Cosa rende gli attaccanti argentini così decisivi in Italia? Javier Zanetti risponde ai microfoni di SportWeek, l'inserto in edicola ogni sabato con La Gazzetta dello Sport. "Credo che sia la voglia, oltre al fatto di essere completi e generosi. La voglia di dimostrare, di imporsi in un campionato così importante e impegnativo.Quando arrivavamo qui tutti sapevamo che avremmo dovuto fare un passo in più, che il campionato italiano era un’altra storia. E per gli attaccanti la cosa valeva anche di più: non segni per due partite di fila e il mondo ti crolla addosso".

Ma c’è una scuola particolare? Magari quella del settore giovanile di un club?
"Tutti i grandi club argentini creano bomber. Ma la vera scuola è un’altra. Il potrero, lo chiamiamo noi. Per voi sarebbe il campetto dell’oratorio. Lì, in strada, gli attaccanti diventano furbi. Imparano i trucchi e se li portano dietro in valigia quando arrivano. E poi c’è la scuola dei difensori: quelli argentini sono come gli italiani. Sono quelli che si fanno sentire di più. Ti abituano alle botte, alle marcature che trovi in Italia".

Partiamo con un viaggio nel tempo, fra i delanteros che hanno fatto fortuna in Serie A. Si comincia dai pionieri: Angelillo, 33 gol in 33 partite, in una stagione con l’Inter, e Sivori, dominatore con la Juve.
"Sinceramente ho sentito parlare di loro più qui che da noi. Angelillo era un tremendo finalizzatore, un uomo d’area. Sivori, oltre ai gol, regalava giocate e dribbling, saltava e risaltava l’uomo. Creava occasioni anche per gli altri".

Chi lo ha visto dal vivo ne parla come di un’anticipazione di Maradona. Ed eccoci a Diego. La categoria ìattaccante” gli sta persino stretta. 
"Diego era unico,fuori da ogni categoria. Quello che ha fatto lui a Napoli è qualcosa che resterà per sempre. Senza parlare del Mondiale 1986… Uno come El Diez non si vedrà più, è un peccato". 

A Napoli se lo sono goduto per 7 stagioni. Sembra una cosa fuori dal mondo, pensando al mercato di questi anni. No? 
"Già, oggi sarebbe impossibile. Il calcio è diverso, le bandiere sono quasi scomparse. Adesso dopo tre anni i giocatori vogliono cambiare squadra. Come Diego resterà solo Diego". 

Dal più grande al numero 1 per gol segnati in A fra gli argentini: Gabriel Omar Batistuta, 184 reti.
"Forse il miglior centravanti contro cui abbia giocato. Quando era alla Fiorentina ci faceva penare. Potente, gran tiro; la sua presenza in area si sentiva: viveva per il gol. E fuori dal campo simpatico, un bravo ragazzo".

Prima di lui, nel 1989, era arrivato a Udine un altro che avrebbe riempito i tabellini: Abel Balbo.
"Faceva più gioco di squadra di quanto si pensi, rientrava a centrocampo, cercava palla, aiutava i compagni.Epoi, dopo Diego, Abel è stato l’apripista per noi argentini. Lui e Sensini hanno spalancato il nostro mercato in Italia".

Tanto che nel 1995 sbarcano da un aereo proveniente da Buenos Aires due ragazzi per l’Inter. Uno era Zanetti, l’altro, il più atteso, il centravanti Sebastian Rambert.
"Seba arrivò qui da capocannoniere argentino: in quegli anni, più che oggi, era una cosa per nulla facile. Tutti pensavamo che avrebbe lasciato il segno, che sarebbe diventato grande. L’infortunio al ginocchio, ma pure il momento difficile della squadra, hanno cambiato le cose. Però aveva tutte le doti necessarie per sfondare".

L’altra faccia della medaglia è Julio Cruz. Arrivato in sordina, lasciò con 80 gol in A, solo uno in meno di Maradona. E partendo quasi sempre, almeno all’Inter, dalla panchina. 
"In questo senso era speciale. Lo vedevamo scaldarsi e contavamo sulfatto che avrebbe segnato.Un giocatore fondamentale per una grande squadra. Era forte a livello di testa, sapeva che nei minuti che aveva a disposizione poteva lasciare il segno".

