Non avrei mai voluto credere che la filosofia di Vico fosse davvero così potente, e mi son dovuto ricredere. C’era già una reminescenza di un’Udinese-Inter giocata all’ora di pranzo, nemmeno troppo lontana: era l’Inter di Leonardo, reduce da un filotto importante di vittorie, quella che si presentava in fiducia al Friuli per sfidare le zebrette. L’inizio è promettente, culminato col gol di Stankovic, ma poi l’Udinese comincia a prendere a pallate i nerazzurri che implodono su loro stessi ed escono a capo chino con tre gol sul groppone. Mai avrei voluto pensare di dover assistere a un ri-episodio di quell’infausta partita. E invece… E invece, se vogliamo, ieri è andata bene o male allo stesso modo.

Non credo di poter dire peggio, perché, francamente, bisogna anche guardare l’andamento della partita e fare riferimenti ben precisi Ma non quelli arbitrali: qui c’è da parlare di quelli legati alle palle gol divorate dai nerazzurri, che ieri per la prima volta in campionato si son presentati con la maglia rossa.  Su tutte, quella clamorosa gettata letteralmente nel sacco dell’indifferenziata da Jonathan: il destino, sotto forma di appoggio di Palacio (che avrebbe potuto tirare) gli ha offerto la grandissima occasione per scacciare via tutti gli incubi, le malelingue, le beffe e le ironie. Il brasiliano decide di sputare in faccia alla Dea bendata producendosi in un tiraccio tale da poterlo paragonare all’incubo Darko Pancev. Arriva anche la brutta girata di un Palacio evanescente, poi, al ribaltamento di fronte, il gol di Di Natale.

L’episodio che manda a gambe per aria tutti i buoni propositi. Da lì in poi l’Inter si affloscia come un soufflé cotto male, colpita anche dall’espulsione di un Juan Jesus intontito dal blitz dell’attaccante napoletano e che dopo consente all’Udinese di fare tutto quello che le pare, con i successivi due gol serviti comodamente da una difesa incredibilmente imbambolata. Un’Inter in ginocchio come raramente si era vista, malgrado tutto, negli ultimi tempi. Che ha perso chissà dove la capacità di reagire, riportando in auge vecchi spettri legati alla scorsa stagione, quando si prendeva gol, si spegneva la luce e buonanotte suonatori. Delusione, tanta delusione, resta da provare. Delusione mista a rabbia, perché questa squadra pare aver trasformato in prove schiaccianti quelle che fino alla fine del 2012 sembravano solo degli indizi: dopo l’impresa di Torino, le gambe si sono decisamente imballate, le idee hanno iniziato progressivamente a latitare, si vive di fasi alterne, di sprazzi che fanno pensare bene ai quali però seguono pericolose fasi di black-out, a volte sembra si attenda l’intervento della Divina Provvidenza. Duole dirlo, ma è così…

Stramaccioni ha potuto avere tutte le scusanti del caso, a partire dall’infermeria  che anche ieri era particolarmente affollata (e all’ultimo ha dovuto dare forfait anche Diego Milito) e che lo ha costretto a dover fare nuovamente le nozze coi fichi secchi, riproponendo Jonathan titolare; all’assenza per squalifica di Ranocchia, che lo ha portato a riproporre in difesa un Cambiasso apparso pericolosamente un pesce fuor d’acqua di fronte agli affondi di Di Natale e Muriel. Ma sotto certi aspetti, la prestazione dell’Udinese ha messo a nudo se non tutti almeno gran parte dei limiti tecnici e mentali di quest’Inter, al di là degli otto punti ottenuti dopo il sacco dello Juventus Stadium. Le trasferte erano il punto di forza dei nerazzurri, son diventate il sortilegio; la squadra sembrava aver trovato un’identità ben precisa, che ora sembra dimenticata.

Naturalmente, adesso partirà il fuoco di fila delle accuse legate a mercato, condizione, scelte tecniche legate alla ripresa degli allenamenti e quant’altro. Domande e opinioni che si succederanno lungo l’arco della settimana, alle quali Stramaccioni dovrà dare ovviamente una risposta importante già dalla gara col Pescara. L’auspicio è che ora l’allenatore, che tanta fiducia aveva espresso all’inizio dell’anno, vedendo la situazione si rimbocchi davvero le maniche insieme a tutta la squadra e tiri le orecchie a chi di dovere, lasciando perdere (e qui francamente sono rimasto parecchio deluso da questa reazione) le ennesime polemiche sull’arbitraggio, almeno stavolta forse inopportune (l’azione di Palacio si sviluppa in maniera strana, e parte da una posizione dubbia dell’argentino), perché danno quel sapore di beffa aggiuntiva al danno che a questa sconfitta pesante non serve proprio. Stramaccioni, piuttosto, ricordi a questo gruppo che un campionato non può finire con una sola partita, benché eccellente; che comunque la squadra in un torneo sempre aperto come quello italiano ha, se lo vuole, ancora potenzialità e margini per riprendere il binario giusto, quello che porta al ritorno in Champions, il reale obiettivo stagionale. I recuperi, più delle motivazioni che nei giocatori fermi ai box, e le scelte nel mercato di riparazione (si badi: riparazione) dovranno fare il resto. 

Non può consolare il fatto che anche la Juventus abbia inaugurato l’anno con un pesante ko interno con la Sampdoria, o che la Fiorentina sia crollata col Pescara lanciato da un Perin formato Superman. A queste cose anzi, meno ci si bada meglio è. Le falle nella nostra barca non le può turare nessuno al di fuori di noi stessi, a patto che non si perda altro tempo. Perché in futuro la maglia rossa non sia più interpretata, anche se in maniera scherzosa, come un implicito segnale d’allarme…

Sezione: Editoriale / Data: Lun 07 gennaio 2013 alle 00:01
Autore: Christian Liotta
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