Ivan Ramiro Cordoba studia da dirigente. A rivelarlo è La Gazzetta dello Sport che, nella sua edizione odierna, racconta gli ultimi aggiornamenti attorno all'ex calciatore nerazzurro, impegnato a New York in un corso di International Sports Management alla Columbia University. E agli stessi microfoni del quotidiano rosa, il colombiano non nasconde che gli piacerebbe tornare all'Inter: "Mi piacerebbe molto poter contribuire al bene della mia squadra del cuore - racconta -. Con l’ingresso di Suning, ora c’è un inevitabile momento di transizione. Vorranno capire più a fondo le varie problematiche. Io abito a Como e sono a disposizione. Se succedesse, sarebbe bello. L’arrivo dei cinesi sarà positivo se faranno come Moratti e investiranno per costruire una squadra più competitiva. Presto si capiranno le loro vere intenzioni".

Ha capito come mai l’Inter non è andata nel modo sperato lo scorso campionato?
"E’ stato ed è tuttora un momento particolare per la società. L’acquisto di Thohir, ora la vendita ai cinesi. E’ inevitabile che questo senso di instabilità si sia ripercosso anche a livello sportivo: difficile non avvertirlo pure nello spogliatoio".

Lei ha avuto Mancini come allenatore. Lasciando perdere come andrà l’imminente confronto con Thohir, c’è qualcosa nell’Inter di questi due campionati che l’ha sorpresa?
"Il mister vuole che le sue squadre giochino quasi a memoria. E nella passata stagione, come si è visto, non c’è mai stata una formazione tipo. Conoscendo Mancini è difficile spiegarselo, perché la sua forza è sempre stata quella di trovare un nucleo di 11-14 giocatori su cui puntare. Evidentemente alcuni di questi elementi non sono stati in grado di dare le risposte che lui si aspettava".

A proposito di chi le risposte le ha date, il City sembra disposto a offrire 60 milioni per Bonucci. Lei lo ha visto da ragazzino nell’Inter, che cosa ne pensa?
"Gli è servita molto proprio la carriera giovanile da noi. Era nella Primavera, era davvero molto bravo. Un peccato che non sia rimasto: il fatto è che nessuno ha colto le sue potenzialità. Gli parlavo spesso e magari l’ho anche aiutato. Ora ha una fiducia nei suoi mezzi smisurata, decisiva per far bene".

Un altro ex, Balotelli, invece sembra essersi smarrito.
"Probabilmente ha avuto sempre un entourage che lo ha consigliato male. Rimane ancora un ragazzino, non è riuscito a fare il cambio necessario nella sua testa. Il talento e basta non è sufficiente, questo ormai è evidente".

Ha avuto all’Inter undici allenatori. Peschi lei quelli più significativi per la sua carriera.
"Ho imparato tantissimo da Cuper, Mancini, Mourinho e Leonardo. Mourinho è il più bravo perché ha un metodo che nessuno riesce a duplicare. Tutti possono usare le sue idee tattiche, ma non gestire il gruppo come fa lui. Nel gioco e fuori dal campo. Tutti i suoi allenamenti sono con il pallone, la cosa che piace di più a noi calciatori. E poi ti dà sempre una possibilità, ma ti devi fare trovare pronto. Spesso te ne concede una seconda, insomma, non è uno che ti accantona o ti taglia. Avevamo un ottimo rapporto, di quelli franchi fra uomini veri. Abbiamo anche litigato, ma sapeva che certe mie critiche erano giuste e finiva per apprezzarle".

L’avversario più tosto?
"Ronaldo, il Fenomeno. Imprevedibile. Con lui dovevi indovinare le sue mosse o provare ad anticiparlo. O se no commettere fallo. Molto forte anche Ibra. Ma con la mia rapidità, riuscivo a prendergli il tempo. Ricordo con nostalgia i duelli con Shevchenko".

I momenti più belli.
"Il Triplete e il gol decisivo nella finale della Coppa America 2001. Ma fra le emozioni più forti c’è il primo trionfo con le giovanili del Rio Negro, la mia squadra da ragazzino. Avevo 15 anni e non sapevo che cosa significasse vincere. E quando lo capisci non vorresti fermarti più. Non mi sono fermato. Era l’unica cosa che avevo in testa. Mi allenavo più ore di tutti: è così che ho superato compagni magari più dotati di me".

Sezione: In Primo Piano / Data: Mer 20 luglio 2016 alle 11:08
Autore: Lorenzo Peronaci / Twitter: @lorenzoperonaci
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