, senz’altro degno di calcare i prati della serie A.
BELLA SQUADRA, BELLA MAGLIA - Perdonate se si cede qualcosa al fascino del retrò, ma chi era allo stadio, forse, capirà. Il bello del calcio italiano, se ancora ce n’è, è spesso in quel pullman a due piani che certe squadre sanno piazzare davanti alla propria porta, oggi come un tempo. La Spal, dal canto suo, è però anche altro, schierata con un 3-5-2 assai eccentrico rispetto a quel modulo prudente e pilatesco in cui ama rifugiarsi mezza serie A. All’oliata meccanica della fase difensiva, gli estensi abbinano un’apprezzabile voglia di riproporsi, che non cerca sempre e comunque lo sfondamento centrale e un po’ taurino di un Borriello sempre tosto e intimorente, già solo a vederlo ronzare intorno all’area di rigore; la Spal gode infatti di un’ampiezza non banale nella fase di possesso, sfruttando le galoppate sugli esterni di Costa e Lazzari (eccezionale, in particolare, la prova del secondo), e si avvantaggia spesso e volentieri, nella prima frazione di gioco, di una sostanziale superiorità numerica a centrocampo, grazie ai preziosi tagli di Mora e Schiattarella e alla spensieratezza di Joao Mario, che spesso dimentica i suoi doveri difensivi. Se l’Inter ieri non ha offerto una prova scintillante, gran parte del merito può andare anche a Semplici e i suoi ragazzi, che hanno riabbracciato la serie A lasciata nel 1968 e al suo cospetto non sembrano destinati a figure da pivelli.
COPPIE E GIGANTI - Quanto ai nerazzurri, non si avverte più da queste parti la nostalgia di una coppia gol. Opportunamente si è detto e ripetuto, anche da parte della società, che le spalle pur larghe di Icardi non potevano reggere da sole il peso della realizzazione: il Perisic formato Spalletti, meno affezionato del passato alla linea laterale, vede la porta, sente gli inserimenti di chi gli gioca accanto, invita con inedita leadership il compagno di fascia Dalbert alla sovrapposizione. Certo, il croato si è reso protagonista di una prova opaca fino alla prodezza del 2-0, complice anche lo scrigno in cui Semplici ha saputo preservare a lungo la propria area; Perisic, con tutti i suoi chiaroscuri, pare tuttavia cresciuto per attaccamento, partecipazione alla causa e velenosità: da lui si auspicano 15 reti, almeno, e il traguardo non pare immerso nella foschia settembrina. Se si guarda bene nel grigio, poi, ecco stagliarsi un’ombra grande e rassicurante. Skriniar e le sue gambone non balleranno bene il twist, ma il ragazzo chiude che è uno spettacolo; pur conscio di avere piedi educati, lo slovacco non si fa troppi crucci a mandare la palla in tribuna, se necessario. Di contro, le sue scelte in uscita dalla difesa sembrano sempre un passo avanti: l’ex doriano, senza troppi rischi, riesce a pescare il compagno lì dove l’avversario non può dargli noia, e spesso finisce per trovare linee di passaggio che neanche dal campo aperto della tribuna si erano intraviste. Pochi proclami e poche lodi sperticate, al primo assaggio di autunno. Motivi per gioire, però, ce ne sono, e chi mangia bene dopo tanta pasta in bianco sa bene quanto sia bello sottolineare il buon sapore che gli accarezza le papille.
NEGLI OCCHI TUOI - E poi c’è il VAR. Mostro, messia, giudice insindacabile oppure morte del calcio, e chi più ne ha più ne metta. All’Inter, per la verità, non sta andando male, ma questo articolo non avrebbe in ogni caso sollevato dietrologie o revisionismi storici. In attesa che i tempi tecnici si assottiglino, e che le pause di 4 minuti siano annoverate tra le eccezioni alla regola, bisogna sottolineare che neanche la tecnologia ce l’ha fatta a dare colore al bianco e nero. La gara, ieri, era un tuffo nel passato e tale è restata. Autunno a Milano, la Spal a San Siro, quella Spal che arrivava ottava nel 1963 e perdeva 3-2 con l'Inter del Mago proprio mentre Piero Ciampi cantava il suo Autunno a Milano, e l’amore sbocciava a via Manzoni con due mani intrecciate nel grigiore. Piero Ciampi, livornesissimo, avrebbe senz’altro pianto oggi; lo facciamo noi al suo posto, urlando che la pioggia non sia più causa di morte, e augurando a Livorno tutta di tornare a poggiare ben ferma su solidarietà e leggerezza, le sue saldissime gambe. La pioggia e la nebbia, dicevamo, devono nascondere amore: così soltanto resteranno gradevoli, quasi come l’estate. A San Siro, per tornare al profano, è successo, e l’ebbrezza estiva della nuova Inter ha retto all’inversione meteorologica. Chiediamo che duri, però. Siamo stanchi di appassirci in inverno e svegliarci troppo tardi in primavera e i tifosi, innamoratisi ancora una volta in estate e all’alba dell’autunno, devono poter confidare in un sentimento corrisposto e duraturo. “Il sol e il mar, la luna e i fior, li trovo negli occhi tuoi; restiamo qui ancora un po’: è presto per ritornar”, cantava Ciampi, ma è come se cantassimo tutti. Tanto è l’amore, che non ammette delusione.
Autore: Antonello Mastronardi / Twitter: @f_antomas
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