In ordine cronologico, abbiamo saltato Crespo. Lui in cosa era grande?
"In tante cose, ma Hernan soprattutto è stato un attaccante più moderno rispetto ai suoi tempi.In pochi fanno i movimenti che faceva lui: ti dava almeno 4-5 opzioni di passaggio in ogni azione, lo trovavi sempre".

E così arriviamo a Diego Milito.
"Già al Genoa aveva dimostrato tutto il suo valore, ma l’annata 2010 è stata una cosa fuori dal normale. Gol decisivi in campionato, coppa e Champions per un Triplete che resta unico. Gli bastavano un paio di occasioni".

Per lei è stato qualcosa più di un compagno di squadra. Com’era fuori dal campo?
"Professionale, tranquillo, ma aveva i suoi momenti. Ricordo, in quell’anno magico, un Roma-Samp a casa sua. Avevamo vinto il giorno prima, Diego aveva segnato con un pallonetto. Ci mettiamo davanti alla tv, ordiniamo una pizza, nel primo tempo la Roma merita di vincere 3 o 4 a zero, chiude 1-0. In quel momento ci ha sorpassato in classifica, a 3 giornate dalla fine. Diego è incazzato nero quando arriva il fattorino delle pizze. Il ragazzo gli dice "Grande Diego, gran gol all’Atalanta". Lui è furioso, gli risponde male: "Che mi importa del gol, perdiamo il campionato!". Io cerco di calmarlo: "Diego tranquillo, manca ancora un tempo". La moglie gli dà la bambina neonata da tenere in braccio, mentre apparecchia la tavola. In quel momento segna Pazzini, prima 1-1, poi 2-1, con Milito che culla la bimba. Sua moglie ha finito di apparecchiare, si offre di riprenderla. Intervengo io: "No, no, la piccola resta con noi". Dorme come un angelo fino alla fine della partita, sorpassiamo la Roma. Potendo Diego l’avrebbe tenuta in braccio fino a fine campionato".

Dai ricordi al presente. Parlando di annate straordinarie, l’ultima di Higuain lo è stata altrettanto?
"Sì, incredibile. Fare 36 gol nel campionato italiano vale il bottino di Messi e Ronaldo nella Liga. Gonzalo è un nueve completo: fa gol di destro, di sinistro, di tacco. Sempre".

Sempre, tranne che in finale con l’Argentina.
"Già, altra cosa incredibile.Anche perché ha avuto occasioni in ogni finale, ma non va. Sembra una maledizione, anche perché non colpisce solo lui".

Che coppia è quella con Dybala?
"Quei due insieme fanno paura. Paura. Paulo non sappiamo ancora dove possa arrivare. È fortissimo, dopo una prima annata così alla Juve capisci che è uno di livello superiore. Ha tutto il tempo davanti, può solo crescere".

Icardi ha gli stessi margini di crescita?
"Decisamente, anche se sono giocatori diversi. Mauro è uomo d’area, da ultimi metri, aspetta il momento giusto per colpire. È migliorato tanto, anche se le qualità si vedevano già appena arrivato all’Inter. Nonostante si parli tanto di lui fuori dal campo, è un professionista serio, si allena tanto e bene".

Fine del viaggio. Abbiamo dimenticato qualcuno?
"Ramon Diaz, è stato un grande. All’Inter ha giocato un solo anno, ma con lo scudetto dei record. E anche prima aveva fatto grandi cose".

Giusto. E chi è il prossimo? Un nome dall’Argentina, che potrà inserirsi in futuro in questa lista…
"Il livello del nostro campionato è sceso di molto. Ma se devo indicare uno, direi Lucas Alario, del River Plate. È un centravanti che ha già dimostrato di saper far gol nei momenti importanti, nelle gare decisive".

Sezione: In Primo Piano / Data: Sab 20 agosto 2016 alle 10:10 / Fonte: SportWeek
Autore: Daniele Alfieri / Twitter: @DaniAlfieri
vedi letture
Print