Dopo la convocazione a 6 mesi di distanza dal grave infortunio al tendine d’Achille, Javier Zanetti è stato ospite di 'Deejay Chiama Italia', la trasmissione su Radio Deejay condotta da Linus e Nicola Savino. Il capitano dell’Inter ha iniziato parlando del prodigioso recupero che lo ha riportato in tempi più brevi del previsto a disposizione della squadra: “Sono trascorsi sei mesi e con il lavoro svolto dai fisioterapisti abbiamo fatto il possibile per tornare nel modo migliore. Ieri sono stato seduto in panchina e adesso aspetto il momento in cui scenderò in campo. Mi hanno portato in panchina perché quando guardo la partita sugli spalti urlo troppo (ride, ndr). Però in campo non parlo tantissimo, rispetto al Cuchu che gesticola e parla molto. Io o corro o faccio altro”.
Si parla poi delle parole a Samuel Eto’o durante la partita contro il Barcellona ("dai che manca poco!", ndr): “Sono vere, ma Samuel non aveva capito che mi riferivo al primo tempo visto che mancava un’eternità alla fine di quella partita”. Il discorso passa poi al libro di Zanetti recentemente pubblicato: “C’è voluto quasi un anno di tempo, Riotta è venuto a casa mia tante volte e poi a dicembre persino in Argentina per conoscere il mio quartiere e la mia realtà di quando ero un bambino. Direi che il racconto è venuto molto bene”.
Domanda: sogna in italiano o in spagnolo? “In entrambe le lingue, ma quello che conta è che i sogni diventino realtà e spesso a me è successo. In casa mia si parla lo spagnolo perché i bambini già parlano l’italiano a scuola, visto che sono tutti nati a Milano”. Sulla folta presenza di argentini in Italia rispetto ai brasiliani: “In Argentina c’è una cultura calcistica, giochiamo tanto e basta andare in giro per vedere tanti bambini che nei campetti inseguono un pallone. Rispetto ai brasiliani abbiamo un’altra cultura agonistica, abbiamo campetti in terra battuta e i bambini sono felicissimi di giocare a calcio. In Italia avremmo circa 50 argentini, tra noi e il Catania ce ne sono molti e li conosco quasi tutti”.
Il capitano dell'Inter ha parlato della rivelazione della stagione nerazzurra, ovvero Ricardo Alvarez: "E' stato un anno difficile per lui quello trascorso, tra infortuni e problemi di squadra. Ha dovuto sopportare i fischi, ma ha dimostrato grande personalità e adesso sta dimostrando di giocare molto bene". Cosa vuole dire giocare da uomo, come da titolo dell'autobiografia? "Giocare leali, secondo i valori. Io sono cresciuto con questi valori, che mi ha insegnato la mia famiglia. Se ho mai pensato di tornare in Argentina? Direi che ora è molto difficile, perché ho vissuto metà della mia vita qui, stiamo molto bene, ed è difficile tornare anche per via della situazione che sta vivendo il mio Paese".
Che Inter era quella incontrata quando è arrivato in Italia? "All'epoca potevano giocare tre stranieri, e io ero il quarto. Ma poi Sebastian Rambert, che è arrivato con me ed era la stella, ha fatto due presenze. Ma io mi son dovuto fare conoscere, farmi un mazzo così. Anche il giorno del mio matrimonio: dopo brindisi e foto ho dovuto dire a tutti che dovevo andare ad allenarmi, perché avevo un programma da rispettare". I giocatori sono più forti adesso di allora, sul piano fisico? "Si vede che ci tengono di più, anche perché la forza nelle gambe è fondamentale. Io con una gamba riesco a sollevare 190 chili...". Una forza che può creare problemi quando si devono vestire dei pantaloni normali: "Delle volte uso pantaloni talmente stretti che a volte devo sedermi. A volte porto dei cambi in macchina". Messi o Maradona? "Ognuno di loro è stato il più forte della sua epoca. Ho giocato con Messi, e posso dire che quello che sta facendo è straordinario: ha una velocità palla al piede incredibile. Ricordo che nella semifinale di Champions League di ritorno ero diffidato e dovevo affrontarlo, se fosse andato via... Però ci è andata bene. Maradona l'ho avuto da allenatore, era grintoso e voleva trasmetterci le sue sensazioni vissute con la maglia argentina".
Ma José Mourinho aveva davvero qualcosa in più degli altri? "Era un grande, un vincente con grande personalità. Ma non è un dittatore, anzi quando sapeva che doveva stare vicino ad un giocatore lo faceva. Poi Mourinho sapeva leggere bene le partite e nell'intervallo urlava se c'era da spronarci". Ma chi era l'allenatore che gridava o faceva più scene in campo? "Mazzarri", dice ridendo. Un saluto anche per Ivan Cordoba, "che ha avuto un momento difficile e si sta riprendendo", e una parola finale su Massimo Moratti: "Sarà sempre con noi; avrà al suo fianco anche altre persone, ma sempre per il bene di questa famiglia chiamata Inter. Io? Spero di rimanere da dirigente".
Autore: Christian Liotta
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