Proprio da lì si è ripartito, dai piedi buoni e dalla novità, ventate di freschezza giunte finalmente a scuotere un’Inter che si era intorpidita sulla sua stessa routine, resa prevedibile da un undici intoccabile più per penuria di alternative che per la forma degli interpreti, immalinconitasi su uno spartito ormai ben noto all’avversario di turno. Serviva l’incoscienza di Karamoh, andato in gol con una giocata che, da queste parti, non si vedeva da anni, senza parlare del tiro da fuori, altra specie di sacro mistero che mai si è fatto carne sul prato di San Siro negli ultimi tempi. Serviva la classe e la buona scuola frequentata da Rafinha fino all’altroieri: il brasiliano ha dialogato con Karamoh in modo semplice ed efficace sul gol e, più in generale, si è messo a dirigere l’orchestra con la serenità che i suoi compagni non hanno più da tempo. Nel finale, quando c’era da far girare la palla più lentamente delle lancette, Rafinha ha avuto l’occasione di servire Eder lanciato a rete in uno spiraglio, col rischio di sbagliare e far ripartire il Bologna per l’ennesimo, inutile pericolo della stagione. Invece, palla sul compagno che giungeva a rimorchio da destra e calmi tutti, respiriamo, dobbiamo solo tenerci alti. La calma, nel calcio, può andare soltanto insieme alla qualità, altrimenti si incappa in figure barbine: Rafinha, a quanto sembra, può donare entrambe a questa Inter, e il doppio regalo sarebbe preziosissimo.
Terza da sola al termine di due mesi davvero brutti, si può dire che con ieri l’Inter ha capito che, per restare lì, servirà appunto uscire dalla noia di se stessa. Come lo stagnaio alienato de I Giorni Contati di Elio Petri, personaggio memorabile e interpretato da un Salvo Randone in stato di grazia, la squadra nerazzurra si era sostanzialmente persa nella sua ripetitività, a maggior ragione quando i risultati del suo gioco meccanico e macchinoso avevano iniziato a scarseggiare. È bastata una reale iniezione di novità a far ripartire la vita, in questo caso strettamente connessa alla classifica. Le fortune del girone d’andata, in buona parte, avevano poggiato sull’affidabilità della famosa catena di destra, con D’Ambrosio e Candreva che sembravano benedetti dal cielo e affiatati come Sandra e Raimondo. Rotta la catena con l’infortunio del terzino, l’ingresso di Cancelo aveva certo portato la prima, piacevole spolverata di qualità, ma il portoghese è parso spesso in difficoltà con l’ex Lazio, come ‘tappato’ dal fatto che Candreva, per sua natura, difficilmente si scosti dalla linea del fallo laterale. Con un Karamoh più orientato a sganciarsi per cercare fortuna per vie centrali e il solito bel Cancelo dietro di lui, si è in qualche modo creata una nuova catena di destra, risultata pericolosa e decisiva nella gara di ieri, dal momento che ha generato entrambe le reti nerazzurre. Non si tratta di una sostituzione definitiva, perché un prepensionamento di Candreva dopo poco più di metà stagione non è un’opzione realistica né tantomeno accettabile, ma piuttosto c’è la buona notizia di un’alternativa credibile. Un’altra freccia a un arco che le aveva ormai tutte spuntate, insomma, e che può tornare utile mentre, al riparo dai fischi assordanti di San Siro, si cerca di rimettere in sesto i giocatori fuori fase.
Rafinha, poi, è senz’altro il secondo uomo di giornata, e abbiamo già parlato a sufficienza della serena applicazione della sua classe. Nelle brutte nuove, invece, finisce per direttissima l’errore marchiano di Miranda, frutto della scarsa serenità che aleggia su tutti più che delle qualità del brasiliano, che non possiamo immaginare a suo agio con colpi di questo genere. Ancor più brutta, però, è la notizia del suo problema muscolare, visto che il Lisandro Lopez visto nella ripresa non pare in grado di lasciar dormire sonni tranquilli alla platea. Che dire, poi, della reazione di Brozovic di fronte ai fischi del pubblico? È vero, San Siro sa tirare fuori il peggio, e spesso non aiuta a giocare nel modo più semplice il pallone più semplice: un imberbe Karamoh, però, parlando in zona mista a fine partita, ricorda che la colpa non può esser data alle pressioni dei tifosi, quando le cose vanno male. La responsabilità, insomma, non è un dovere di chi paga il biglietto e basti sottolineare questo, senza scendere troppo nei richiami populistici alle ricche buste paga di chi scende in campo e dovrebbe dunque accettare anche i pomodori. No, i pomodori no. Si può però incassare il dissenso con stile, come ha fatto mille volte il soldato Nagatomo, o come ahilui ha dovuto imparare a fare l’umile Ranocchia, uno dei (pochi) uomini spogliatoio di questo gruppo. Alla fine, ha lasciato intendere Spalletti, va avanti proprio chi rispetta queste regole non scritte, gli Eder e i D’Ambrosio, e su di loro si innestano le qualità di chi arriva. Peccato per quelle doti non comuni, peccato per quei colpi a volte risolutivi: Brozovic è un tormento per chi scrive, perché ha qualità da big assoluto e una concentrazione da partita in spiaggia alla sera, quando a distrarti basta la vista di una birra fresca che aspetta sola soletta sul telo, o l’andatura di una bionda che corre sul bagnasciuga. Siamo in una nuova fase di creazione, dunque, nel tentativo di plasmare quel gruppo, parzialmente nuovo, che dovrà tirare la lunga volata finale. Difficile che al suo interno ci sia spazio per tali atteggiamenti stonati.
Autore: Antonello Mastronardi / Twitter: @f_antomas
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