Col suo ormai consueto andamento ciondolante, che un po’ ricorda il vagare nel campo tipico di Brozovic, l’Inter passa anche a Benevento. Ci mancherebbe, si diceva alla vigilia. Nella guerra dei luoghi comuni, si potrebbe anche replicare che gare facili non esistono, ma il Benevento delle prime sei uscite in campionato, visto ancora nella prima frazione della gara di ieri, non era certo un ostacolo probante. In ossequio alla sua regola, l’Inter esce però dal Vigorito con quella solita impressione di stento, un po’ come lo studentaccio dell’ultimo banco, quello che le qualità le avrebbe pure, ma quando è chiamato alla lavagna si perde nella sua esposizione disordinata e sfanga la sufficienza con eccessiva fatica. Alle porte dell’ennesima pausa delle nazionali, buona per rimediare qualche guaio muscolare in giro per il mondo, la squadra nerazzurra non può certo dirsi preoccupata, eppure vogliamo credere sia tutt’altro che sazia: come sottolineato nel dopopartita da Miranda, dietro si è ballato troppo, e molti altri restano i difetti che questa squadra può e deve limare se vuole raggiungere con tranquillità i suoi obiettivi; altrimenti, magari, potrebbe pure farcela, ma aggrappandosi al treno di testa con le unghie, con l’ormai ben noto rischio di perdere la presa e sbattere violentemente il muso a terra intorno a metà campionato. Ecco, non se ne avverte il bisogno.
COSA VA – Il processo di crescita, d’altra parte, è in atto su numerosi versanti, e non riconoscerlo sarebbe da miopi, o da perduti innamorati del pessimismo fine a se stesso. Se il complesso della manovra e della gestione di una gara pare riproporsi domenica dopo domenica con lo stesso balbettio, esistono precisi difetti che l’Inter ha già parzialmente limato, in attesa di rimuoverli una volta per tutte. Icardi, in primis. La gara del capitano, per la verità un po’ sfigata in fatto di gioie sottoporta, è però a suo modo esemplare, e andrebbe fatta vedere a chiunque creda, nella vita, di non poter fare ciò che non ha mai saputo fare. L’argentino, come non mai, è stato dentro la manovra, e alle volte è stato la manovra stessa: movimento a rientrare e scarico facile offerto al portatore di palla, tagli che l’hanno condotto a rincorrere palloni sul limite destro dell’area, persino un paio di finte deliziose atte a liberare il compagno meglio posizionato. Tutto ciò non può non suggerire come Spalletti su Icardi stia portando avanti un lavoro, e questo lavoro, agli occhi di chi vuol vedere, sta già producendo frutti. Nel tentativo di diventare ciò che non è mai stato, il rosarino tende a eccedere nel sacrificio, cosicché troppo spesso l’area resta sostanzialmente sguarnita, e se non segna lui andare in buca diventa dura. Tutto, però, lascia credere che sia una normale fase di assestamento, e che questa stagione possa davvero consegnare all’Inter un centravanti non solo letale, ma completo. Di Skriniar si è detto, e dunque se ne può parlare in velocità. Stupisce, soprattutto, come nella coppia centrale lo slovacco ricopra a sorpresa il ruolo del trentenne navigato, che si prende i suoi rischi in assoluta serenità quando occorre far uscire il pallone dalla difesa e non si preoccupa di riservare spallate al suo avversario se questi, come Parigini, mostra di avere un passo diverso dal suo. Su tutti, svetta l’insospettabile man of the match, quel Brozovic che potrà essere il vero fiore all’occhiello della campagna di riqualificazione delle risorse che Spalletti sta portando avanti, se solo ricorderà con maggiore frequenza di essere un centrocampista straordinario. Il croato è infatti il campione dell’indolenza, visibile a occhio nudo quando scuote la testa deluso al primo pallone perso, mentre i compagni corrono indietro trafelati a rimediare al suo errore. I latini, però, parlavano bene quando dicevano che semel in anno licet insanire, e allora ecco che una volta o due durante della stagione il suo gene della pigrizia impazzisce, e Brozovic tira fuori una prestazione da centrocampista totale: tecnico e geniale nelle soluzioni destinate all’attacco, intelligente nell’ottimizzare i suoi movimenti così da coprire il campo senza rincorrere il pallone come si fa al parco, pesante in zona gol. Che sia lui l’assaltatore ideale di Spalletti, nessun dubbio; i molti interrogativi, semmai, riguardano la sua testa, e c’è da augurarsi che l’incornata con cui ha aperto le danze ieri abbia smosso qualcosa nella sua regione cerebrale.
COSA NON VA – Se è sempre piacevole sottolineare gli exploit che, per un motivo o per un altro, appaiono inattesi, pesa invece non poco sull’umore di chi scrive notare come un presunto pilastro di questa squadra sia sostanzialmente ben poco affidabile. La parabola di Miranda meriterebbe un focus ben più ampio di queste righe. Ciò che più stupisce in merito al centrale brasiliano non è il fisiologico calo di rendimento che si accompagna al tempo che passa, ma il difetto di leadership di un giocatore che non poche volte ha indossato la fascia di capitano della sua Nazionale. Su Miranda pesa l’impressione generale di scarsa affidabilità, dovuta alle troppo numerose insicurezze cui spesso Handanovic o la buona sorte hanno posto rimedio in queste settimane, dopo che l’andamento della scorsa stagione ne era stato parecchio minato. Come si è detto, il brasiliano sembra troppo spesso guidato dal nuovo arrivato Skriniar, quando ci si aspettava proprio da parte sua un piglio da leader; la possibilità che l’Inter debba seriamente lavorare per un nuovo titolare in difesa, piuttosto che su un rimpiazzo, si fa ogni giorno più concreta. L’imbarazzo che spesso occorre al reparto arretrato, il quale resta in ogni caso il meno battuto del campionato, è però inevitabilmente legato al centrocampo, e allo scarso filtro garantito da Borja Valero e Vecino: i due concludono entrambi la propria gara con un giallo sulle spalle e tanti buchi sulla coscienza, che avrebbero potuto ricordare il primo tempo di Bologna se solo il Benevento non fosse ancora ben poco a suo agio in Serie A. Non manca, insomma, il lavoro a Spalletti, e soprattutto non mancano alla squadra i margini di miglioramento. C’è un impianto, piuttosto chiaro, e tanto si può costruire su di esso, dal momento che la materia prima è di livello. Occorre però capire che avere tanti margini è una fortuna, non un difetto: l’Inter, per la prima volta dopo anni, sembra davvero destinata a crescere, perché la sua guida è una garanzia in questo senso, e il quadro generale appare ben più chiaro e definito di quanto non fosse in passato; la splendida classifica, dal canto suo, aiuta non poco. I prossimi scontri diretti, in questo senso, non rappresenteranno più l’ultima chance come in passato, ma potranno invece essere un’eccezionale nuova occasione per crescere. Come quello scolaro brillante e svogliato, solo l’Inter può decidere cosa sarà di lei.
Autore: Antonello Mastronardi / Twitter: @f_antomas
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